Sono due occhi splenditi quelli di Daniele Dominici, carichi di dolente mestizia. Sembrano fari che puntano verso una meta agognata, come a voler penetrare il buio che lo assale, per cercarvi un po’ luce nel corpo radioso di Vanina, forse, e tentare di rubare attimi di serenità all’incedere sicuro di un calvario senza fine. Occhi che si accompagnano a una canzone fatta apposta per la sua condizione esistenziale, che fa da sfondo a una vita gettata ai margini della felicità e apre il cuore a un amore tutto da costruire. “Non c’è niente di più triste in giornate come queste che ricordare la felicità”, recita ad un certo punto, parole dure come pietre, che presuppongono un presente inabissato nelle croci di una vita e un domani marchiato a fuoco dall’incertezza. Occhi assetati di un istintiva passione per la bellissima Vanina, una ragazza con “molto passato, poco presente e niente futuro”, proprio come Daniele, i cui identici destini sono scritti in sguardi che non possono ingannare, attraversati dalla stessa malinconica tristezza e desiderosi di una medesimo tentativo di fuga. Ma Vanina può scappare se vuole, lei è la ragazza in prestito di una società dimentica dei buoni sentimenti, più vittima del vizio altrui che di proprie consapevoli scelte. Può ancora scegliere di allontanarsi da un passato vissuto da spettatrice. Daniele Dominici, invece, è quello che è perchè ha assaporato fino in fondo i dolori che gli sono capitati in dote e non può ambire ad essere altrimenti senza rinnegare se stesso, senza estromettere quella parte consistente della propria personalità indissolubilmente legata alla sensibilità di un angelo caduto in disgrazia. E' il ritratto preciso dell'inquietitudine perché ha guardato la vita in faccia per quella che è, assorbendone i lutti che gli ha inflitto depositandoli uno ad uno il fondo al cuore (“Dio, come la vita di un uomo è piena di morte”) e accettandone gli esiti tragici senza cedere al ricatto di una consolatoria rassegnazione, ma cercando penetrarli col potere elegiaco della poesia : per conservare in eterno l’immagine viva di un bel ricordo. Quand’ancora i momenti di beatitudine servivano a far assaporare il sapore dolce della felicità.
La prima notte di quiete (Valerio Zurlini)
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