Bisogna ammetterlo, mi ero sbagliata e sono qui a confessarlo. Chi vuole legga la mia prima recensione e capirà, è tutto documentato e mi cospargo il capo di cenere.
E adesso a noi.
Su questo film sono state scritte pagine bellissime, basta fare un giro sul web per trovarne.
Se ho deciso di dire la mia è per una sorta di riparazione dovuta a tanto capolavoro, pietra miliare del cinema italiano, e non solo.
Perché riparazione: perché la prima volta che lo vidi, anni fa, non mi piacque. La giovane età e l’inesperienza decisero per me. Poi l’avevo rimosso e l’unica cosa che ricordavo era il cappotto cammello di Alain Delon. Indimenticabile, un’icona, proprietà di Zurlini che, con il maglione verde, l’aveva prestato all’attore per cui aveva un affetto paterno, o fraterno, cosa che fa capire il perché di tante liti fra i due in fase di creazione del film.
Quel cappotto Alain non lo toglie neppure in discoteca, sembra la sua copertina di Linus.
E proprio da quel cappotto, indelebile nella memoria e forse non abbastanza messo in primo piano da tanti esegeti, voglio partire.
Chi è Daniele Dominici, lo splendido Delon che ha nello sguardo tutta la fragilità dell’uomo che sa, conosce e non ha speranze?
E’ un uomo venuto dal nulla e al nulla ritorna, la sua prima notte di quiete è la morte, quando il sonno non ha più sogni.
Ma, come tutti, finchè vive ha bisogno della sua confort zone, e cosa meglio di una copertina di Linus da cui non staccarsi mai? Assurdo? Certo, non sarà quella a salvarlo, se neppure l’amore ci riesce.
E’ quella saggia metafora, a blind man who leads a blind man, che da Katha Upanishad al Nuovo testamento (Se un cieco guida un altro cieco, entrambi cadranno in una fossa) fino a Sesto Empirico passando per Orazio e Erasmo da Rotterdam finisce proprio nei Peanuts.
Quel cappotto Daniele inevitabilmente lo toglierà la prima e ultima notte che passa con Vanina, illudendosi che la sua vita abbia trovato la svolta che cercava.
Nulla di più falso, la sua macchina farà una bella inversione a U invece di andare avanti e un camion che sbuca dalla nebbia gli offrirà la sua prima notte di quiete.
Daniele Dominici, il supplente di Lettere che fa fumare in classe, che mette sull’avviso i liceali sbruffoncelli senza giri di parole (Io sono qui solo per spiegare perché è bello un verso del Petrarca; e presumo di saperlo fare. Tutto il resto mi è estraneo, mi annoia, tanto vale che lo sappiate da subito. Per me rossi o neri siete tutti uguali. I neri solo più stupidi), che conosce Dante a memoria e descrive la Madonna del Parto di Piero della Francesca a Monterchi come nessun critico d’arte ha mai fatto (…ecco il miracolo di questa dolce contadina adolescente, altera come la figlia d’un re. Il silenzio della campagna intorno a lei è così compiuto; finora probabilmente si è divertita a confidarsi con le sue bestie, le chiama per nome e… e ride. Poi a un tratto è tutto finito poiché attraverso i secoli, il destino ha scelto proprio la sua purezza. Lei ne sembra compresa ma non felice, forse già sente oscuramente che la vita misteriosa che giorno per giorno cresce in lei, finirà su una croce romana come quella d’un malfattore), Dominici che ama la vita ma ancora di più la morte, su cui le parole di Goethe che danno il titolo al film pesano come una profezia che si autoavvera, è l’eroe bello e triste, un uomo che troppo sa e troppo ha vissuto, sempre al limite di sé stesso, capace di amore e pietà, troppo diverso per vivere in un mondo di persone normali.
Dominici s’innamora di Vanina e Vanina di lui, anche lei ha un passato che l’ha segnata e il loro incontro è quello di due naufraghi.
Lo sconforto che hai dentro, la tua malinconia senza rimedio, non riesco a sopportarla....
La vede seduta al banco fra i compagni, in quello sconforto riflette sé stesso, è il legame che nasce fra chi si riconosce e per un po’ si tende la mano.
Vanina è bella, invidiata dalle donne e cercata dagli uomini, sta col ricco Gerardo che sgomma con la sua Ferrari davanti a scuola, ha il passato che la provincia bigotta e ipocrita sussurra, una madre che vuole il buon partito e scaccia a male parole Daniele, gli ingredienti della provincia becera ci sono tutti, come i vitelloni ben pasciuti che si trascinano tra feste alcoliche e volgarità varie in attesa della prossima estate folle di vacanzieri spensierati.
Quel respiro che si sente nell’aria e dovrebbe essere vita per giovani nel fiore degli anni, Sehnsucht, nostàlghia, è invece mélancolie, cupio dissolvi, anni dissipati in vuote liturgie, discorsi vanesi, baruffe di piccoli provinciali imbottiti di soldi e pregiudizi.
Storia impossibile quella di Daniele e Vanina, la vita è stretta, costringe a fare retromarce forzate e la morte regalerà a uno dei due la prima notte di quiete.
Rimini d’inverno è la cornice perfetta.
Sul mare grigio la schiuma delle onde traccia righe che sembrano brividi, la foschia avvolge strade e case, piccoli uomini e donne oggetto del desiderio si aggirano come fantasmi, nulla conta che altrove il mondo stia cambiando, solo un breve riflesso in classe dei moti giovanili cade nel nulla, la provincia addormentata dorme lunghi sonni senza risveglio.
Daniele Dominici è un’anima persa, spicca nel gruppo che pure lo accoglie, forse per il suo carisma, forse, e più, per il suo mistero. Gioca a carte, vince, non ha grandi mezzi e il ricco Gerardo con rombante Ferrari rossa fidanzato di Vanina non gli risparmia insulti velenosi.
Monica è la donna con cui vive da anni un amore stanco, al capolinea, li unisce la disperazione muta di una convivenza senza sogni né progetti. Il loro è un appartamento spartano, da stipendiati statali, nelle ville dei ricchi vitelloni di paese Daniele arriva come un corpo estraneo, c’è in lui un’aura che cattura, magnetizza. Lo odiano e lo amano, a lui nulla importa, si lascia vivere fino al momento in cui Vanina sembra restituirgli uno slancio vitale perso negli anni.
Zurlini fa di Daniele l’eroe che precorre i tempi, il suo tedium vitae e lo sconforto di Vanina prefigurano con vari decenni di distanza l’uomo contemporaneo, consapevole di aver perduto la sicurezza degli antichi vincoli sociali e ideali, senza averne stabiliti di nuovi. Senza radici non sa più come determinare gli scopi della sua esistenza e l’atteggiamento verso la vita.
La colonna sonora di Mario Nascimbene semina fredde sonorità jazz che s’impennano all’ingresso della tromba di Maynard Ferguson e del sassofono di Gianni Basso, mentre Domani è un altro giorno della Vanoni è il tappeto sonoro perfetto per lo scambio di sguardi nel ballo in discoteca.
Autore colto e raffinato, Zurlini muove gli attori con la consapevolezza di chi conosce quel mondo, la Rimini delle sue estati e degli inverni malinconici, dove non arriva nessun transatlantico Rex carico di luci, piuttosto una vela sperduta di due anziani turisti inglesi che chiedono informazioni a Dominici che avanza solo, mani in tasca, sul molo nebbioso.
Sono qui da poco, dice ai due, quindi sparisce sulla sinistra dello schermo mentre la macchina punta a lungo sugli scogli battuti dalle onde.
www.paoladigiuseppe.it
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