Su Charlie Chaplin si è detto e scritto molto. È una delle personalità più importanti della storia del cinema in assoluto: attore, regista, compositore, all'occorrenza direttore della fotografia e montatore, ma anche produttore e distributore. Qualsiasi cosa abbia fatto, è sempre riuscito a raggiungere l'eccellenza, regalando all'umanità capolavori immortali che ancora oggi non smettono di emozionare, commuovere e far riflettere.
Come ha fatto un ragazzino poverissimo nato a Londra nel 1889 in condizioni estremamente disagiate (le prime 60 pagine della sua autobiografia ricordano paurosamente le descrizioni di Oliver Twist di Charles Dickens) a cambiare per sempre il corso della storia del cinema?
Ecco, come ho detto poc'anzi, su Chaplin si è detto e scritto molto. Ma un'ampia parte della trattazione riservatagli è stata dedicata ai lungometraggi, da The Kid - Il monello (1921) in poi, con sporadici riferimenti alla produzione precedente, e in maniera quasi del tutto limitata al periodo alla First National (1918-1923)
Il merito specifico di questo piccolo capolavoro della saggistica cinematografica contemporanea è proprio quello di investigare, con uguale attenzione ed approfondimento, il primo Chaplin, quello del periodo Keystone (1914), Essenay (1915) e Mutual (1916-17). Con quale scopo? Quello di scoprire i primi barlumi del genio. Il genio non è tale solo quando è libero di poter scatenare liberamente la propria furia creativa: il genio lo si riconosce anche nel momento del compromesso, anche quando sia necessario rispettare paletti imposti dall'alto, anche quando non si abbia piena libertà artistica o quando non si dispongano grandi capitali per realizzare tutto ciò che si abbia in mente. Questo saggio, scevro da qualsiasi intento teleologico (rischio sempre dietro l'angolo quando si cerca di dire cose nuove su qualcosa solitamente di assodato), riesce brillantemente a dare al lettore la possibilità di comprendere il contesto della nascente industria cinematografica statunitense in cui Chaplin ha mosso i primi passi: dalla pesante eredità delle comiche teatrali e circensi di Fred Karno alla piena interiorizzazione di codici squisitamente cinematografici, passando per l'ingombrante presenza del primo produttore Mack Sennett e i primi connubi artistici (Mabel Normand, Chester Conklin, Edna Purviance, Leo White, Eric Campbell, etc.), con ampi riferimenti biografici che non scadono mai nell'agiografia né nel sensazionalismo scandalistico, che pure hanno fatto parte della vita del grande artista.
Il merito del saggio di Peter von Bagh, critico finlandese passato a miglior vita nel 2014 che ha dedicato la vita a studiare Chaplin, tradotto in italiano da Enrico Rainò per conto della sempre meritoria Cineteca di Bologna, sta proprio nel riuscire ad alternare abilmente le analisi specifiche dei primi corti della produzione chapliniana a strepitosi discorsi di carattere generale atti a tirar le fila del discorso. Se le prime duecento pagine si rivelino davvero un'epifania per il lettore, che può recarsi su YouTube ad ammirare i primi cortometraggi comici con un occhio nuovo e consapevole, altrettanto può essere detto per la trattazione del 'solito' Chaplin, ovvero quello dei lungometraggi, ben più conosciuto. La capacità di Peter von Bagh di fornire continuamente nuovi spunti di analisi è incredibile, così come è notevole il lavoro di riconfigurazione critica di decenni di analisi dell'arte chapliniana, in cui ciò che si è detto per decenni su Charlot assume, grazie a questo testo, nuovo vigore nella sua ricontestualizzazione.
Strepitose le pagine dedicate al Chaplin compositore e al progetto abortito su Napoleone (per il cinefilo medio l'unico Napoleone mancato è quello di Kubrick: falso!).
Mi sento di consigliarne la lettura sia ai cinefili sia agli spettatori desiderosi di approfondire questo mondo. In tal senso, possono tornare molto utili le edizioni DVD della Cineteca di Bologna che, oltre a presentare i film nel formato adeguato e con la corretta colonna sonora d'accompagnamento (von Bagh dedica ampio spazio alle scelleratezze con cui il cinema muto sia stato presentato per interi decenni in televisione), offrono booklet con antologie critiche davvero utili.
Insomma, un saggio, a mio avviso, assolutamente straordinario che merita di avere un posto nella libreria di ogni lettore interessato a conoscere uno dei più grandi artisti del Novecento.
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