In concorso al Festival di Berlino 2025, Ari, il terzo film della regista francese Léonor Serraille, emerge come un'opera delicata e profondamente umana. Un film che, con la sua apparente semplicità narrativa, scava nelle pieghe dell'animo di una generazione sospesa tra il desiderio di ancorarsi a qualcosa e la paura di perdersi definitivamente.
Un viaggio interiore tra smarrimento e consapevolezza
La storia del film Ari si apre con il collasso improvviso del protagonista, un giovane insegnante tirocinante di 27 anni, nel bel mezzo di un'ispezione scolastica. L'evento innesca una reazione a catena: il padre, deluso e furioso, lo caccia di casa, lasciandolo solo in una città che conosce appena. La solitudine lo costringe a confrontarsi con il proprio passato, a rientrare in contatto con vecchi amici e, soprattutto, con se stesso. Attraverso un flusso di ricordi che emergono e si dissolvono, Ari si accorge che la vita degli altri non è così solida come immaginava, e che forse anche lui è stato per troppo tempo uno spettatore passivo della propria esistenza.
La regia: tra improvvisazione e autenticità
Serraille adotta un approccio registico profondamente radicato nella spontaneità e nell'improvvisazione. Il film Ari nasce da un esperimento unico: l'incontro con una classe della National Academy of Dramatic Arts di Parigi. L'intenzione iniziale della regista era quella di raccontare le difficoltà dei giovani insegnanti, ma le conversazioni avute con gli attori hanno rivelato un sentimento più profondo e generazionale: un senso di incertezza, la paura di non essere mai davvero all'altezza, la necessità di vivere intensamente per non sentirsi invisibili. Serraille ha trasformato questi sentimenti in una sceneggiatura fluida, modellata attorno agli attori e ai loro vissuti, in un processo che ricorda le interviste sociologiche di Edgar Morin e Jean Rouch in Chronique d'un été.

Arï (2025): Eva Lallier Juan, Andranic Manet
L'influenza del cinema del reale
Il metodo adottato dalla regista richiama anche la poetica del cinema documentaristico, con una narrazione che si sviluppa attraverso dialoghi spontanei e una regia che lascia spazio alla naturalezza degli interpreti. Il film è stato girato su pellicola 16mm, una scelta estetica che restituisce una grana materica e un senso di autenticità quasi tattile. Il team di produzione ha lavorato con una troupe leggera, simile a quella di un documentario, per catturare la verità dei momenti senza artifici.
Riferimenti e ispirazioni
Serraille si è ispirata a capolavori come Rarely Never Sometimes Always di Eliza Hittman, un film che condivide con Ari l'uso del 16mm e la narrazione minimalista, e Il fuoco fatuo di Louis Malle, da cui riprende la struttura circolare della storia e la centralità del protagonista nella sua ricerca esistenziale. Anche la letteratura ha avuto un ruolo chiave: A Burnt Child di Stig Dagermann ha influenzato il rapporto conflittuale tra Ari e suo padre, mentre Il potere della gentilezza di Anne Dufourmantelle ha guidato la regista nell'esplorazione della vulnerabilità e della tenerezza come forze trasformative.
Andranic Manet: l’anima del film
Al centro di questa odissea emotiva c'è Andranic Manet, attore straordinario che riesce a portare sullo schermo tutta la fragilità e la complessità di Ari. Il suo volto riflette ogni piccola sfumatura di dolore, esitazione, speranza. Serraille ha dichiarato di aver trovato in lui l'elemento imprescindibile per la riuscita del film, un interprete capace di incarnare la delicatezza e l'irrequietezza del protagonista con una naturalezza disarmante.
Un ritratto generazionale
Ari è più di una semplice storia di formazione: è un ritratto di una generazione alla ricerca di significato in un mondo che offre poche certezze. Serraille riesce a cogliere con rara sensibilità le inquietudini di chi si affaccia all'età adulta senza punti di riferimento solidi, un tema che risuona profondamente nel contesto contemporaneo.
Se il cinema ha il potere di farci sentire meno soli, Ari riesce in questa missione con una grazia e un'intensità rare. Serraille firma così un'opera che non solo impressiona per la sua sincerità, ma che lascia un solco profondo nel cuore dello spettatore.

Arï (2025): Andranic Manet
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