Tra pochi giorni l'uscita in sala di MaXXXine, conclude con orgoglio e la fierezza tipica di una donna combattente, la nota trilogia horror che il regista quarantaquattrenne statunitense Ti West ha ideato, scritto, prodotto e diretto pensando all'attrice trentunenne britannica ma di origini canadesi/brasiliane Mia Goth, coinvolta in questi ultimo progetto anche in veste di co-produttrice.
Il film in questione, oltre al già citato qui sopra e conclusivo, comprendono anche, in ordine di distribuzione un'attrice che si è dedicata anima e corpo al progetto nel suo insieme, gestendo con tenacia nel primo film, X: A sexy horror story, ben due personaggi cardine a cui fare fronte, per proseguire con Pearl: An X-traordinary Origin Story, in cui la bella attrice impersona la giovane Pearl in una sorta di prequel dedicato al personaggio conosciuto anziano (ed assassino) nel film capostipite.
Una trilogia che ha avuto un ottimo riscontro tra gli amanti del genere, che conferma la validità di un regista che ha sempre trovato, attraverso il genere horror, la migliore capacità creativa ed espressiva. Non certo un talento alla Wes Craven forse, ma pur tuttavia un cineasta che pare coltivare un suo stile di racconto in grado di focalizzarsi su personaggi forti come le due donne regine di questa trilogia: Maxine e Pearl, appunto.
Senza perdersi in tentazioni stravaganti da blockbuster come sta succedendo sempre più ahimè, per il vizio di voler fare sempre nomi, a tipo come Eli Roth, talentuosi sin troppo distratti dal budget e dalle offerte delle majors.
La forza della trilogia X è dunque, senza ombra di dubbio, la presenza sempre sfaccettata, cangiante e diversamente sexy di Mia Goth, a suo agio sia nei panni della giovane inesperta pornoattrice agli esordi Maxine, sia nella più scafata medesima attrice qualche anno successivo in cui tenta di sfondare nel cinema vero, seppur sequel di horror di un certo seguito.
Ma a maggior ragione meravigliosa nei panni di Perl: irriconoscibile nel primo film in cui impersona la vecchia proprietaria di casa dagli irrefrenabili istinti omicidi, molto riconoscibile quando, in Pearl (il più riuscito tra i tre, secondo chi scrive, visto Fuori Concorso in tarda serata al Festival di Venezia 79 e purtroppo mai uscito in sala), ne tratteggia la drammatica e violenta giovinezza.
Pur non raffrontabile alla semantica di un autore concettuale e teorico di genere come il già citato Craven, o al discorso comunitario/politico che un grande intellettuale del cinema di genere come George A. Romero ha portato avanti lungo tutta una carriera costellata non solo di zombies ma pur sempre di personaggi che si trasformano da belve a vittime, da minaccia ad oggetto di discriminazione, il cinema di Ti West, ed in particolare questa riuscita trilogia, si innesta su due momenti focali di un' America profondamente lacerata da dissidi e sconvolta da violenza ordinaria senza precedenti.
Da una parte l'America del primo ventennio di un '900 bigotto e puritano che preferisce ricorrere alla violenza piuttosto che concedere la possibilità ad ognuno di tentare di trovare la propria via di realizzazione delle proprie attitudini. L'America di Pearl.
Dall'altro l'America della violenza metropolitana, dei serial killer di fine anni '70 e primi '80 in una Los Angeles ferina e sanguigna moto simile a quella raccontata da tre un quarantennio in tutta l'opera di autori celebrati ed ispirato come Bret Easton Ellis.
L'America di Maxine.
Ogni qual volta il cinema horror smette di parlare solo di sé stesso, ma sconfina a tracciare i dettagli di un periodo storico o di un determinato pensiero di vita, spesso esso diventa un qualcosa di più che un semplice esercizio per provocare e sollecitare istinti primari e riflessi spontanei.
Esso diventa cinema d'autore. Con Ti West e la sua trilogia, ci siamo quanto meno piuttosto vicini, senza per questo necessariamente sentirsi in dovere di scomodare i grandi maestri di genere, come John Carpenter e gli altri due illustri già menzionati.
Ma ecco una sintesi delle recensioni dei tre film, presi in ordine cronologico di fattura, e tramite il cui titolo e possibile accedere alle tre singole complete recensioni.
La miseria, le malattie, non ultima la pandemia, la cosiddetta “spagnola”, che colpì nel primo ventennio del secolo scorso lasciando vittime in ogni casa.
La follia della protagonista, che matura poco per volta mentre lo spettatore impara a conoscerla, consente a Mia Goth di addentrarsi nella definizione di un personaggio che non smette di stupire, nel candore quasi innocente, ma anche assai letale, con cui finisce per affrontare le situazioni avverse, riuscendo sempre a spuntarla in modo egregio, lasciandosi dietro sangue e morte.
Pearl è un film che è stato concepito in quanto desiderato e pensato fino in fondo: tutto ciò emerge chiaramente anche dal trasporto che accompagna l'interpretazione della Goth, da vero ammirevole nell’affrontare la sua sfaccettata e mutevole parte.
Voto 8/10
La trilogia di Ti West, o meglio ancora più propriamente "su" Mia Goth, protagonista e produttrice delle tre opere, si concentra sulla vita di quella Maxine (Mia Goth appunto) unica sopravvissuta al massacro perpetrato ai danni di una troupe cinematografica specializzata in film porno, da parte dei due anziani proprietari della fattoria locata per ambientarci il film. Se il secondo film, intitolato Pearl, ripercorreva la vita della vecchia assassina ripartendo dalla gioventù di quest'ultima, MaXXXine torna a bomba sul personaggio del primo film, e vede la ragazza a metà anni ottanta mentre cerca di ottenere una parte al di fuori dei circuiti hard.
Questo atteso terzo capitolo della cosiddetta "trilogia X (iniziata con X: A sexy horror story, proseguita con Pearl: An X-traordinary Origin Story) è quello più citazionista riguardo al cinema, ai film di genere, tanto da sembrare un riciclaggio delle teorie ieri inviabili e quasi "matematiche" sull'horror della serie Scream di Wes Craven.
La storia si dipana tra gli studios Universal e la collina di Hollywood sormontata dalla celebre scritta monumentale, passando per il set di Psyco e i locali a luci rosse di una Los Angeles frenetica e terrorizzata nello stesso tempo.
Il film è godibile e Mia Goth irresistibile con le lentiggini fuori controllo e seducente quasi quanto lo era Kim Basinger in quegli stessi anni.
La storia si fa guardare senza particolari impennate narrative, salvo un po' cedere nel finale un po' tirato via e attaccato in modo posticcio.
Voto 6/10
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