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Cimiteri viventi
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I cimiteri nei film horror hanno sempre avuto il potere di evocare una paura ancestrale, quella del contatto con l'ignoto e l'inspiegabile. Poche scene catturano questa sensazione meglio dell'apertura di La notte dei morti viventi di George Romero. La scena iniziale si apre con una musica inquietante che risuona sinistramente, accompagnando l'ingresso al cimitero di Johnny e Barbra, fratello e sorella, che si recano a visitare la tomba del loro defunto padre. I viali del cimitero sono deserti, le fronde degli alberi ondeggiano come spettri silenziosi e non c'è anima viva in vista. La sensazione di desolazione è palpabile, quasi come se il cimitero stesso fosse un'entità vigile, pronta a risvegliare i suoi abitanti.

Mentre i due trovano la tomba del (non) amato genitore, il cielo minaccia di aprirsi in un temporale furioso e in lontananza si intravede la figura barcollante di un uomo. È in questo momento che Johnny, con il suo cinico senso dell'umorismo, inizia a scherzare con la sorella Barbra. "I morti ti prenderanno" le dice, rievocando uno scherzo infantile che le aveva fatto in passato. La sua voce risuona nel cimitero silenzioso come un'eco di beffarda ironia. La scena è ricca di simbolismo. Il cimitero non è solo un luogo di riposo eterno, ma una soglia sottile tra il mondo dei vivi e quello dei morti. In questa sequenza, Romero non solo costruisce una tensione crescente, ma riesce anche a utilizzare il cimitero come metafora della nostra paura dell'ignoto. I cimiteri nei film horror rappresentano spesso questa paura: luoghi di mistero e di angoscia, dove il confine tra la vita e la morte si sfuma e si confonde. La presenza stessa di tombe e lapidi ci ricorda la nostra mortalità e il silenzio che le avvolge sembra quasi sussurrare i segreti inconfessabili dei morti. Per Romero la morte non è mai davvero la fine, ma solo l'inizio di un nuovo incubo.

 

Judith O'Dea, Russell Streiner

La notte dei morti viventi (1968): Judith O'Dea, Russell Streiner

 

Se il cimitero visto nell'incipit del film di Romero avesse avuto un custode come Francesco Dellamorte, probabilmente la storia de La notte dei morti viventi sarebbe stata diversa, ma non meno affascinante. Lo zombie non avrebbe ucciso Johnny, e Barbra non sarebbe stata costretta a una fuga disperata. Nella piccola cittadina di Buffalora infatti, i "ritornanti" vengono neutralizzati con un colpo di pistola in testa dal personaggio inventato da Tiziano Sclavi (scritto originariamente nel 1983 ma pubblicato solo nel 1991) e portato sullo schermo nel 1994 da Michele Soavi. Dellamorte Dellamore, un film che mescola horror e commedia nera, presenta una visione profondamente filosofica e disperata della società contemporanea. La routine di uccisioni quotidiane del protagonista, ripetitiva e priva di senso apparente, diventa una metafora della nostra lotta contro l'inevitabilità della morte e la banalità della vita quotidiana. Se Dellamorte fosse stato presente nel cimitero di Romero, la sua efficienza letale avrebbe stroncato sul nascere la minaccia dei non morti. Il primo zombie del 1968 avrebbe incontrato una fine rapida e definitiva grazie alla pistola di Dellamorte. La presenza del personaggio interpretato da Rupert Everett avrebbe radicalmente cambiato il corso degli eventi, trasformando una tragedia in un'ordinaria notte di lavoro. Il film di Soavi, oltre a proporre un'interpretazione innovativa del genere horror, ci offre una riflessione profonda sulla condizione umana. Il cimitero di Buffalora diventa una metafora del mondo intero, un luogo dove vita e morte si mescolano incessantemente. Per chi ha paura dei cimiteri, quello di Buffalora avrebbe avuto un motivo in più per passarvi la notte. In Dellamorte Dellamore, la presenza enigmatica e affascinante di Anna Falchi, che interpreta ben tre personaggi distinti, aggiunge un ulteriore strato di mistero e seduzione. Anna Falchi, con la sua bellezza eterea e magnetica, porta alla vita tre caratteri che sono tanto attraenti quanto inquietanti. “Lei” si trasforma presto in un oggetto del desiderio per Francesco Dellamorte, il cui cuore arido è improvvisamente inondato da emozioni contrastanti. La loro storia d'amore, ovviamente, è destinata a finire in tragedia.

Anche il misterioso e sinistro terreno sacro di Pet Sematary, diretto da Mary Lambert nel 1989, ha il potere di riportare in vita i morti, ma ad un prezzo terribile. Gli esseri che risorgono dal cimitero indiano, fondato dalla tribù dei Micmac, non tornano mai come prima; sono versioni contorte e malvagie di se stessi, incarnazioni viventi di un'oscura maledizione. Questo luogo arcano e proibito incarna la disperazione e la tentazione di sfidare l'ordine naturale delle cose. Nel film di Lambert, la speranza delirante di poter riportare indietro i propri cari defunti trasforma il dolore in una spirale di orrore e follia. Quando il piccolo Gage Creed, il figlio del protagonista Louis, viene tragicamente investito da un camion, il cimitero Micmac diventa un simbolo di tentazione irresistibile. La sofferenza e la disperazione di un genitore che ha perso il proprio figlio sono intensificate dalla speranza perversa di poter riavere ciò che è stato strappato via. Se Dellamorte Dellamore esplora la monotonia e la tragedia del confronto quotidiano con la morte, Pet Sematary penetra nei recessi più profondi della psiche umana, rivelando come la perdita possa trasformarsi in un'ossessione distruttiva.

Guardare questi film può aiutare a esorcizzare la paura dei cimiteri, trasformando il terrore in una comprensione più profonda delle nostre ansie e desideri. Come dice Dellamorte all'inizio del suo film, al cimitero "si vive", ricordandoci che, anche nei luoghi più oscuri, la vita continua a pulsare sotto la superficie.

 

Blaze Berdahl, Fred Gwynne, Dale Midkiff

Cimitero vivente (1989): Blaze Berdahl, Fred Gwynne, Dale Midkiff

 

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