10+5 film per cui è valsa la pena frequentare una sala cinematografica, provando forti emozioni.
L'emozione che un film riesce ancora oggi, talvolta, a suscitare nello spettatore, se percepito dinanzi ad un grande schermo cinematografico, amplifica decisamente quel processo benevolo grazie al quale si riesce a stare bene attraverso un'opera creativa che combina immagine a narrazione.
Non è certo una scoperta o una novità questa rivelazione, ma la grande sala, talvolta snobbata, spesso surclassata da una più semplice ed immediata fruizione casalinga, rimane sempre, nonostante le molteplici concorrenze, spesso sleali, la soluzione migliore per permettere che la simbiosi emotiva, qualora giustificata dalla validità dell'opera, riesca ad attecchire nel migliore dei modi a beneficio dello spettatore.
Anche il 2024 è riuscito a garantire a chi scrive diversi momenti di vero raccoglimento emotivo: magari anche solo fuggevoli sprazzi e brividi a pelle. Ma ci sono stati, ed i festival hanno rappresentato anche quest' anno, assieme ad una certa assidua frequentazione delle sale francesi, da sempre più organizzate a diffondere arte cinematografica senza distinzione di provenienza o stile, il viatico principale per potersi assicurare le visioni in tempo utile, senza aspettare l'uscita effettiva nelle nostre sale, ammesso che essa sia poi avvenuta.
I 10+5 titoli che ritengo più meritevoli di considerazione, sono tutti stati scelti tra opere datate 2024.
Chi un po' mi conosce, probabilmente sa della mia passione per i felini lunga almeno un ventennio, ma che un film su un gatto, e per di più un cartoon, riuscisse a stregarmi a tal punto, nemmeno io lo avrei preventivato.
Se ancora non lo avete visto, cercatelo, annotatevi di guardarlo appena sarà fruibile in streaming, perché ne vale davvero la pena.
Anche se ai gatti preferite i cani o..... i capibara.
Un colpo di fulmine per il sottoscritto... "Un gatto nel cervello", si potrebbe definire questa scelta, soprattutto per restare in tema di citazioni ed accennare a quel filmaccio farlocco dell'altrove geniale Lucio Fulci, in un titolo a cui, nonostante tutto, è più facile voler bene, che riuscire a disprezzare.
Preciso infine che, rispetto a molte altre classifiche, non si troveranno alcuni grandi film unanimemente riconosciuti ai vertici delle uscite dell'anno in via di conclusione.
Alcuni tra questi titoli certamente si ritrovano nel "COSA RESTERÀ..." dell'anno precedente.
Buon anno a tutti.
Ecco qui di seguito i titoli che più mi hanno emozionato in questo 2024:
1) FLOW-UN MONDO DA SALVARE, di Gints Zibalodis - B.Lettonia.Fr 2024, Festival di Cannes 77: Un Certain Regard - 9/10
Flow non è solo la storia avventurosa di un gatto: è un film che fa sorridere, che riesce ad inquietare, ad avvincere tenendo il pubblico col fiato sospeso per la sorte del povero micetto in balia di un cataclisma senza precedenti, ed anche a sorprendere e persino a commuovere per l'intelligenza e la finezza con cui si è riusciti a catturare la spontaneità di esseri viventi solo apparentemente semplici e elementari, ma in realtà ben più sfaccettati e complessi di quanto si possa a prima vista supporre.
2) GRAND TOUR, di Miguel Gomez, Port.Fr.It 2024, Festival di Cannes 77: Miglior Regia - 9/10
Attraverso l'inseguimento di due amanti che scappano uno dall'altro, Grand Tour traccia un percorso raccontato più a parole, tramite io narranti in differenti linguaggi autoctoni, ma pure plasmato da immagini di una bellezza struggente e da ricostruzioni suadenti di una natura rigogliosa e superiore.
Gomes ci regala un film che esalta la magia del cinema contrapposto tra narrazione incalzante e immagine contemplativa, celebrando una umanità che dimostra stoicismo anche nella vigliaccheria più spudorata o nella pedanteria più immotivata.
Questo più recente lavoro di Gomes si rivela come uno dei veri grandi film del 2024.
3) MEGALOPOLIS, di Francis Ford Coppola, Usa 2024, Festival di Cannes 77: Concorso - 9/10
Francis Ford Coppola realizza con Megalopolis, finalmente, dopo immani difficoltà finanziarie che lo hanno portato sull'orlo di una rovina economico-finanziaria già vissuta in passato, e tutt'altro che scongiurata ora che si temono incassi magri, il suo sogno senza limiti, la sua opera forse più ardita e controversa.
Audace come lo conosciamo da decenni, incauto come solo un genio sa essere, forte della propria ispirazione, autodistruttivo come pochi altri geni suoi colleghi, senza paura di sconfinare nel kitch, incurante degli sbandi narrativi che disorientano ma anche affascinano lo spettatore, Megalopolis racconta, tra scenografie avveniristiche ed abbacinanti ed altre decisamente retrò e quasi minimal, una delirante genesi creativa sulla falsariga di un Impero romano magniloquente quanto perfetto solo esteriormente.
4) THE BRUTALIST, di Brady Corbet, Usa 2024, Festival di Venezia 81: Concorso - Leone D'Argento miglior regia, 9/10
Scritto assieme alla talentuosa compagna Mona Fastvold, The brutalist è un lungo viaggio negli inferi della mente e del talento, della brama di fama e successo che porta alla perdizione e alla dannazione.
Il film si concentra più sui personaggi e sulla loro brama di fare, arricchirsi e divenire famosi, di raggiungere una perfezione che si colora delle tonalità di un girone infernale, più che sull'arte e la tecnica specifica a cui l'architetto diede vita nella sua creazione architettonica, ovvero quel brutalismo che privilegia già dal nome le forme essenziali, gli spigoli e la rigidità, come a ritrovare quello stile teutonico ed imponente, freddo e cimiteriale, che comunica morte e sentore satanico.
5) PHANTOSMIA, di Lav Diaz, Filippine 2024, Festival di Venezia 81: Fuori Concorso - 9/10
Ancora una volta quella di Diaz è una storia di rimorsi e di fremiti di coscienza, attraverso la quale l'autore pone una nuova invettiva contro il malgoverno e la corruzione che hanno a lungo imperversato nel suo paese, resistendo ai giorni nostri.
Stavolta il film, dalla durata di oltre 4 ore, si caratterizza per una trama più narrativa dell'usuale, in linea con quell'altro capolavoro che fu When the waves are gone (2022), e tratteggia finemente un percorso di presa di coscienza e di purificazione dell'anima e della coscienza esemplare.
6) THE SEED OF THE SACRED FIG, di Mohammad Rasoulof, Iran 2024, Festival di Cannes 77: Concorso - Prix du Jury, 9/10
Quella di Mohammad Rasoulof è un'opera di coraggiosa e deliberata denuncia delle falle più atroci proprie di un sistema repressivo come quello attuale iraniano. Un lavoro che appare, oggi più che mai, come un vero miracolo per come il suo cineasta riesca a girare e a raccontare con tale veemenza e risolutezza le piaghe di un paese oppresso e chiuso in se stesso tra fanatismo religioso e osservanza cieca ai dettami di una legge che non tollera contraddizioni né discussioni.
7) APRIL, di Dea Kulumbegashvili, Georgia 2024, Festival di Venezia 81- Concorso: Premio Speciale Giuria, 8/10
April è un film percorso da corpi in costruzione o, forse, al contrario , in disfacimento: anime in pena che registrano la frustrazione ansiogena ed ansimante di strutture ancora deformi costrette a vagare perennemente entro un limbo paludoso ove la violenza umana le ha confinate.
April, prodotto tra gli altri da Luca Guadagnino, è un film complesso ed ostico che non fa nulla per rendersi ammaliante, ed anzi spiazza nel mostrare come un atto di parto possa risultare come un'azione tutto fuorché naturale e scontata.
Ma è anche un film che costringe lo spettatore ad inzaccherarsi nei terreni paludosi che portano, forse, ad una compiutezza che solo attraverso il sanguinoso e complesso atto del parto potrà avvenire veramente.
8) LA STANZA ACCANTO, di Pedro Almodovar, So. 2024 - Festival di Venezia 81: Concorso - Leone d'Oro - 8/10
"La neve cadeva. Cadeva lieve in tutto l'universo. E lieve cadeva su tutti i vivi, e i morti..." (James Joyce: "Gente di Dublino")
Lo stile ammaliante, e potente di Almodóvar assimila, con i suoi colori potenti pronti ad esplodere, ed ora più che mai col tema del sentimento e della perdita inesorabile, i dettagli meravigliosi del cinema del sentimento e della nostalgia e sfilettate politico-ecologico-morali che avrebbero messo ko quasi ogni altro illustre collega, uscendfone indenne, anzi rafforzato.
The room next door brilla non solo per la mirabile tecnica di direzione e per la sceneggiatura solida che sorregge l'impianto.
Le dive Julianne Moore e la ritrovata Tilda Swinton risultano perfette, coese ed a proprio agio per mettere in condizione lo spettatore di commuoversi e raggiungere attraverso loro sentimenti ed emozioni che rasentano il sublime.
9) BLANKET WEARER, di Park Jeong-mi - Corea Sud 2024 - Festa di Roma: Special Screenings - 8/10
Park Jeong-mi, qui alla sua prima regia, decide di raccontarsi nella sua singolare esperienza di vita che ha fatto seguito ad un periodo in cui si arruolò nell'esercito coreano, e poi si riciclò come impiegata dapprima in Corea, poi a Londra.
Road movie tra bicicletta e percorsi a piedi scanditi da qualche passaggio in auto, Blanket Wearer si rivela una sorpresa autentica: un film forte, toccante, pregno di argomentazioni che possono fare riflettere in modo limpido ed esemplare sulle contraddizioni e le incongruità che supportano una società moderna di stampo prettamente consumistico ed ossessivamente capitalistica, il cui liberismo rende soprattutto succubi di valori che allontanano dall'essenza di ciò che conta veramente.
10) L'UOMO NEL BOSCO (MISERICORDE), di Alain Guiraudie, Fr. 2024 - Festival di Cannes 77: Cannes Première - 8/10
Dal regista de Lo sconosciuto del lago, Alain Guiraudie, è uscito nelle sale francesi il film più bizzarro, sconcertante e anche divertente del Festival di Cannes, passato troppo in sordina in quella occasione e confinato nella sezione con poca personalità chiamata Cannes Première.
Come forse si poteva prevedere dal regista dello scandaloso Lo sconosciuto del lago (2013), ma anche dell'ottimo Viens je t'emmene (2022), Miséricorde (questo il titolo originale) si rivela uno spasso per come riesce a districarsi tra malizie, segreti e verità inconfessabili, ardori tra uomini che si rivelano segreti di Pulcinella, e il candore dei sentimenti che giustifica atti e comportamenti impulsivi che gli abitanti del paesello risultano vivere con incosciente ma vitale entusiasmo, e soprattutto slanci erotici incontenibili.
I JOLLY:
-THE SHROUDS, di David Cronenberg, Can. 2024, Festival di Cannes: Concorso - 8/10
Dal genio di Cronenberg, un film sul dolore della perdita, sulla sua elaborazione e sul culto dei morti, in cui tuttavia il dolore, più che un'emozione che provoca lacrime e dolore, è una sensazione che ha bisogno di essere elaborata con principi, regole e riti precisi, schematici, quasi matematici.
The Shrouds è un horror riflessivo e concettuale attraverso cui l'autore rielabora le sue principali fissazioni su mutazioni corporali, artificiali o naturali che siano, che sono da tempo assurte a presupposti più evidenti e puri, per quanto spesso ostici e sgradevoli, di un cinema di genere che ha saputo elevarsi dal mero sfruttamento commerciale a cui è destinata la quasi totalità della produzione concorrente.
-NOSFERATU, di Robert Eggers, Usa/Rep. Ceca 2024 - 8/10
Scenograficamente e visivamente eccezionale, gotico quanto basta per avvincere, diretto con la consueta maestria da un Robert Eggers che trasforma una sofferente e complice Lily Rose Deep nella grande interprete di cui non ci si era, fino ad ora, accorti, il nuovo adattamento di Nosferatu è un gran bel film, suggestivo e tetro come è lecito aspettarsi dal talento di un regista che ormai è quasi sempre una garanzia di qualità e, in questo caso, di sano intrattenimento.
Boschi cupi e minacciosi, il vampiro che appare tra le tende e rimane invisibile all'occhio nel meraviglioso incipit in bianco e nero che cita Murnau e l'espressionismo di inizi '900, fanno da contorno pertinente ed indispensabile ad un gran ritorno in regia che torna a celebrare le festa dell'essere demoniaco invincibile e dei deboli ed imperfetti esseri umani che cercano di porre fine alla sua sete insaziabile.
-DOSTOEVSKIJ di Damiano e Fabio D'Innocenzo It. 2024 - 8/10
Dostoevskij dei gemelli D'innocenzo è un prodotto unico, rivoluzionario, intransigente, azzardato, rischiosissimo. Ma proprio per tutti questi motivi unico, eroico, meritevole di ogni rispetto.
Dopo un primo atto snervante, allucinato, descrittivo di in orrore dilagante che è più una piaga costante, che un fenomeno che prende di sorpresa, Dostoevskij prosegue nella sua agonia e giunge ad un lungo, inarrestabile epilogo esistenziale, ma anche risolutivo del mistero che porta lentamente con sé, con una rutilante serie di eventi che trasformano quel limbo statico fino a quella prima parte, in un thriller concitato, sanguigno e dai connotati persino pulp.
Con momenti, personaggi solo apparentemente di contorno, davvero eccezionali.
-VERMIGLIO, di Maura Delpero, It.Fr. 2024, Festival di Venezia 81: Concorso: Leone D'Argento - Gran Premio della Giuria - 8/10
Dopo il già intenso e notevole esordio avvenuto con Maternal (2019), la regista Maura Delpero ambienta nelle sue montagne del Trentino una storia di bontà e rancori che si dipana attraverso meravigliosi primi piani delle tre testimoni femmine e ricostruzioni contemplative ma realistiche di un recente passato che ormai sembra più lontano di quanto non sia a tutti gli effetti.
Una famiglia che continua a crescere di nuovi nati, in cui una madre allatta contemporaneamente alla propria sventurata figlia maggiore.
Volti schietti e credibili, dialoghi in lingua dialettale locale, lavori sfiancanti, furtivi ritrovi a compiere azioni proibite e scandalose come fumare una sigaretta quando si è donna e minorenne; desideri sessuali di scoperta ancora più proibiti ed inconfessabili e atteggiamenti di padri che inevitabilmente privilegiano arbitrariamente un figlio a scapito degli altri: non per cattiveria, forse più per necessità e disperazione.
E poi ancora metodi di istruzione arcaici che è stupendo ritrovare rappresentati, così come dettagli di vita che ritornano alla luce schietti e realistici da un passato che pare quello di un'altra opposta dimensione, se rapportato alla frenesia informatica odierna, a nemmeno ottant'anni di distanza l'uno dall'altro.
-DAHOMEY, di Mati Diop, Fr./Senegal 2024 - Orso D'Oro Berlino 2024 - 8/10
Nel novembre 2021 la Francia avverte finalmente il dovere morale e pratico di restituire una parte, che si concretizza in ventisei tesori reali dell'antico Regno di Dahomey, all'attuale Repubblica di Benin.
La brillante regista francese di origini senegalesi Mati Diop, nota per aver guadagnato il Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes nel 2019 con il suo intenso ed emozionante primo film di finzione, Atlantique, documenta l'opera di restituzione e di accoglimento ed immagina che le opere stesse, ed in particolare l'ultima tra le prescelte, ovvero la ventiseiesima, commentino a voce alta e con una forte vena commista tra ironia e dolorosa speranza, questo ritorno in patria davvero significativo, quasi più, si diceva prima, come gesto simbolico doveroso e rispettoso, al di là del valore intrinseco di quei preziosi manufatti frutto di una storia che si è inteso depredare e snaturare con l'opera di una sciagurata colonizzazione.
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