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Mentre tutto andava a rotoli
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Mentre leggo Le schegge di Bret Easton Ellis sembro pazzo. Sembro pazzo ai miei stessi occhi, se mi tiro fuori da me e guardo quello che faccio.

E quello che faccio è: leggere una pagina, poggiare il libro, cercare il titolo di una canzone su Spotify, fare play, riiniziare a leggere. Poi la canzone finisce ma lui, Bret (Easton) Ellis, lo sa e ce ne infila un’altra, anzi più di una. E la solfa ricomincia. Certo non è l’unico modo per leggere questo ultimo (e forse definitivo) romanzo di Ellis, ma non sono riuscito a trovarne un altro che restituisca alle parole impresse sulle pagine la giusta dimensione spaziale, come se avessi bisogno un livello di augmented reality per vedere meglio, per sentire l'effetto che fa, perché i riferimenti musicali che accompagnano le azioni dei personaggi di Le schegge sono molto di più di semplici contorni, sono pezzi di scenografia che vivono in una dimensione esterna alle pagine, sono schegge fluide che vanno riallineate e che completano la storia. Che è questa.

Nella Los Angeles dei primissimi anni ’80 un gruppo di studenti della Buckley - un istituto scolastico per figli di nababbi losangelini che costa (oggi) 61000 dollari l'anno - si muove come un insieme di figurine tra highway desolate, centri commerciali, cinema strapieni, concerti di new wave, insegne al neon, pomeriggi a cavallo nei ranch di famiglia, dosi da cavallo di Xanax e altre numerose e variabili sostanze psicotrope. Perché è chiaro che la vita in questo mondo dorato ma astratto, in cui gli adulti sono completamente assenti, è invivibile senza l'uso e l'abuso di sostanze. Gli adulti sono lontani e invisibili ma il mondo che hanno costruito è indigeribile come un blocco massiccio di fango e soffocante come un cellophane dorato che avvolge tutto. E stordirsi con una pasticca di quaalude, ad un certo punto, è quasi necessario.

In questo scenario parzialmente/completamente autobiografico il giovane protagonista Bret Ellis è già uno scrittore in erba, quindi tutto quel che succede e che ci viene raccontato in prima persona in Le schegge è al tempo stesso potenzialmente vero e ugualmente falso perché già filtrato da uno sguardo per il quale la realtà è fonte di ispirazione e non destinazione finale.

A turbare questa rappresentazione di un mondo che si dipana tra party, scopate e piccole beghe tra adolescenti viziati e sballati arriva l'outsider. Peggio, arriva l'outsider mascherato da insider. Robert Mallory, infatti, non ha niente fuori posto, ha la camicia Polo Ralph Lauren con il colletto alzato, le Topsider ai piedi e guida una Porsche 911. Sa come comportarsi, sa come sedurre maschi e femmine, sa sempre cosa fare, con ostentata naturalezza. Illuminato da una bellezza grazie alla quale ha gioco facile ad ingannare (quasi) tutti, la sua presenza cambierà completamente il segno degli eventi, inaugurando una stagione di terrore, sia per il gruppo di ragazzi che per un'epoca.

Per quanto lo sguardo di Bret Easton Ellis sia intriso di una palpabile nostalgia, questo non gli vieta di portare a termine un affresco sociale, culturale e in un certo senso anche politico che conferma l'assunto di base: ossia che gli anni '80 sono stati semplicemente letali.

Mentre "Video Killed the Radio Star" dei Buggles (1979) stigmatizzava l'inizio di una nuova era musicale e metteva a segno una "ardita premonizione", mentre Reagan, un'altra videostar, intuendo il potere della spettacolarizzazione della politica, liquidava Jimmy Carter alle elezioni del 1980, dando voce e risorse al neoconservatorismo americano con quel Let's Make America Great Again che ci perseguita ancora oggi, i ricchi diventavano ricchissimi e i poveri poverissimi.


In questo quadro, quello che Bret Easton Ellis fa, anche con l'ausilio dei riferimenti musicali, è rendere palpabile e viva l'epoca, con la sua impalcatura di apparenze sotto alle quali iniziava ad annidarsi il vuoto. E nelle quali, come nella migliore tradizione, la diversità era talmente invisa e dunque repressa, da trasformarsi in marginalità ostile e sanguinaria. Giocando magistralmente con i registri della nostalgia e del presagio, l'autore confeziona un'autofiction che lascia il lettore sempre sul ciglio di un baratro creando atmosfere e situazioni che spingono chi ama il cinema a cercare di guardare più che semplicemente leggere, per sentire quella vertigine in maniera ancora più totalizzante.

Fino a qualche mese fa sembrava che ad occuparsi della trasformazione del libro in serie per HBO sarebbe stato Luca Guadagnino e, ora che ho il libro per le mani, capisco perfettamente lo spunto e l'intenzione. Guadagnino avrebbe sicuramente saputo come inquadrare i corpi abbronzati dei giovani studenti losangelini (Chiamami col tuo nome) e sarebbe riuscito a restituire alla Buckley School tutta la carica erotica e vagamente repressiva che si accumula tra le sue mura (Suspiria). Avrebbe potuto miscelare benissimo la musica dell'epoca agli eventi facendola aderire alla pelle dei protagonisti come ha fatto con la scena di A Bigger Splash in cui Ralph Fiennes balla Emotional Rescue dei Rolling Stones (uscito nell'estate del 1980, qualche mese prima che MTV mandasse in onda per la prima volta Video Killed The Radio Star).


E avrebbe potuto, infine, costruire lentamente il paesaggio più interiore di Le schegge con qualche tocco un po' malato e metafisico come ha fatto in Bones and All. Invece no. A giugno di quest'anno il regista palermitano si è ritirato dalla produzione e al suo posto pare sia stato scelto il Kristoffer Borgli di Dream Scenario e Sick of Myself. Ironicamente, però, a dimostrare che il legame tra lo scrittore e il regista è chiaramente molto forte, è apparsa in questi ultimi giorni la notizia che Guadagnino dirigerà una vera e propria nuova trasposizione di American Psycho, romanzo che, sebbene vide la luce nel 1991, si svolge nella stessa decade letale di Le schegge, rappresentando lo stesso vuoto, gli stessi corpi, gli stessi valori e simili, violente e metodiche, derive.

Appena alle spalle di Le schegge albeggiava la nuova America reaganiana, l'idolo di Patrick Bateman, protagonista di American Psycho, era Donald Trump e oggi, a 45 e a 35 anni di distanza, siamo ancora lì, ad un passo dall'America che vuole diventare Great Again.

And as things fell apart
Nobody paid much attention

[Nothing But] Flowers
Talking Heads

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