E anche Venezia 81 può dirsi archiviata. E con essa posso dire di aver concluso in grande gloria e in grande gioia la mia personale trilogia di edizioni della Mostra (2022-2024) da studente di cinema, utilizzando l'accredito universitario. Semmai dovessi ripetere quest'esperienza (e comunque, francamente, me lo auguro), sarà in tutt'altre modalità. E anche, probabilmente, con altro spirito.
Quest'anno la barbarie delle prenotazioni online si è rivelata meno "barbara" del previsto: per snellire la mole di dati ed evitare di sovraccaricare i server di Vivaticket, la Biennale ha deciso infatti di semplificare le sessioni eliminando l'opportunità di selezionare preventivamente il posto in sala per le proiezioni riservate esclusivamente agli accreditati, permettendo di prenotare soltanto l'ingresso all'evento. In questo modo, effettivamente, le attese per le ormai famigerate "code virtuali" si sono ridotte di durata e in parallelo sono tornate le code fisiche pre-pandemiche, con tutti gli svantaggi e i vantaggi del caso: l'alzataccia mattutina per evitare di sorbirsi il film da fondo sala (e vederlo con la stessa grandezza dello schermo di uno smartphone) o, peggio, da una delle prime file (con annesso torcicollo); ma anche, per fortuna, l'eliminazione della bizzarria di doversi separare da amici e colleghi durante le visioni a causa della distanza delle poltroncine randomicamente attribuite dalla piattaforma ai malcapitati compagni d'avventura, costretti a godersi la proiezione, per così dire, "in solitaria".
E ovviamente le piacevoli chiacchiere in fila con appassionati, giornalisti e mostri sacri: che bello che è stato scambiare opinioni con Francesco Alò sui film in Concorso in attesa di entrare in sala Darsena, nonché ringraziare di persona il mastodontico Paolo Mereghetti per l'importanza del suo Dizionario nella mia formazione di cinefilo; ma anche incontrare casualmente Gian Luca Farinelli e stringergli la mano ricordando il mio recente passato bolognese e la magia del Cinema Ritrovato. E ho anche conversato con tante persone che conosco quasi solo virtualmente (come il buon Leman, che mi perdonerà se non ho amato come lui The Brutalist, ma almeno abbiamo condiviso il medesimo retrogusto di disappunto per Horizon: An American Saga – Capitolo 2, a dispetto del buonissimo primo atto) o che addirittura ho conosciuto per la prima volta in questi 11 giorni di selvaggio carrozzone.
Sul piano logistico, il mio tour de force quotidiano è rimasto lo stesso dei due anni precedenti: sveglia alle quattro e venti, bicicletta fino alla stazione, treno per arrivare a Venezia Santa Lucia, vaporetto per il Lido, autobus per la Mostra (e viceversa per il ritorno). Col solito carico di sonno arretrato, dubbi pseudo-esistenziali sul bisogno di sottoporsi a una tale odissea per vedere film che talvolta nemmeno valevano questa pena. Ma bastava ogni volta uno stordente paesaggio lagunare illuminato da albe arancioni, rosa, rosse, gialle o azzurre a cullarmi gli occhi e l'anima e a convicermi che quello che conta non è mai la destinazione, ma quello che trovi durante il viaggio. Tra cui la conseuta brioche delle sei e un quarto appena sfornata dal bar della stazione, i tre/quattro caffè per reggere le giornate, i paninozzi sbafati al volo, le insalate portate da casa e già squagliatesi all'ora di pranzo, le pizze serali sul treno del ritorno (e gli yogurt al bifidus che mi hanno fatto tornare alla normalità una volta conclusosi il turbine festivaliero).
Però, come sempre succede, i ricordi indelebili sono anche quelli legati a sventure e a sassolini nelle scarpe. In effetti, a partire dal secondo giorno di Mostra, per colpa degli agghiaccianti – nel senso letterale del termine – deumidificatori/condizionatori di sala Darsena, sala Perla e del Palabiennale, ho iniziato a percepire un accenno di mal di gola che nell'arco dei giorni successivi si è evoluto in una vera e propria influenza, tra raffreddore e indolenzimenti che a un certo punto mi hanno addirittura costretto a rinunciare a un paio di film pomeridiani per tornare a casa a stendermi, per poi tirare avanti la giornata successiva con Tachipirina e Benagol.
Assolutamente vergognosa, per quanto mi riguarda, la sfacciata ipocrisia della Biennale che costringe i frequentatori a firmare online il modulo sulla neutralità carbonica (vincolante per la concessione dell'accredito!) per poi sparare aria condizionata a pallettoni come se non ci fosse un domani, fregandosene di ogni buonsenso ambientale e finanziario. Infatti mi chiedo: al di là dei danni terrificanti all'atmosfera, quanti soldi si risparmierebbero con una maggiore accortezza su questo aspetto? Non siamo nell'era della macchina a vapore, è il 2024 ed esistono tutte le tecnologie necessarie per poter dosare l'afflusso di ventilazione in un ambiente chiuso, anzichè costringere centinaia di poveri cristi ad avvolgersi in giacche di pile a fine agosto (perché è questo che mi è toccato fare per non soffrire) ed esporle a uno sbalzo termico di 15 gradi tra l'interno delle sale e la calura esterna del riscaldamento globale. Scusate la lamentela, ma si tratta di un problema che ormai da anni non frega a nessuno di risolvere.
Ma com'è stata quest'edizione nella sua proposta cinematografica? Quest'anno ho voluto strafare e alla fine, in totale, mi sono visto la bellezza di 44 film (con una media, logicamente, di 4 film al giorno), contro i 30 del 2022 e i 32 del 2023. Stavolta mi ero messo in testa di voler vedere ad ogni costo tutti i film del Concorso e incredibilmente ci sono riuscito. Però, a differenza dei due anni precedenti, ho visto anche tante opere di Orizzonti e di Orizzonti Extra, alcune delle quali, come avviene molto spesso, più avvincenti e interessanti di quelle del Concorso ufficiale. A causa del sold out dei posti disponibili in tutte le proiezioni, ho dovuto rinunciare a malincuore soltanto a due opere alle quali tenevo molto: Cloud di Kiyoshi Kurosawa e Baby Invasion di Harmony Korine.
Un po' per partito preso e un po' per mancanza di tempo, avevo da subito escluso di cimentarmi nella visione delle serie. Apprezzabile la scelta di Alberto Barbera di proporne così tante (e integralmente) in programmazione, perché ormai la serialità (d'autore e non) è parte delle abitudini di consumo di chiunque, perciò sarebbe stato anacronistico farne a meno da parte di un festival nevralgico come quello veneziano, ma rimango dell'idea – rafforzata dalla straniante visione in sala de L'arte della gioia all'inizio dell'estate – che la fruizione di una serie al cinema sia un'esperienza poco consona al linguaggio e all'ontologia del prodotto, al quale si rischia di fare addirittura un torto, seppure nella buona fede di nobilitarne il nome sul piano del marketing (ma tutto sta a credere o meno al pregiudizio che la televisione sia inferiore al cinema e che quindi una serie, per essere bella, debba per forza ambire ad essere "cinematografica", cioè quello che non è).
Certamente mi porterò nel cuore il divertimento brillante di Wolfs – Lupi solitari (con una scena indimenticabile di corsa in mutande per le strade newyorkesi umidicce di nevischio), il pop accattivante ma profondo di Diva Futura, la toccante levità di L'attachement, la tensione in diretta di September 5 (con il suo inquietante aggancio alla tragedia, eterna e attualissima, di Gaza), il pirotecnico catalogo di nevrosi della mia generazione in Diciannove, lo sguardo minaccioso di Francesco Di Leva in Familia, la schiettezza sentimentale di Love, le risate in sala Darsena durante la gag del Soul Train di Beetlejuice Beetlejuice e per tutto lo strepitoso secondo tempo di Broken Rage, la tagliente tenerezza di Alice Rohrwacher nel corto Allégorie citadine, il finale struggente di I'm Still Here di Walter Salles con la sua poetica della memoria, il contrastato rapporto padre-figlio di King Ivory ma anche di The Quiet Son, la follia giocherellona di Pavements (e di Happyend) e persino la sfrontatezza di Pupi Avati ne L'orto americano, derisa da nuove generazioni che scambiano il grottesco per cringe.
L'esperienza più contradditoria l'ho vissuta con Joker: Folie à Deux: mi stavo annoiando e irritando per tutta la prima parte, ma la svolta che piomba d'improvviso a mezz'ora dalla fine (ne discuteremo tanto, garantito) mi ha spiazzato per come spalanca una voragine sui populismi odierni e su come i social abbiano aggravato il caos politico e sociale delle nostre democrazie (con aperte allusioni all'assalto al Campidoglio e persino una sorta di profezia dell'attentato a Donald Trump). Resta un film traballante, ma è fra quelli che più mi lavoreranno nei pensieri.
Quest'anno, forse più che nel 2022 e nel 2023, sono anche abbondate le ciofeche, ma più che i polpettoni hipster dichiarati (fra tutti Harvest di Athina Rachel Tsangari) fanno male i fallimenti clamorosi, tipo il film di Gianni Amelio o quello dei fratelli Boukherma. Il fatto che tra i miei preferiti in assoluto non ci siano molti film andati a premio (a partire dal Leone d'oro, che mi ha reso assai contento per Pedro Almodóvar ma senza che il film mi toccasse emotivamente o mi convincesse del tutto) è solo indice di quanto il cinema parli in maniera diversa a ciascuno di noi, ma anche di quanto i premi lascino molto spesso il tempo che trovano (ricordando che i due più bei film di Venezia 80, La bête e Hors-Saison, non vinsero nulla e in Italia devono ancora essere distribuiti). Il vero, immenso, capolavoro di Venezia 81 è stato accolto con riserve e snobbato dai giurati, ma chissenefrega: l’importante è che esista. E che mi abbia regalato uno sgomento viscerale e inenarrabile a parole, che non mi abbandonerà a lungo.
LA MIA CLASSIFICA DI VENEZIA 81 (in base alle mie visioni)
1. Queer, Luca Guadagnino (Concorso), 10
2. Babygirl, Halina Reijn (Concorso), 8
3. L'attachement, Carine Tardieu (Orizzonti), 8
4. Love, Dag Johan Haugerud (Concorso), 8
5. Broken Rage, Takeshi Kitano (Fuori concorso), 8
6. Diciannove, Giovanni Tortorici (Orizzonti), 7,5
7. Beetlejuice Beetlejuice, Tim Burton (Fuori concorso, apertura), 7,5
8. September 5, Tim Fehlbaum (Orizzonti Extra), 7,5
9. Familia, Francesco Costabile (Orizzonti), 7,5
10. Diva Futura, Giulia Louise Steigerwalt (Concorso), 7,5
11. Wolfs – Lupi solitari, Jon Watts (Fuori concorso), 7
12. King Ivory, John Swab (Orizzonti Extra), 7
13. The Quiet Son, Delphine e Muriel Coulin (Concorso), 7
14. I'm Still Here, Walter Salles (Concorso), 7
15. Super Happy Forever, Kohei Igarashi (Giornate degli Autori), 7
16. Quiet Life, Alexandros Avranas (Orizzonti), 7
17. La stanza accanto, Pedro Almodóvar (Concorso), 7
18. Youth (Homecoming), Wang Bing (Concorso), 7
19. Happy Holidays, Scandar Copti (Orizzonti), 7
20. Trois amies, Emmanuel Mouret (Concorso), 6,5
21. Allégorie citadine, Alice Rohrwacher e JR (Fuori concorso, corto), 6,5
22. Joker: Folie à Deux, Todd Phillips (Concorso), 6,5
23. Happyend, Neo Sora (Orizzonti), 6,5
24. Pavements, Alex Ross Perry (Orizzonti), 6
25. L'orto americano, Pupi Avati (Fuori concorso, chiusura), 6
26. Vermiglio, Maura Delpero (Concorso), 6
27. Marco, Aitor Arregi e Jon Garaño (Orizzonti), 6
28. The Order, Justin Kurzel (Concorso), 5,5
29. Se posso permettermi – Capitolo II, Marco Bellocchio (Fuori concorso, corto), 5,5
30. The Brutalist, Brady Corbet (Concorso), 5,5
31. Maria, Pablo Larraín (Concorso), 5,5
32. Nonostante, Valerio Mastandrea (Orizzonti), 5
33. Leurs enfants après eux, Ludovic e Zoran Boukherma (Concorso), 5
34. Stranger Eyes, Yeo Siew Hua (Concorso), 5
35. Horizon: An American Saga – Capitolo 2, Kevin Costner (Fuori concorso), 5
36. Pooja, Sir, Deepak Rauniyar (Orizzonti), 4,5
37. Campo di battaglia, Gianni Amelio (Concorso), 4,5
38. Iddu – L'ultimo padrino, Fabio Grassadonia e Antonio Piazza (Concorso), 4,5
39. In cerca di un posto sicuro per Mr. Rambo, Khaled Mansour (Orizzonti Extra), 4
40. Coppia aperta quasi spalancata, Federica Di Giacomo (Giornate degli Autori), 4
41. Domenica sera, Matteo Tortone (Settimana Internazionale della Critica, corto), 4
42. April, Dea Kulumbegashvili (Concorso), 3,5
43. Harvest, Athina Rachel Tsangari (Concorso), 3
44. El Jockey, Luis Ortega (Concorso), 2
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