Hiroshima, mon amour (1958)
di Alain Resnais con Emmanuelle Riva, Eiji Okada, Bernard Fresson, Stella Dassas
“Una mano di donna accarezza, palpa e graffia una spalla maschile. Su un letto, strettamente abbracciati, due corpi si stringono con i movimenti lenti delle meduse, dei serpenti, delle foglie spostate dal vento. La donna è francese, venuta a Hiroshima per girare un film. Hanno passato la notte insieme. E’ la mattina. Disteso sul ventre, l’uomo si è assopito. La sua mano si muove lentamente, come in un sogno. La donna lo guarda intensamente. A Nevers su una strada inondata dal sole, nella medesima posizione, un soldato è disteso. La sua mano è animata dai movimenti incerti dell’agonia. Questo tedesco fu il suo primo amore. “Negli amori casuale nasce qualche volta la voglia di amare”. Parlano: lui è sposato e felice, lei è sposata e felice. L’amore sorge tra di loro, ed essi sanno che non potrà ascriversi nel mondo ordinato della loro vita. La donna riparte il giorno dopo per la Francia. Restano loro solo 24 ore per fuggirsi e ricercarsi nelle strade, nelle piazze, nei caffè, nelle camere, nelle sale di attesa, 24 ore per riconoscere con l’altro il viso dell’amore e la sua impossibilità. Nevers, Hiroshima, Nevers. Il presente, il passato si confondono. Un solo tempo esiste, quello attuale, dell’incontro. Come a 18 anni attraverso i prati ed i boschi di dicente, le strade d’aprile, nelle grange e nelle rovine, lei correva a ritrovare il proprio amante lei cammina nella notte a Hiroshima. Ah! Come fu giovane a Nevers. Ah! Come fu folle a Nevers. Da legare. Da chiudere in una camera. Da imprigionare in una cantina per nascondere a questa città tranquilla la vergogna di una felicità non difendibile.
Le rasano la testa per questo. Lo fanno quasi distrattamente, per punire quell’amore impossibile. Quando guarda gli angoli bassi della stanza dove è rinchiusa e riconosce qualcosa, le tremano le labbra. Ascolta le campane di Saint-Etienne che suonano. Ascolta i rumori della città… Di nuovo a Hiroshima ubriaca, davanti a tutti, perduta nel fondo di un caffè, nel pieno della notte, si dà così all’uomo che l’ascolta, nella memoria risorta di questo amore: “… mi piaceva il sangue da quando avevo gustato il tuo...”. Ma per poter vivere bisogna dimenticare: Hiroshima, la morte atomica, quell’amore e questo. Un giorno, una notte, si sono legati a questo tempo così breve di cui non possono né far uso né fuggire. Ma è abbastanza per dimostrare che l’istante che permette la totale coincidenza di due corpi nell’abbraccio contiene anche la distanza lacerante che nulla può, al limite, abolire tra due esseri. Queste 24 ore sono veramente il tempo vissuto da tutti gli amanti. “Tu mi uccidi, tu mi fai del bene” dice la donna, esprimendo così, in una parola, la contraddizione del tempo e dell’assoluto dell’amore. (Marguerite Duras)
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