Il 22 novembre è iniziata la 42ma edizione del Torino Film Festival. Un appuntamento molto sentito sia da chi ama il cinema in città sia da chi vi si reca appositamente da fuori, spesso anche da lontano, proprio per godere dell'ambiente festivaliero e di una immersione totale in un cinema di qualità, di ricerca, non allineato.
Ovviamente l'impostazione di un festival riflette molto lo spirito della cosiddetta direzione artistica, che, pur restando all'interno di un progetto di massima, ha poi discrete libertà nelle decisioni che determinano l'orientamento delle sezioni competitive, la scelta del tema della retrospettiva e, più nello specifico, i film che vengono selezionati e mostrati al pubblico.
Il Torino Film Festival, TFF per gli amici, è stato diretto con piglio sicuro per un paio di anni da Steve Della Casa, da Stefano Francia di Celle e anche da Emanuela Martini, che molti di voi conoscono essendo una delle firme più autorevoli, nonché direttrice tra il 1999 e il 2007, del nostro settimanale Film Tv.
Da quest'anno invece la direzione è andata all'attore e regista Giulio Base e molto è stato scritto e detto preventivamente, anche qui, a proposito dei supposti cambi di orientamento che avrebbero caratterizzato la nuova gerenza.
Siccome, a proposito di pubblico caldo e appassionato, a Torino in qualità di inviato speciale per la nostra community c'è Fabio, che molti di voi conoscono con il nickname Alan Smithee, abbiamo pensato, ora che la manifestazione si avvia verso l'ultimo fine settimana, di chiedergli un po' di impressioni sul campo.
Ecco la nostra conversazione.
Si è detto molto su questa nuova edizione del festival di Torino a partire dalla nomina del direttore artistico che ha fatto discutere fin da subito. Però poi i festival si giudicano soprattutto dal programma e dai film che ne fanno parte. Qual è la tua impressione dopo una settimana?
Frequento da cinefilo piuttosto incallito almeno 5 festival ogni anno da quasi quindici anni e devo dire che l'attore e regista Giulio Base si è spesso visto ai vari appuntamenti come assiduo frequentatore di proiezioni per la stampa ed attento osservatore delle proposte anche più impegnate. Anche come regista mi è parso maturare negli anni e impegnarsi in direzione di opere meno leggere rispetto ai suoi inizi non particolarmente stimolanti.
Come direttore artistico del 42TFF, Base ha inteso indubbiamente puntare sul glamour e sul richiamo del tappeto rosso, sacrificando per questo il numero dei film, le sale di proiezione, le sezioni dedicate alle chicche a cui la "gestione Martini" (per citare un periodo che amo particolarmente) ci aveva abituato. Premesso questo, almeno i titoli del concorso, che come è noto, comprende unicamente opere prime e seconde, si rivelano complessivamente di buon livello, giunti come siamo a circa metà della manifestazione.
La maternità quest' anno sembra una tematica particolarmente sentita, non solo al concorso, e trova in titoli come il belga Holy Rosita e il tunisino The Needle due tra i film che mi hanno più convinto sino ad ora.
La presenza delle star sembra un po' artificiosa, tutti premiati con la Stella della Mole ma quasi senza film che fanno parte delle sezioni. È così?
Sì, la scelta di invitare un parterre di star spesso completamente sprovviste di film nuovi da presentare è la dimostrazione evidente di una svolta glamour e divistica che è sempre mancata a questo festival. Che è stata, anzi, rifuggita con convinzione dai direttori precedenti, spingendo tradizionalmente il festival verso un appuntamento cinefilo che ha sempre avuto l'obiettivo di avvicinare la città e i suoi ospiti alla partecipazione in sala di film nuovi e di rassegne originali, insolite, di alto valore intrinseco, con pochi lustrini e paillettes.
Non posso non ricordare con nostalgia e rimpianto, senza intenti maliziosi, le eccelse retrospettive dedicate anni fa al cinema di Powell e Pressburger o ad Altman, per citarne due eccezionali, e vedo ora qui una rassegna, certo opportuna, che celebra il pur mitico Brando nei suoi 100 anni dalla nascita: tutto legittimo, ma anche indicativo sulla direzione "pop" ove vuol puntare il direttore di quest' anno.
Sono dell'idea che il Festival di Torino non dovrebbe cercare di "vincere facile" in modo così plateale, ma invece spingere su argomenti, tematiche ed autori tutti da scoprire.
Un festival di questo tenore dovrebbe stimolare la cultura e la conoscenza di autori e stili di cinema. Al contrario con questo glamour un po' ostentato, si rischia di creare la parodia di una festa romana già di per sé emblematicamente scevra di un proprio carattere cinefilo ed una propria direzione compiuta che non sia una vetrina fine a sé stessa.
Due parole sui film: hai visto qualcosa che spicca e ti ha colpito maggiormente? C'è qualcosa che ti sembra abbia colpito il pubblico presente, qualche film di cui si parla già bene e che possiamo sperare arrivi in sala?
Alcuni titoli interessanti sono comunque emersi, e alcuni anche presto in programmazione. Titoli destinati ad un pubblico piuttosto ampio, senza per questo ricadere nella categoria dei blockbuster.
Il corpo di Vincenzo Alfieri (in sala da oggi) è un thriller-remake di un buon prodotto spagnolo e si rivela un film di buona fattura. Una Glenn Close magnifica illumina il delicato The Summer Book di Charlie McDowell. Anche Pupi Avati - che aveva già ritrovato la forma migliore anche con l'horror presentato a Venezia, L'orto americano, presto in sala - con la docu-fiction Un Natale a casa Croce riesce ad incantare e a documentare allo stesso tempo raccontandoci la vita del celebre filosofo a partire da una dimensione familiare e domestica che è sempre molto consona al regista bolognese.
Il bravo regista newyorkese Dito Montiel col suo Riff Raff (nulla a che vedere con Ken Loach), firma un thriller pulp di gran ritmo e risate nere con gli strepitosi Ed Harris, Bill Murray e una grandiosa e sboccata Jennifer Coolidge.
Il cileno claustrofobico ed incalzante Isla negra, con l'iconico Alfredo Castro, Fuori Concorso, ci spedisce in mezzo a "scene di lotta di classe" tra biechi speculatori borghesi e poveri indigeni sfrattati, in un thriller psicologico incalzante che funziona assai.
Tra i documentari, Territory dello spagnolo Àlex Galán trasporta lo spettatore tra la natura incontaminata delle montagne del Kirghizistan alla ricerca del mitologico, ma realmente esistente, leopardo delle nevi. Suggestivo ed appassionante. E questi sono solo i primi che mi sono restati impressi.
A proposito di pubblico: qualche giorno prima dell'inizio del festival sono stati diffusi dei dati con cui si sosteneva che le prevendite stessero andando benissimo, qual è la tua sensazione essendo lì? Vedi più gente alle proiezioni rispetto alle edizioni passate?
L'affluenza del pubblico è una questione che verificherò di persona nei miei tre giorni finali festivalieri, in cui abbandonerò la sala press per restare nei due multisala dedicati al pubblico. Ai bei tempi dei festival "Martini", però, le multisale dedicate erano almeno 3 e tra queste c'era il Reposi che forniva ben 5 schermi sui quali venivano distribuiti una quantità di proposte che, in confronto a quelle odierne, rendono bene l'idea di come si sia sacrificato il budget a disposizione per invitare le star lesinando però sul noleggio sale e sulle proposte cinematografiche. Che le tre sale dei cinema Massimo e Romano risultino sempre piene, dunque, non significa necessariamente che il pubblico sia aumentato rispetto a quanto accadeva 4/5 anni orsono.
In sintesi, per riassumere una mia impressione su questa edizione indubbiamente innovativa, non mi ritengo particolarmente in sintonia con la nuova linea a cui il TFF è stato indirizzato. Questo è uno dei festival che ho sempre amato e preferito per la sua dimensione cinefila e ben poco divistica che ha sempre avuto una valenza di scoperta di autori e linguaggi cinematografici. Non un festival celebrativo, come pare essere diventato.
Nonostante ciò continuo a seguirlo con passione e considero almeno il Concorso 2024 una sezione di buon livello, dando merito ai selezionatori di aver saputo mettere insieme un buon mix.
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