Scorrendo gli incassi dei primi venti titoli nel box office della settimana scorsa e spingendosi un po' indietro e un po' avanti nella programmazione cinematografica, saltano all'occhio le presenze di alcuni oggetti che, pur essendo proiettati in sala, non appartengono propriamente alla categoria Cinema. Metterli in evidenza non è esercizio sterile o di puro snobismo ma può servire ad innestare una piccola riflessione su quello che il cinema in sala stia diventando.
Nell'ultimo box office infatti, sicuramente complice anche una stagione (fino ad oggi) non proprio effervescente, ci sono tre posizioni occupate da proiezioni di serie tv. C'è L'arte della gioia, la serie prodotta da Sky e dedicata alla figura di Goliarda Sapienza, sdoganata come cinema fin dalla sua presentazione al festival di Cannes, che è stata divisa in due episodi modellati per essere distribuiti nelle sale e occupa due posizioni abbastanza rilevanti. E c'è anche la sorprendente presenza della serie tv The Chosen, progetto partito dal basso (finanziato dagli stessi spettatori) con l’intento di mettere in scena "nei minimi particolari" la storia di Gesù. Una serie che è ormai arrivata alla sua quarta stagione, distribuita inizialmente online sul sito ufficiale e poi resa disponibile anche su Netflix (solo la stagione 1), che è riuscita ad incassare 150.000 euro in due giorni con una manciata di schermi.
Restando sulle serie tv che occupano spazi cinematografici a luglio uscirà nelle sale anche la nuova avventura seriale di Damiano e Fabio D'Innocenzo. Una produzione Sky, distribuita da Vision, intitolata Dostoevskij. Si tratta di un thriller neonoir ambientato nella periferia romana con Filippo Timi nella parte di un detective tormentato dalla ricerca di un serial killer che riflette, come uno specchio deformante, i fantasmi del suo passato.
A voler ben guardare anche i Me contro te rappresentano un'escursione poco cinematografica e rientrano perfettamente nel concetto di eventizzazione del cinema. E naturalmente tutti i concerti, live o meno, distribuiti in sala in questa stagione, a cui si sommano i documentari d'arte targati Nexo Digital. Si tratta di prodotti che spesso focalizzano la loro distribuzione in una manciata di giorni - salvo successi eclatanti che poi si guadagnano estensioni di programmazione - e che fanno leva su fan base e adesioni specifiche. Il fenomeno non è nuovo ma sta diventando sempre più importante in termini numerici e naturalmente sta anche diventando un'espressione dell'atteggiamento con cui, sempre più, ci si avvicina ad una proiezione in sala.
Nello schema dell'eventizzazione rientrano anche le riedizioni (in 4k o meno) di, più o meno grandi, capolavori del cinema del passato. Nel solo 2024, tra i titoli già usciti e quelli che devono arrivare, esclusa la rassegna Almodòvar, siamo già oltre la ventina. Si va da Il cacciatore a The Mask, da L'odio a Scarface, da L'arpa birmana a Gravity. Non tutti con lo stesso peso specifico nella storia del cinema, non tutti con la stessa potenza di fuoco e non tutti con la stessa presa sul pubblico. Ma in questo momento non ci interessa il successo, ci interessa il movimento, lo spostamento di asse, quello che assomiglia sempre di più ad un chiaro meccanismo di sopravvivenza che la sala sta mettendo in atto per rimettere in movimento gli appetiti degli spettatori. Per farli uscire di casa. Per farli avventurare fuori dalle mura domestiche, rassicurandoli con prodotti che in qualche modo risuonino con la loro identità, innestando di fatto, un duello tra comfort zone. Dentro e fuori.
Mentre scriviamo questo testo, Inside Out 2 ha riportato di botto al cinema 450.000 persone in un solo giorno. Si tratta di spettatori che fino a ieri erano dati per dispersi, spettatori che non si sono mossi per prodotti, magari anche di valore, che non si potevano appoggiare da nessuna parte, che non erano puntellati da alcun sostegno identitario. Il film Pixar che sta macinando record in tutto il mondo è un buon veicolo di questo ragionamento, è proprio l'evento che fa la parte del leone tra gli agnelli impauriti che siamo diventati.
Chi ha visto il film nei suoi primi due giorni di programmazione, racconta di una platea demograficamente eterogenea: bambini, adolescenti, ragazzi, genitori, giovani vecchi, vecchi giovani. Tutti mossi da meccanismi identitari ereditati dal primo Inside Out e tutti commossi dall'arrivo di Ansia che ha raggiunto Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto tra le emozioni che animano il teatro interno della protagonista Riley. Ma non solo. Perché Ansia non risparmia nessuno, non i genitori, non i bambini, men che meno i giovani.
Ed è chiaro che c'è qualcosa di molto intimo che lega perfettamente questi due elementi: l'ansia che ci divora e le comfort zone alle quali affidiamo il compito di rassicurarci.
Dentro e fuori. Inside Out.
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