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Sotto il vestito niente. Il nuovo Torino Film Festival
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Qualche mese fa la conferenza stampa di Giulio Base relativa alla presentazione del suo progetto come neodirettore del festival torinese mi aveva lasciato con più dubbi che risposte.

 

 La settimana scorsa è stato svelato il programma, che comporta una vera e propria  rivoluzione dello storico festival del cinema. Meno film, meno sale e una virata decisa verso il glamour e la presenza di star, soprattutto statunitensi (Rosario Dawson, Alec Baldwin, Matthew Broderick, Vince Vaughn, Sharon Stone..).

 

Come valutare questa mossa? Dipende.

 

 

Dal punto di vista del marketing è sicuramente una soluzione funzionale: le star, in un’epoca social centrica, richiamano le folle, quei cacciatori di foto e video alla perenne ricerca di contenuti attira like che accorreranno come mosche al miele. Al contempo la stampa generalista darà una copertura sicuramente superiore rispetto al passato all’evento, decretandone il “successo” mediatico.

 

I divi inoltre sono una contromossa efficace nei confronti dello strapotere delle piattaforme in quanto si offre l’unica cosa che il pubblico (almeno quello mainstream) non potrà mai trovare in rete.

 

In sostanza quindi una scelta molto attuale, che attirerà pubblico giovane e non cinefilo e darà risonanza al festival.

 

 

Qual è allora il problema?

 

Il fatto che sotto i lustrini il festival rischia di finire soffocato. Al di là dei film in concorso, non giudicabili a priori, il resto della proposta filmica sembra avere un peso specifico prossimo allo zero: tra i (relativamente pochi) titoli proposti non ce n’è sostanzialmente nessuno di quelli attesi, mancano praticamente tutti i film passati nei grandi festival (dai quali il TFF aveva da sempre selezionato con buon gusto critico) e quelli presenti sanno tanto di opere di seconda fascia, incentrate sui temi sociali “giusti” e probabilmente inoffensive.

 

La presenza degli stessi divi in larga misura non ha una finalità diversa dal semplice ”farli apparire”, facendo loro introdurre la proiezione di un loro vecchio film a caso purché sia, senza una vera linea guida.

 

Il Torino Film Festival è, anzi, era un evento in cui si respirava cinema, un’indigestione dove non potevi mangiare tutto, ma non importava perché chi c’era era lì spinto da una passione comune, quella sì non facilmente riproducibile: non solo nelle sale, ma anche durante le code, nei bar adiacenti alle sale ci si confrontava, si discuteva, si stilavano classifiche, si ritoccavano i proprio programmi grazie ai suggerimenti o alle stroncature altrui. In sostanza, c’era fermento.

 

Ma queste cose non sembrano più avere importanza; contano i numeri, poco importa del resto. Questa giunta d’altronde ha già dimostrato il proprio piano strategico per la cultura, quando ha tolto un festival musicale come il Todays da chi lo aveva fatto crescere per dieci anni con competenza e passione per spingerlo verso un versante più popolare e di facciata, appiattendolo e di fatto cancellandogli l’anima.

 

 

Quest’anno, per la prima volta dal 1996, probabilmente non presenzierò al Torino Film Festival; in un'epoca in cui non conta più l'evento in sé quanto esserci e testimoniare agli altri la propria presenza, non andare è l’unico, piccolo modo che resta per provare a manifestare il proprio dissenso. E non avete idea della tristezza che questa cosa mi metta addosso.

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