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Il vocabolario dei sentimenti - Fiducia (6)
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Ma è davvero possibile aver ancora fiducia in qualcosa o qualcuno nei tempi bui che stiamo vivendo? Io purtroppo ne dubito fortemente: ho la riprova giornaliera anche semplicemente navigando nella rete e sul sito (assoluto e veritiero specchio speculare della vita reale di ogni giorno, visto che la possibilità di un “anonimato di facciata” elimina le residue inibizioni e ci mostra magari sotto mentite spoglie, ma purtroppo per quello che realmente siamo, poiché è così che involontariamente ci presentiamo “nudi alla meta” pur se all’apparenza irriconoscibili e protetti) che siamo ormai arrivati davvero alla frutta, così compromessi  da non avere speranze concrete, perché  abbiamo tutti un po’ smarrito il senso della misura e viviamo dentro l’egoismo sfrenato della nostra onnipotenza: ce lo confermano i dati della ricerca del Censis che proprio in queste giornate sono stati resi noti[1]  e che rafforzano e amplificano il mio sfiduciato sentire: arroganti, egoisti, prepotenti, incapaci di ascoltare e di confrontarsi con le ragioni degli altri, presuntuosi e infingardi come risultiamo essere nella maggioranza dei casi. Si è ormai dimenticato da tempo (o facciamo  finta di non averlo mai saputo) che è invece la gentilezza delle parole che crea la fiducia. La gentilezza dei pensieri che crea profondità. La gentilezza  del donare che crea amore (Lao Tze)  e che  la miglior prova di altruismo, sentimento ugualmente in preoccupante via d’“estinzione”, è accordare fiducia a qualcun altro, una fiducia piena, incondizionata e senza remore, straordinario esempio di compenetrazione condivisa che ci permette  di non chiedere, di non pretendere, ma di “credere”.

Ho nutrito nella mia vita molte (troppe) “fiduciose” speranze andate deluse, e si restringe purtroppo sempre più il campo delle persone, delle cose (ideali compresi) delle quali posso davvero “fidarmi”, e questo in progressione mi porta ad essere sempre meno propositivo e più “scoglionato” rispetto anche a quelli che potremmo definire i “grandi temi” della convivenza civile, visto che una delle maggiori responsabilità che  per esempio quelli della mia età e del successivo “periodo di mezzo” dovrebbero riconoscersi e attribuirsi è senza dubbio quella di aver fatto il possibile per sottrarre (o meglio amputare)  la “fiducia” (che si coniuga perfettamente con un’idea di “speranza”,  ma anche e soprattutto di “futuro”) alla generazione della gioventù attuale (e se proseguiremo a sdrucciolare sul degradante pendio  sul quale siamo abbarbicati, a quelle successive potrà  persino andare peggio). Una responsabilità oggettiva per la quale dovremmo semplicemente vergognarci se non altro per la nostra titubante ignavia che ha consentito che ciò accadesse, quantomeno per conservare i nostri privilegi.

Che dire allora? Non mi sento proprio in grado di discernere sui “massimi sistemi” o di fare elegiaci panegirici intorno alla parola. Ripiego allora come al solito su qualcosa di maggiormente abbordabile, di gran lunga più accessibile e a portata di mano non solo per me, ma davvero per ciascuno di noi: il riconoscere per lo meno i bisogni degli altri, anche di una sola persona è sufficiente, e di compiere degli atti persino “minimali”,  magari ricorrendo a una bicicletta  da donare, che  diventa così il mezzo (oltre che un bellissimo simbolo metaforico) per suggerire una via possibile e praticabile che consenta un percorso di “ricostruzione” fiduciosa della vita.

 

 

Il ragazzo con la bicicletta (2011)

di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne con Cécile De France, Thomas Doret, Jérémie Rénier, Olivier Gourmet

 

E chi meglio dei Dardenne  e del loro magnifico Il ragazzo con la bicicletta  può servire a questo scopo allora, visto che tratta proprio un tema corrispondente a una  “martoriata” condizione come quella dell’infanzia che ha perso la fiducia persino nelle proprie origini?

Samantha e Cyril dunque, e il “recupero” di una bicicletta che se da una parte ha rappresentato la perdita “rabbiosa” di quella “fiduciosa”  condizione che dovrebbe connotare un rapporto “naturale” brutalmente sconfessato per l’abbandono di chi ti ha messo al mondo, diventa poi anche il mezzo straordinario, il “tramite”,  per  ricominciare a  ricostruirla in altro modo e per altre vie quella “fiduciosa” intesa con la gente, per restituire una speranza di futuro, che passa attraverso la riacquisizione di una indispensabile certezza , che è poi quella di sentirsi “importante” per qualcuno.

“ Perché mi hai voluto con te?” chiede a un certo punto della storia Cyril alla ragazza che lo consoce appena, che lo accoglie a casa nei fine settimana, pur non avendo con lui nessun legane di “appartenenza”, e gli ha fatto dono di quella bicicletta volutamente “trafugata” invece da un padre  che rinnega il ruolo e ogni responsabilità che dovrebbe per lo meno avere rispetto a quella “fiduciosa” costruzione di una vita che  ha generato con troppa sconsiderata leggerezza.

“Non lo so” è la laconica risposta di lei, solo però perché ancora non si è posta davvero la domanda: dentro la conosce perfettamente la ragione: lei ha un’immensa fiducia in quel ragazzo “disastrato” e solo, non pietà o commiserazione, si badi bene, ma un bisogno quasi maternale di fargli sentire che conta qualcosa per lo meno per lei, e che non è vero che è stato abbandonato. Non avrà tentennamenti nelle decisioni, non si lascerà condizionare dalle azioni sconsiderate del ragazzo, coraggiosamente capace persino di rinunciare a un compagno che non le da sufficiente  fiducia nel futuro e la mette di fronte ad una scelta, spontanea, ma inevitabile fin da quel primo occasionale incontro quasi rabbioso non immediatamente metabolizzato ma che ha da subito cambiato il corso della sua vita e dei sui bisogni prioritari.

La fiducia, come ogni atto di amore - ha scritto da qualche parte Fabrice Hadjanj, classe 1971 filosofo e scrittore francese di ascendenza cattolica - non si colloca né in piena luce né nelle tenebre, ma in una penombra, ed è assolutamente istintuale (aggiungo io), una condizione empatica che non si può “inventare” visto che non si ha mai fiducia negli altri perché essi se la meritano (non ci poniamo davvero una domanda come questa che non avrebbe senso), ma bensì perché pensa invece di meritarla e di averne diritto – e di conseguenza ne fa dono a qualcun altro - colui o colei (in questo caso Samantha) nel cui cuore il sentimento è germogliato e lo riversa a piene mani sul destinatario finale della “scelta” fatta.

Cyril è arrivato a lei per un “bisogno” ed una coincidenza, Samantha  è stata forse solo un “mezzo” all’inizio, l’unico abbordabile, il solo che aveva a portata di mano, ma è proprio quella “fiducia” che  gli ha accordato nonostante tutto, senza mai scoraggiarsi o  regredire negli intenti, che lo porta a ritornare lentamente fiducioso, che gli consente di arrendersi a quel sentimento “sconosciuto” che piano piano si sviluppa e prende forma in lui fino a diventare davvero una empatica condivisione di “reciprocità”.

Straordinario rilettura proletaria di una fiaba dopotutto, dove ci sono tutti gli elementi  della connotazione collodiana di una storia: la “fatina buona”, Lucignolo, e soprattutto il disarmante protagonista alla ricerca di una fiduciosa identità che forse non mai avuto… manca solo Geppetto in questo caso, “il padre” che ha tradito malamente il ruolo che la natura gli aveva assegnato, per la poca fiducia che ha di se stesso e  nella sua capacità di accogliere e di dare (e anche questo allora torna ad essere uno specchio terribile e “sfiduciato” proprio dei tempi bui che, come ho scritto all’inizio, stiamo purtroppo vivendo e che non abbiamo sufficiente “fiducia” per cambiare).

 

[1] La diffusione a macchia d’olio delle grandi patologie individuali, sia quelle di evidente rinserramento individuale interno (depressione, anoressia, dipendenza da droghe, fino al suicidio), sia quelle di crescente indifferenza alla vita collettiva (stanchezza di vivere, rimozione delle responsabilità, crisi della empatia nelle relazioni interpersonali), è il sintomo della crisi antropologica che caratterizza la società attuale e la sua progressiva perdita di fiducia. E ci spinge a interrogarci alla ricerca di nuovi meccanismi per dare contenuti di senso di fronte allo spaesamento generale, per avviare un percorso di autocoscienza collettiva intorno ad alcuni temi fondamentali per la convivenza.

 

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