I segreti di Brokeback Mountain (2005)
di Ang Lee con Jake Gyllenhaal, Heath Ledger, Michelle Williams, Anne Hathaway, Scott Michael Campbell, Anna Faris, Randy Quaid, Linda Cardellini, Kate Mara, Roberta Maxwell, Peter McRobbie
Anche questa notte è affollata di amarezza e nostalgia. Mi piombano addosso all’improvviso ogni sera senza darmi tregua, togliendomi il sonno e il respiro. Come un disperato sonnambulo, cammino assorto fino alla finestra scrutando inutilmente dietro le colline lo scuro vuoto di un cielo senza stelle alla ricerca di Brokeback... e di quella meravigliosa, troppo breve “certezza” che solo lassù ho assaporato.
Sono stato stupido ed egoista, lo sai bene! Ho fatto l’impossibile per ingarbugliarmi inutilmente la vita e rendere infelice anche te, perché lo spazio che ti ho accordato per viltà e paura, quello che abbiamo davvero potuto condividere insieme per non aver avuto il coraggio di sfidare il pregiudizio, è stato troppo breve … un imperdonabile scialo che lascia ora in me dolorosi squarci di rimpianto per tutte le occasioni sprecate e le tante cose taciute, per le reticenze e le omissioni che ci hanno complicato l’esistenza quando il tempo era ancora dalla nostra parte… quelle ottuse, sciocche ripicche fatte di presunzione, di orgoglio e di vergogna che mi hanno impedito di restarti accanto.
L’oasi felice e lontana si è ormai definitivamente disgregata, smarrita è per sempre “l’isola che non c’è”, e non è tanto il pensiero della morte – della tua morte - che mi schiaccia e mi annienta, ma è semmai quello più terribile e profondo di aver perduto il mio futuro e la mia vita insieme a te che mi fa star male e non mi da tregua, è la consapevolezza di non possedere più né presente né domani che rende senza senso l’esistenza.
Ho un’infinita nostalgia della tua pelle, caro Jack, dei tuoi abbracci silenziosi che placavano una sete condivisa e prepotente, dei fuochi del bivacco che illuminavano le nostre serate su al pascolo, gettando sprazzi di luce rossastra sui nostri corpi accaldati che il gioco delle schermaglie e degli sguardi accendeva di cocente desiderio che si infiammava di improvvisa, travolgente passione.
Mi manca il calore del contatto, la tua vicinanza assonnata, mi mancano i tuoi permalosi risvegli attraversati spesso da un umore nero e taciturno che non gradiva intromissioni. Mi mancano le tue carezze e i tuoi occhi. Mi manca la tua voce ed il tuo sorriso…
C’è solo una camicia che stringo come una reliquia a far rivivere il ricordo malinconico e sfumato di quella straordinaria avventura vissuta insieme, non mi restano altre tangibili presenze oltre questa. E allora anche i momenti più belli, le felicità caduche, i trasalimenti spensierati che hanno illuminato la nostra appassionata intimità, diventano ormai solo impalpabili e lontane reminiscenze corrose dalla malinconia, sopraffatte dalla cupa disperazione che punteggia il trascorrere impotente e guardingo della mia tribolata, solitaria sofferenza.
E’ una glaciale sensazione di privazione e di abbandono quella che avverto quando insonne, come stanotte, in attesa del nuovo giorno che tarda ad arrivare, cerco inutilmente di ricostruire immagini e memorie, fissando al buio lo schermo del soffitto che non riesce né a riflettere né a coordinare la costruzione logica dei pensieri che si affollano nella mente, o a rappresentarli realisticamente fino a farli ridiventare “storia”. Rimangono così solo i pallidi ectoplasmi evanescenti, lugubri e spaventosi, scaturiti dal dormiveglia smanioso che ogni tanto riesce ad avere la meglio, ancor più disturbanti perché amplificano ulteriormente quell’inquietudine agitata che è la causa primaria più che del non dormire, del non riuscire a riposare a sufficienza, di non arrivare a quel rilassamento prolungato che consente di annullare le tensioni. Ma poi anche quando arriva il nuovo giorno nulla riesce davvero a cambiare, ad essere mutato, perché anche allora c’è solo l’inutilità della mia vita insieme alla tua morte ad ottundermi la mente e a non darmi pace… della mia vita che continua nonostante tutto… della tua morte che si perpetua nel rimorso…
Il leggero vento dell’alba mi fa rabbrividire all’improvviso, mentre stringo convulsamente al petto quella sgualcita stoffa che porta ancora tenui macchie di sangue coagulato alla ricerca di un calore ormai svanito che riesca almeno a farmi percepire la persistenza di una piccola traccia della tua presenza che è sempre più difficile ritrovare attiva via via che passa il tempo, e la ragione si sfalda e si scompone col mio ossessivo, sconsolato girare a vuoto nell’ingannevole speranza di recuperare almeno un pezzo del tuo cuore intatto…
…Perché tu eri ardito come il figlio di Danae,
Concepito come Perseo in un sogno d’oro.
E non c’era nessuno, quando eri giovane tu, nessuno
Così pronto a riflettere e tracciare
Lo splendore di un’epoca di Gorgone[1]
Io non riesco a vivere senza di te in questo unicum ininterrotto di sofferenza statico e innaturale che non mi lascia scampo e mi fa sentire tutto il peso della responsabilità di averti allontanato, spaventato com’ero dal fardello del giudizio, e da quello delle parole che aleggiavano intorno a noi che è ancora più grande e insopportabile e può ferire come una coltellata con la sua beffarda crudeltà carica di dileggio e di disprezzo: diverso, finocchio, culattone, buco, bucaiolo, recchione, culo, frocio, pederasta, invertito, depravato, pervertito, rotto-in-culo… no… non sarei mai riuscito a sopportare l’onta di un’offesa così bruciante, né à trovare la forza per “riconoscermici” dentro… non ero ancora sufficientemente preparato ad accettarmi per “accoglierti” fregandomene del mondo. Ci incontravamo per questo sempre a metà strada, dopo Brokeback, lontano da sguardi indiscreti, perché era così che preferivo che accadesse “per non dare troppo nell’occhio” (la mia solita sciocca prudenza “precauzionale” che ci ha distrutto l’esistenza), anche se sapevo già, pur senza comprenderlo, che l’averti incrociato sulla mia strada era stato un miracolo insperato e una benedizione, ma non avevo la spudoratezza necessaria per accettare di dividerla con te e in piena libertà, fino alla fine dei nostri giorni intatti, questa mia vita finalmente “riscattata” dal sentimento… che non è divergente o difforme da quello di ogni altra persona, adesso ne ho certezza, perché se diverso rispetto alla “norma” è considerato l’oggetto del desiderio, anche noi amiamo e soffriamo alla stessa maniera di ogni altro uomo o donna della terra, così come analoghi sono i nostri bisogni e le necessità di esternare le emozioni e la passione…
E’ strano e un po’ paradossale, vero Jack?, adesso che tu non ci sei più accanto a me, ho finalmente abbandonato la mia ostinata volontà a “negare” di una volta per quella timorosa, caparbia esitazione che non mi è mai riuscito di smontare fino in fondo… E non è per un ritardato gesto di coraggio che l’ho fatto, ma semplicemente perché altrimenti non avrebbe senso nemmeno la mia pena, e poi te lo dovevo questo estremo atto di “riconoscenza” e di amore (vedi? Alla fine anche io sono finalmente riuscito a pronunciarla quella parola) per ciò che mi hai dato e rivelato, perché – ora ne sono pienamente consapevole - noi non abbiamo commesso nessun peccato o infrazione alla morale, non abbiamo fatto nulla di cui doversi vergognare, solo gli ottusi e gli stolti lo possono pensare. Noi ci siamo semplicemente e soltanto “voluti un po’ di bene”. E cosa c’è di più importante, straordinario e positivo di questo nella vita, anche se ormai è davvero troppo tardi per accorgersene e farsene una ragione?
La luce del giorno esplode imperiosa sulla mia faccia inondata di lacrime che lo specchio riflette spietato insieme alla rappresentazione impudica della mia un po’ oscena, smagrita nudità avvinghiata a quel cencioso, scolorito brandello di memoria simile a un sudario che annuso convulso nell’insana speranza di coglierci ancora qualche impronta residua del tuo antico odore rimasta intrappolata nella tela…
All’improvviso mi sembra di intravedere il tuo volto dietro di me, di avvertire la dolce pressione delle tue labbra sopra il mio collo come lassù a Brokeback…ma è una ingannevole, nostalgica illusione che si stempera subito in uno sconfortato, accorato rimpianto…
E’ solo il mio corpo che rimanda impietoso quello specchio… Magro, duro, freddo… condannato alla pena dell’assenza. Osservo il mio sesso flaccido e inerte, l’inquietante mio sesso avvizzito… e arriva di nuovo a travolgermi l’insostenibile certezza di averti perduto per sempre… di essere un uomo finito…
Ti prego Jack... se puoi… se ti è concesso di farlo… afferra per lo meno il mio cuore fra le tue mani, riscaldalo un poco… cullalo un attimo o portalo via con te, che non debba più sopportare gli impazziti suoi battiti dentro il mio petto…. Prendilo! È tuo e ti appartiene. Per sempre.
[1] (John Peale Bishop, Le ore)
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