Vedete, vi sono certi film che, a torto o a ragione, magari mediocri e non dei capolavori, che vi seguono, si affiancano a te per qualche mese e poi, magari, scompaiono per un po' per poi riapparire, più smaglianti che mai. Sono i film della vita, quelli almeno della mia. Sono i film che, in un modo o nell'altro, ti segnano, ti colpiscono per qualche particolare e non ti lasciano più. Essi rimangono dentro di te e sono parte di te. Il film in questione, ormai introvabile da molto tempo (le tv e le home video lo avevano cancellato dai palinsesti o dai loro progetti), è stato pubblicato recentemente in dvd home video dalla Sinister film regalando ai suoi estimatori un dono preziosissimo. Diciamo subito che non si tratta di un capolavoro. A mio avviso, però, è un film che non sfigura nella filmografia di Nicholas Ray. La vicenda narrata è quella di un caso giudiziario in cui un giovane viene accusato e condannato a morte per l'assassinio di un poliziotto dopo aver commesso una rapina. Il protagonista è un ottimo Humphrey Bogart e il giovane in questione è John Derek alla sua prima apparizione sullo schermo nei panni di Nick Romano. Il valore del film sta soprattutto nel coinvolgimento sociale che è alla base dell'evoluzione delinquenziale di Romano. Una vita segnata dalla miseria, dalla frequentazione di ambienti degradati e cattive compagnie, porta Romano a delinquere in modo sempre più grave fino all'assassinio. Morton, l'avvocato, è nato pure lui nella stessa zona di San Francisco, nota come bassifondi. Egli però è riuscito a uscirne e diventare avvocato. Su Romano invece pare che la sfortuna si accanisca: il padre muore in carcere, accusato di un reato minore per il quale Morton non si è impegnato come doveva, delegando la difesa a un collega mediocre. Inizia qui una china senza fine che si conclude sulla sedia elettrica. La conclusione sembra suggerire che se è vero che Romano è colpevole, come in effetti lo è, lo è altrettanto una società che nulla fa per migliorare le condizioni ambientali, educative e lavorative di fasce di popolazione lasciate a loro stesse. Ma la conclusione è anche un ammonimento che, fatte tutte le debite giustificazioni sociologiche, la responsabilità penale è sempre personale, pilastro, questo, di ogni costituzione appartenente a un Paese civile. Il tema sociale, elemento chiaro ed evidente, toccava un punto nevralgico nella società americana di quegli anni (del secondo dopoguerra), in cui si stava sviluppando un aspro dibattito sulle crescenti istanze sociali che, secondo le voci più reazionarie, erano fomentate a non precisate cellule comuniste che intendevano sovvertire le istituzioni democratiche americane. Erano gli anni della famosa "caccia alle streghe", scatenata dal senatore repubblicano McCarthy, il cui scopo era individuare, condannare ed emarginare i sobillatori comunisti da tutte i luoghi nevralgici e sensibili della nazione. Ray compie un lavoro onesto indirizzando correttamente lo spettatore verso il vero nodo del problema. La delinquenza., se non estirpata, potrebbe perlomeno essere drasticamente ridotta qualora le istituzioni prendessero coscienza del problema e attuassero politiche di risanamento sociale, sostegno alle classi meno abbienti e serio impegno educativo e professionale. Tutto questo però non sarebbe sufficiente per fare un buon film: un grande attore come Bogart potrebbe essere di aiuto, ma ciò che veramente rende questo film apprezzabile è la regia che si avvale di un un indovinatissimo e lungo flash back che non banalizza la storia e la rende anzi più avvincente e, non da ultimo, il grande lavoro di sceneggiatura di Daniel Taradash e Monks: i dialoghi sono agili, precisi e affilati come lame di coltello. davvero un ottimo lavoro che poi si esalta nell'arringa finale di Morton e nelle sconsolate parole che lo stesso pronuncia davanti ad un giudice che ha ormai deciso quale sentenza pronunciare. Un film che per me resta indimenticabile.
Sulla regia di Nicholas Ray
Non è un Ray minore. In un'intervista, disse che se lo avesse potuto girare come avrebbe voluto lo avrebbe impostato in modo molto diverso e avrebbe sicuramente girato il film in esterni. Inoltre si lamentò del fatto che quando lo girò, non aveva ancora una buona esperienza in fatto di montaggio. In sostanza non rimase soddisfatto del film, nonostante il grande successo.
Sull'interpretazione di Humphrey Bogart
Grandissimo. Ebbe a discutere con il regista su alcune scene. Quella in cui il giudice convoca i due avvocati nel suo studio era del tutto improvvisata e non figurava nello script eppur fu indovinatissima. Bogart non ne era del tutto convinto e minacciò di recitare secondo la sceneggiatura originale se Ray e Taradash non avessero concluso i dialoghi della scena entro il mattino seguente. Lavorarono tutta la notte e Bogart recitò come Ray voleva. La scena dell'arringa è un capolavoro daattore consumato. Bogart disse di non aver mai recitato più di tre righe senza un taglio in 15 annoi di attività Ray gli chiese di recitare tutta l'arringa in una sola ripresa. Bogey ci riuscì e quella rimane probabilmente la cosa più bella del film.
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Quando leggi il titolo italiano, I BASSIFONDI DI SAN FRANCISCO, subito pensi alla solita storiaccia di gangster. Il titolo originale è invece KNOCK ON ANY DOOR e capisci subito la differenza di qualità. Il titolo si riferisce probabilmente a un passo delle Sacre Scritture, ma non so dirti esattamente quale é [BUSSA AD OGNI PORTA] come altri titoli suoi, come IN A LONELY PLACE (in Italia venne titolato addirittura in due modi, visto lo scarso successo della prima distribuzione, PAURA SENZA PERCHE' e IL DIRITTO DI UCCIDERE]. Qualche critico, come Dvinotti, scrive che in questo film Bogart fa il cattivo e che fu questo genere di ruoli a farne una star acclamata. Ma questo discorso vale forse più Per Edward G.Robinson, o per George Raft, [ma non per Richard Widmark]. Qui Bogart non fa affatto il cattivo, ma si autoaccusa per non aver preso a cuore, come forse doveva, il caso dell'accusato. Bella la scena in cui Bogey, non conoscendo l'italiano, chiede perdono alla madre, di origine italiana, di John Derek, usando il latino: "Mea culpa". Bogart è grande non solo perchè ha interpretato bene alcuni ruoli da "villain", ma perchè è un attore che ti lascia senza fiato. Io l'ho usato come"avatar" perchè un pò mi riconosco in lui, specialmente in riferimento alla seconda parte della sua carriera. Pensa al ruolo di Philip Marlowe, ne IL GRANDE SONNO, oppure allo straordinario e per me struggente ruolo dell'ex cronista sportivo in IL COLOSSO D'ARGILLA (1956), suo ultimi film, in cui la sua figura dolente e sfiduciata resa ancor più autentica dai segni della malattia che l'avrebbe condotto di lì a poco alla tomba. E' questo il Bogart che amo. Soprattutto quando da par sua interpreta due capolavori come LA CITTA' E' SALVA(1951) di Bretaigne Windust (ma con la mano, non accreditata, di Raoul Walsh), un film da rivedere ASSOLUTAMENTE, e L'ULTIMA MINACCIA (1952) di Richard Brooks. E qui Bogart non fa il cattivo, anzi! Anni fa, non so se Claudio G. Fava o Enrico Ghezzi, riuscrono a far passare una retrospettiva di Bogart alla RAI e fu un successo straordinario, ripetuto dopo qualche tempo da una retrospettiva su JAMES CAGNEY (stavolta, ne sono sicuro, fu il compianto Fava, persona squisita, colta e disponibile. Potevi telefonargli tranquillamente in RAI DUE
Quando leggi il titolo italiano, I BASSIFONDI DI SAN FRANCISCO, subito pensi alla solita storiaccia di gangster. Il titolo originale è invece KNOCK ON ANY DOOR e capisci subito la differenza di qualità. Il titolo si riferisce probabilmente a un passo delle Sacre Scritture, ma non so dirti esattamente quale é [BUSSA AD OGNI PORTA] come altri titoli suoi, come IN A LONELY PLACE (in Italia venne titolato addirittura in due modi, visto lo scarso successo della prima distribuzione, PAURA SENZA PERCHE' e IL DIRITTO DI UCCIDERE]. Qualche critico, come Dvinotti, scrive che in questo film Bogart fa il cattivo e che fu questo genere di ruoli a farne una star acclamata. Ma questo discorso vale forse più Per Edward G.Robinson, o per George Raft, [ma non per Richard Widmark]. Qui Bogart non fa affatto il cattivo, ma si autoaccusa per non aver preso a cuore, come forse doveva, il caso dell'accusato. Bella la scena in cui Bogey, non conoscendo l'italiano, chiede perdono alla madre, di origine italiana, di John Derek, usando il latino: "Mea culpa". Bogart è grande non solo perchè ha interpretato bene alcuni ruoli da "villain", ma perchè è un attore che ti lascia senza fiato. Io l'ho usato come"avatar" perchè un pò mi riconosco in lui, specialmente in riferimento alla seconda parte della sua carriera. Pensa al ruolo di Philip Marlowe, ne IL GRANDE SONNO, oppure allo straordinario e per me struggente ruolo dell'ex cronista sportivo in IL COLOSSO D'ARGILLA (1956), suo ultimi film, in cui la sua figura dolente e sfiduciata resa ancor più autentica dai segni della malattia che l'avrebbe condotto di lì a poco alla tomba. E' questo il Bogart che amo. Soprattutto quando da par sua interpreta due capolavori come LA CITTA' E' SALVA(1951) di Bretaigne Windust (ma con la mano, non accreditata, di Raoul Walsh), un film da rivedere ASSOLUTAMENTE, e L'ULTIMA MINACCIA (1952) di Richard Brooks. E qui Bogart non fa il cattivo, anzi! Anni fa, non so se Claudio G. Fava o Enrico Ghezzi, riuscrono a far passare una retrospettiva di Bogart alla RAI e fu un successo straordinario, ripetuto dopo qualche tempo da una retrospettiva su JAMES CAGNEY (stavolta, ne sono sicuro, fu il compianto Fava, persona squisita, colta e disponibile. Potevi telefonargli tranquillamente in RAI DUE
e sentirlo risponderti come se tu fossi un vecchio amico suo. Insomma, Bogart nn è solo un attore, ma un modo di essere, serio, sobrio e generoso. Ma ne avrei da dire... lo spazio, purtroppo, è quello che è.
Ciao!
È un piacere leggere ciò che scrivi perché si avverte la grande passione che c'è dietro, e ti dirò che mi trovo quasi in difficoltà a rispondere perché non saprei replicare a un commento tanto ricco e illuminante come il tuo.
Mi hai fatto venire la voglia di rivedere "I bassifondi di San Francisco", che comunque mi interessa anche per un lavoro che sto facendo su Nick Ray.
Di Bogart che dire? Un mito anche per me, e c'è stato un periodo in cui ero letteralmente in fissa per i suoi film. È stato sempre gigantesco, sia in ruoli positivi, che in ruoli più sfumati e sfaccettati, come nella parte del comandante Queeg ne "L'ammutinamento del Caine" (da brividi la scena in cui crolla davanti al corte marziale), oppure nel ruolo del criminale senza scrupoli in "Ore disperate", dove era già visibilmente sofferente per la malattia.
Ciao e grazie, è sempre un grande piacere parlare con te!
Grazie Ethan, ma ti invito a guardarti LA CITTA' E' SALVA. Io quando l'ho visto ne sono rimasto affascinato, conquistato. Il primo quarto d'ora inziale e quello finale sono da antologia del cinema. Però devo dire una cosa: mentre in Francia ha ottenuto un successo strepitoso, qui in Italia è passato quasi in sordina. Non mi capacito! Com'è possibile? E' un film che ti fa sentire come se stessi camminando su una corda sospesa: senti il pericolo, attorno a te, davanti a te, dietro di te, sopra di te e un'oscura minaccia che ti pervade e ti ossessiona. INDIMENTICABILE.
Conosco "La città è salva" ed è un grande film. Come giustamente hai osservato tu, tutta la prima parte, con l'informatore interpretato da Ted De Corsia che teme da un momento all'altro di essere ucciso dai sicari di Mendoza, è d'antologia, nonché il colpo di scena finale, che mi lasciò di stucco. Ma il film è tutto da godere, le scene d'azione sono costruite sapientemente (l'uccisione del tassista "che sapeva troppo" dal barbiere, la tentata fuga di Ted De Corsia) e in questo si vede la mano talentuosa di Raoul Walsh.
Purtroppo non se ne fanno più di film così, questo è certo.
Mi congratulo con te. Bravo! Finalmente un cinefilo che non parla per sentito dire. Ciao!
Grazie fixer. Un caro saluto!
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