Il Festival di Berlino si conferma ancora una volta come palcoscenico d'elezione per opere che esplorano le profondità dell'animo umano scegliendo in concorso il film Yunan. Secondo lungometraggio del talentuoso regista Ameer Fakher Eldin, Yunan è un’opera di raffinata delicatezza che, attraverso l'isolamento, la memoria e il linguaggio dell'invisibile, ci conduce in un viaggio esistenziale di perdita e riscoperta.
Un isolamento che parla
Il film Yunan narra la storia di Munir (Georges Khabbaz), un uomo che, spinto da un tormento interiore e dalla volontà di compiere un ultimo gesto definitivo, si rifugia su un'isola remota. Qui, nell'apparente desolazione del paesaggio, trova una compagnia inattesa: Valeska (interpretata dall'iconica Hanna Schygulla) e suo figlio Karl. Il film si snoda attraverso il silenzio, in un'alternanza di sospetti e piccoli atti di gentilezza che lentamente risvegliano in Munir il desiderio di continuare a vivere.
Il paesaggio come metafora
Fakher Eldin ambienta la sua opera sulle isole Hallig di Langeneß, un luogo segnato dal fenomeno del Land Unter, in cui il mare periodicamente inghiotte e restituisce la terra. Tale condizione diventa una potente metafora della condizione umana: perdita e ritorno, dissolvimento e rinascita. Il regista ha trascorso anni studiando queste isole e, quasi per un intervento del destino, ha assistito a un'inondazione proprio durante le riprese, donando al film un realismo viscerale che la CGI non avrebbe potuto replicare.

Yunan (2025): locandina
Il cinema dell'indicibile
Il film Yunan si distingue per la sua economia verbale. Come afferma lo stesso regista, “Le parole possono essere ingannevoli; ciò che conta davvero è il non detto”. La connessione tra i personaggi trascende la lingua e si manifesta attraverso sguardi, gesti e silenzi carichi di significato. Un linguaggio cinematografico che richiama il minimalismo poetico di autori come Terrence Malick e Andrei Tarkovsky.
La scelta di Georges Khabbaz per il ruolo di Munir si è rivelata, per il regista, perfetta: la sua interpretazione trasmette un'intensità silenziosa che amplifica il dolore e la speranza del personaggio. Hanna Schygulla, leggenda del cinema tedesco, dona a Valeska un'aura magnetica e senza tempo. Ali Suliman e Nidal Badarneh completano un cast che arricchisce il film di sfumature autentiche e profondamente umane.
L'esilio come poetica
Fakher Eldin, nato in Ucraina da genitori siriani del Golan Heights e residente in Germania, porta nel suo cinema il peso di una diaspora personale. Dopo il successo del suo primo film, The Stranger, Yunan conferma il suo interesse per i temi dell'esilio, dell'identità e della perdita. “Non volevo offrire l'illusione di un ritorno o di una riconciliazione”, afferma il regista. “Volevo esplorare cosa succede quando il familiare non è più possibile”.
Con la sua seconda opera, Ameer Fakher Eldin conferma di essere una delle voci più originali del cinema contemporaneo. Yunan non è un film di risposte, ma di domande sussurrate nel vento di un'isola dimenticata. Un'opera che lascia il segno non con fragorose dichiarazioni, ma con il peso struggente di ciò che resta in sospeso. Il Berlinale 2025 potrebbe consacrarlo come uno dei più grandi autori della sua generazione.

Yunan (2025): Georges Khabbaz
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