Nel cuore della Berlinale 2025, tra le opere più attese della sezione Berlinale Special, si distingue All I Had Was Nothingness, un film che si annuncia come un'esperienza cinematografica intensa e profondamente evocativa. Diretto da Guillaume Ribot e prodotto da Estelle Fialon e Dominique Lanzmann, il film si immerge nella memoria della Shoah attraverso un approccio visivo e narrativo che sfida le convenzioni del documentario storico.
All I Had Was Nothingness non è solo un omaggio alla storia, ma un’indagine sulla fragilità della memoria stessa: il film prende le mosse dal lavoro di restauro dei filmati inediti di Shoah, l’epocale documentario di Claude Lanzmann. Il materiale d’archivio (circa 220 ore di girato), mai mostrato prima, diventa il punto di partenza per un’esplorazione cinematografica che interroga il rapporto tra le immagini e il ricordo, tra il visibile e l’ineffabile.

All I Had Was Nothingness (2025): Claude Lanzmann
Guillaume Ribot: Un regista tra storia e filosofia
Il regista Guillaume Ribot si conferma una voce unica nel panorama cinematografico contemporaneo. Con una formazione che intreccia storia, filosofia e linguaggio visivo, Ribot adotta una regia che alterna sequenze d’archivio restaurate a momenti di puro lirismo cinematografico. La sua narrazione non si limita a documentare, ma aspira a evocare, a far sentire il peso del silenzio e dell’assenza che la Shoah ha lasciato dietro di sé.
In un’intervista contenuta nel dossier di presentazione del film All I Had Was Nothingness, Ribot ha dichiarato: "Ho sempre creduto che il cinema potesse essere uno strumento di memoria, ma anche di interrogazione. Quando mi sono trovato davanti ai materiali inediti di Lanzmann, mi sono chiesto: come possiamo raccontare ciò che non può essere raccontato? Questo film è la mia risposta, un tentativo di restituire dignità a quelle immagini dimenticate, dando loro una nuova voce".
Il lavoro di restauro: Un patrimonio recuperato
Uno degli aspetti più rilevanti del film All I Had Was Nothingness è il meticoloso lavoro di restauro compiuto sulle riprese originali. Svetlana Vaynblat, responsabile del montaggio, ha curato con precisione la selezione e la ricontestualizzazione di questi materiali inediti, dando vita a una narrazione che oscilla tra il passato e il presente, tra il detto e il non detto.
Ribot ha sottolineato l’importanza di questo processo nel rendere il film accessibile alle nuove generazioni: "Abbiamo lavorato per mesi sulla digitalizzazione e sulla pulizia delle immagini. L’obiettivo era mantenere l’autenticità del materiale, senza alterarne l’essenza storica, ma permettendo al pubblico moderno di avvicinarsi a queste testimonianze con una qualità visiva migliore".
Un'esperienza sensoriale e filosofica
Oltre all’impatto visivo, il film All I Had Was Nothingness si avvale di un sound design minimale ma penetrante, che amplifica il senso di vuoto e di perdita evocato dal titolo stesso. La colonna sonora, assente nei momenti più carichi di tensione emotiva, lascia spazio ai suoni ambientali e ai frammenti di testimonianze spezzate, creando un effetto straniante e ipnotico.
Ribot, nell’intervista, ha rivelato il motivo di questa scelta stilistica: "La Shoah è stata anche il silenzio imposto alle vittime. Ho voluto che il suono stesso diventasse una presenza assente, qualcosa che si percepisce ma che non si afferra mai completamente".
Un film indispensabile
In un’epoca in cui il valore della memoria storica è costantemente messo alla prova, il film All I Had Was Nothingness emerge come un’opera imprescindibile. Il suo passaggio alla Berlinale 2025 segna non solo un tributo alla storia della Shoah, ma anche una riflessione più ampia sul potere e sui limiti delle immagini nel raccontare l’inenarrabile. Un film che non si guarda soltanto, ma che si vive, lasciando un’impronta indelebile nella coscienza dello spettatore.

Shoah (1985): locandina
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