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Mettere la cornice al caos
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La puntata di martedì scorso di Morning - il podcast con cui il quotidiano online Il Post entra nelle case di molti ascoltatori tutte le mattine alle otto e con cui Francesco Costa, che lo conduce da tre anni, racconta cosa è successo nel mondo e come i giornali scelgono di dirlo - si apre con una lettera di una ascoltatrice.

Se seguite un po' l'attualità saprete che si sono tenuti a Roma gli Stati Generali della Natalità, un incontro promosso dal Comune della capitale e da alcune associazioni di matrice cattolica con l'obiettivo di "affrontare il problema del calo demografico".

A uno di questi incontri la ministra Roccella è stata contestata da circa 15 studenti, dopodiché, sostenendo che questi 15 (quindici) studenti dotati di striscioni "non la lasciavano parlare", si è dileguata e ha colto l'occasione per innestare sul fatto accaduto una campagna denigratoria verso la contestazione, tirando in ballo, a sproposito, persino la censura. Ignorando o manipolando il concetto che la censura viene esercitata dal potere verso il basso e non dal basso verso il potere. Ma va be'.

Sta di fatto che del calo demografico del nostro paese, delle ripercussioni, delle sue conseguenze culturali, economiche e finanziarie, si è parlato abbastanza nell'ultima settimana, mettendo l'accento sia sulla mancanza di adeguate politiche a sostegno delle famiglie e dei giovani, sia sul modo un po' paternalistico con cui questo governo, o forse tutti i governi, buttano lì esortazioni un po' sbrigative del tipo "Su, dai, ragazzi, fate più figli". E l'ascoltatrice di Morning aveva qualcosa da dire in proposito.

Voleva dire che tra guerre, situazione ambientale, tensione nucleare e contesto politico generale, il mondo non manda segnali molto rassicuranti sul proprio futuro, cosa che evidentemente alimenta una certa mancanza di visione in chi i figli dovrebbe farli. Quindi, al di là delle giuste esortazioni a mettere in cantiere adeguate politiche di sostegno, c'è un clima di sfiducia che sposta l'asse da un piano puramente pragmatico a quello ideologico: da questa posizione, signori, il futuro non si vede.

Stacco.


Sul tappeto sonoro composto dal canto di svariati uccelli che accompagnano il sorgere del sole e dal malinconico tema musicale del musicista Leonard Küßner, la camera di Wim Wenders si insinua nella natura, volando lentamente ad altezza di sguardo, e finisce per adagiarsi sul tessuto di un vestito bianco montato su un manichino, o forse su una struttura invisibile che tiene il vestito come sospeso, vuoto ma pieno.

I vestiti bianchi dell'artista Anselm Kiefer con i loro strascichi che si mescolano al terreno stanno, forse, in piedi proprio solo grazie agli strascichi intrisi di gesso, terra e polvere che diventano indistinguibili da vere e proprie radici e assolvono al compito di tenerli in piedi.

Le figure vestite di bianco sono posizionate su una collina panoramica e sono orientate  a est, verso il sole per cui potrebbero godere di un panorama rassicurante e pieno di buoni auspici. Peccato che queste figure siano sprovviste di testa. Al posto del capo hanno una rappresentazione schematizzata del sistema solare, oppure semplicemente niente, il vuoto. Nel corso del documentario Anselm, se ne vede una che al posto della testa ha una vecchia cinepresa e ricorda il poster del film L'uomo con la macchina da presa di Dziga Vertov, e altre hanno sopra al vestito le famosissime stanze impilate una sull'altra che si possono ammirare, in versione originale, ossia gigante, alla mostra permanente di Kiefer: I sette palazzi celesti all'Hangar Bicocca di Milano.

Arrivo alla visione di Anselm con lo spirito appesantito dalla stessa nuvolaglia grigia alla quale allude l'ascoltatrice di Morning. Io le figlie ormai le ho fatte, sono lanciate con il loro carico genetico in uno scenario che non brilla per opportunità. Ma, come dice Francesco Costa nella sua risposta all'ascoltatrice, quando mai il mondo è stato rassicurante? Non esiste un buon momento per fare figli, non è mai esistito, dipende tutto dalle politiche sociali.

Il mondo in mano agli uomini è sempre sull'orlo del collasso, sempre dilaniato da guerre, impoverito nelle sue risorse naturali da pochi individui senza scrupoli. Chi ricopre cariche o posizioni di potere persegue obiettivi a breve termine, quando non smaccatamente opportunistici. Già il fatto che i contributi dei lavoratori giovani debbano pagare le pensioni degli anziani è una reiterata aberrazione contabile, il più scalcagnato revisore dei conti non farebbe mai passare una cosa del genere se a farla fosse una società nel suo bilancio di fine anno. I contributi pagati nel corso di una vita devono essere accantonati e investiti e usati per pagare le pensioni quando chi ha pagato vuole smettere di lavorare, non usati per sbarcare il lunario statale.

A dispetto delle nuvole che addensano il presente e impediscono un qualsiasi sguardo pulito sul futuro, vedere Anselm Kiefer nel film di Wim Wenders - mentre gira nei suoi immensi spazi, mentre coltiva le proprie idee aggiustando i dettagli di tele immense, mentre si muove in bicicletta nell'immenso capannone in cui sono stipate le sue opere o le radici delle sue opere - è una sensazione che riempie la testa e il cuore di buoni propositi e spazza via con un gesto netto e definitivo tutte le scorie del presente.

Quell'immenso capannone industriale in cui si muove Anselm Kiefer, seguito dall'occhio di Wenders, è come un magazzino di idee raccolte nel corso di una vita. Ci sono fotografie, libri e oggetti strampalati che in qualche momento Kiefer deve aver pensato potessero contribuire ad una sua opera. È tutto lì, archiviato, apparentemente caotico, ma a portata di mano, o almeno di bicicletta.

Vederlo con i suoi pantaloncini corti e i suoi sandali mentre scolpisce una tela col getto di un lanciafiamme, vederlo salire su un montacarichi per raggiungere la sommità di un'enorme tela per perfezionare - con un bastone intinto in una vernice nera come la pece - un decimetro quadrato di un'opera che misura venti metri per dieci, sono cose che fanno veramente bene all'idea di cosa può realizzare l'Uomo. È tutta una questione di prospettiva e di visione. Visione e prospettiva che sono dentro di noi, non fuori. Ed è in questo dentro che risiede la scintilla di qualsiasi creazione.

Ad un certo punto, nel documentario, durante la ricostruzione di un momento della vita del giovane Anselm (interpretato dal figlio del medesimo artista), Kiefer decide di partire per andare ad incontrare il poeta rumeno di origine ebraica Paul Celan, sua vera e propria anima gemella. Il giovane Anselm, quindi, mette un po' dei suoi disegni sul tetto di un maggiolino giallo e parte. La macchina di Kiefer è ripresa da Wenders con una straordinaria sequenza aerea e il contrasto che si apre ai nostri occhi è semplicemente meraviglioso e pieno di significati.

La piccola macchina gialla percorre una strada nera che taglia, come un canale, un vasto terreno completamente sterilizzato dalla neve e dal ghiaccio. Il maggiolino di Kiefer con il suo carico, si fa strada nel deserto bianco, solcando e tagliando il nulla. L'orizzonte davanti a lui è plumbeo ma la visione da cui l'artista è animato è tutta compressa al suo interno e questo è sufficiente per spingerlo avanti con ostinazione verso la (pro)creazione. Senza dimenticare la Storia, ovviamente, senza far finta di non vedere il male che gli uomini sono capaci di fare alla Storia. Per incontrarlo, invece, quel male, tra la parole del poeta Celan, per masticarlo, digerirlo, interiorizzarlo e sputarlo fuori. Con una vernice nera come la pece. E, se non basta, usando il lanciafiamme come se fosse uno scalpello.

Verso la metà del film, l'artista mostra a Wenders, e quindi a noi spettatori, gli immensi spazi industriali che ha rilevato a Barjac, piccolo comune della Francia. Si tratta di una ex fabbrica di mattoni che ancora, come un passato ingombrante, riempiono interi segmenti del gigantesco fabbricato. Di fronte ad una di queste enormi stanze quasi completamente invasa della sabbia necessaria alla produzione dei mattoni, arginata solo dalle altissime pareti del locale, Kiefer dice una frase illuminante: se metti una cornice al caos, allora ecco che diventa un quadro.

Deve essere per questo che nell'ultima inquadratura del documentario, Kiefer prende sulle spalle il bambino che ha interpretato Anselm da piccolo in alcune sequenze (che tra l'altro è il nipotino di Wim Wenders). Non tanto per vedere più lontano, perché tanto siamo sempre e solo "nani sulle spalle di giganti", quanto per associare anche l'uomo ad una architettura complessa, ad un ciclo che continua, che non si deve spezzare. E per aiutare il nipotino di Wenders, cioè se stesso nel film, a individuare nel caos del mondo la sua propria cornice.

Se non conoscete Morning sappiate che è un podcast solitamente disponibile solo agli abbonati de Il Post ma questa settimana lo potete ascoltare gratuitamente. Lo trovate qui e questa è la puntata di cui parlo.

Chi ha visto Anselm si ricordi di votarlo e di dirci cosa ne pensa, qui vi segnalo chi ne ha parlato bene e con cognizione di causa.

Chi vuole, infine, commentare questo testo o magari buttare lì l'idea vincente per sbaragliare questo sistema malato che condanna i giovani a pagare le pensioni di noi vecchi, può usare la funzione commento qui sotto.

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