
Quanti di voi, come me, sono rimasti intrappolati nelle dinamiche di The White Lotus? Eppure, la formula è definitivamente svelata. Possibile e credibile che ogni anno, in ogni resort della famosa compagnia di lusso, alla fine qualcuno muoia ucciso da qualcun altro? Il punto non è quello: il finale è arbitrario, facilmente ipotizzabile.
Come scriveva Ilaria Feole nella recensione della prima stagione “non importa davvero chi ci sia dentro la bara”. Il giallo è un pretesto, un rompicapo in fondo facilmente prevedibile, talmente impostato da sembrare si compiaccia della sua maestria nel narrare. Ma è solo una scusa per delineare una gustosissima tragicommedia elitaria, sanguinaria e balneare.
Una pozione di stili, temi e figure frequentatissime da tanto cinema e tv contemporanei: l'abbinamento ricchi&disgrazie (Triangle of Sadness, Parasite), i toni sospesi e antropologici della location vacanziera per pochi, fuga lussuosa e privilegiata dallo stress urbano (A Bigger Splash, Let Them All Talk, Youth) e ovviamente, il fascino eterno del whodunit (Knives Out, i Poirot di Branagh e il recente The Residence), perché come in tutti i citati, in The White Lotus c'è la morte, un gran finale di cui lo spettatore è consapevole dall'inizio, incastrato nel bisogno di una soluzione (Big Little Lies, The Perfect Couple, The Undoing, Presunto innocente e Disclaimer).
Mike White aveva già scritto di viaggi e vacanze in Enlightened - La nuova me e anche partecipato al docureality The Amazing Race, un adventure game molto simile a Pechino Express, che come The White Lotus, è un format ripetibile all'infinito, forte di un cast corale che cambia ogni anno, drammi relazionali e ambientazioni esotiche. A pensarci la serie di White si avvale di alcune delle dinamiche su cui hanno vissuto tanti altri reality negli ultimi vent'anni, tra cui la dislocazione in uno spazio estraneo e una moltitudine di personaggi in cui nessuno è il vero protagonista.
Anche per questa virtù "generalista" la serie, nata auto-conclusiva, sempre più seguita in tutto il mondo, è diventata antologica. Con l'ultima stagione (la più vista), The White Lotus svela il suo essere dispositivo, ma nel farlo lo rende un cult televisivo. Rischiava la ripetitività, riesce a diventare un rituale, un'usanza diffusa e compartecipata. La saggia distribuzione a cadenza settimanale, protegge dagli spoiler i fan, facendoli mantecare nell’hype. L'episodio torna a essere evento, prima visione, occasione collettiva, da fruire in contemporanea. La serie straborda nelle interviste tv, nei contenuti social virali, nei salotti, nel discorso pubblico.
Sopravvissuto alla sua eroina Jennifer Coolidge, rievocata dai ritorni di Jon Gries e Natasha Rothwell, il cast, il più affiatato delle tre stagioni, abile mix di talento, glam e omaggi a vecchi immaginari, riassume una diversificazione di generi e toni: c'è l’upper family dramedy della famiglia Ratliff, con gli ottimi Jason Isaacs e Parker Posey, c'è il romance dal sapore tarantiniano tra Walton Goggins e Aimee Lou Wood (una conferma dell'estro scorto in Sex Education), c'è il torbido teen drama dei figli d'arte Patrick Schwarzenegger e Sam Nivola, c'è la sister comedy (tra Paul Feig e Greta Gerwig) del trio di amiche Leslie Bibb, Michelle Monaghan e Carrie Coon, tutte da Emmy.
L'ho iniziata disilluso su una terza stagione che rischiava di essere scontata e già vista, ma episodio dopo episodio, catalogando indizi, false piste e dettagli, tentando teorie per risolvere il mistero, ho capito che non era quello il punto. Perchè sotto l'allure della serie del momento, del cast stellare, del giallo da risolvere, sotto il velo post-ironico dei dialoghi, ad appassionare è il modo in cui quest'anno, The White Lotus è riuscito, forse per la prima volta, a prendere sul serio i suoi personaggi, a farli dialogare direttamente con la contemporaneità, ritraendone il vuoto, le abitudini tossiche, le ansie e le consolazioni temporanee che usa per lenirle.
Insomma, la struttura è costruitissima, funzionale, istituzionalizzata, ma i caratteri, quelli sì, sono urgenti, attualissimi. Le vacanze di lusso, il giallo, sono strategie narrative catchy per consentire uno sguardo nitido, non più tanto all'Occidente coloniale, alla crisi del maschio bianco, etero e cis, ma soprattutto a un essere umano agonizzante, incapace di comunicare veramente con chi ha intorno, "un affresco", come notava Alice Cucchetti su Film Tv 52/2022, "in cui tutti mentono, soprattutto a se stessi", in cui tutti nascondono piccoli o grandi segreti (un arresto imminente, un trauma, un'attrazione incestuosa, una tesi non finita, un voto per Donald Trump, il disprezzo insito nell'amicizia, nell'amore e nella famiglia), in cui tutti sono continuamente pedinati dai proprio pensieri.
In The White Lotus, come nel Buddhismo, tutto parte dalla mente. È una commedia nera che - proprio come i primi Lanthimos e le distopiche Black Mirror, Scissione (qui la recensione della seconda stagione, scritta da Ilaria Feole, su FilmTv 12/2025) - racconta il contemporaneo come incubo capitalista, (in)dividualista, narcisista, performativo: un labirinto da cui è impossibile uscire, di cui è impensabile qualsiasi alternativa, anche immersi nel lusso paradisiaco ed elitario di un resort thailandese in cui si mangia vegano e biologico, si pratica meditazione e si spengono tutti i dispositivi mobili per non disturbare la quiete del villaggio.
La vacanza non è mai una vera fuga, un vero cambiamento, ma una stasi, in cui tutti, come direbbe Byung Chul Han, “viaggiano attraverso l’inferno dell’uguale". Il monaco tibetano di The White Lotus ripete ai personaggi che "non c'è soluzione al dolore", li invita a “calmare la scimmia nella loro mente”, ma neanche il Buddhismo riesce a salvarli dall'abisso. Forse, soprattutto per questo, The White Lotus è diventata un culto: nessuno si salva davvero, non c'è life coach, non c'è mindfulness e wellness che tenga. Dopo l'ultimo episodio, il mio sogno di detox lussuoso, estivo ed esotico si è totalmente spento eppure la Thailandia sta registrando un assurdo aumento di prenotazioni da parte dei turisti. E voi? Avete già prenotato il vostro bungalow sulle spiagge di Koh Samui, con tanto di splendida vista sull'abisso?
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