Tutto ha inizio nel 1890.
Attraverso la sua fine ed incisiva penna, il celebre scrittore Émile Zola racconta di Roubaud, un onesto ferroviere quasi quarantenne (ma in entrambi i film verrà impersonato da attori ben più maturi), vicecapo della stazione di Le Havre nella seconda metà del XIX secolo, che, dopo un alterco con un facoltoso cliente pretenzioso ed arrogante, teme di aver compromesso la sua carriera e di essere licenziato a breve dal suo responsabile direttore.
Pur scongiurare una disgrazia del genere, Roubaud chiede alla giovane e bella consorte Séverine (Simone Simon per Renoir, Gloria Grahame per Lang, impegnate non ufficialmente in una gara di avvenenza in cui risulta difficile, se non impossibile, scegliere una vincitrice), che lo ha sposato più per sistemarsi che per vero amore, di intercedere a suo favore nei confronti del suo facoltoso padrino, un anziano ricco uomo noto a molti per non essere indifferente alla bellezza di giovani ragazze, che le fece da tutore quando sua madre lavorava come domestica in casa dell'uomo.
La donna cerca di rifiutarsi, e, consapevole di esser stata ben più che semplice figlioccia del capo del marito, e dunque, certa di finire nei guai, fa di tutto per desistere, ma alla fine decide suo malgrado di provare ad incontrare l'uomo. Presto Roubaud capisce cosa c'è stato tra Séverine e il suo capo, e, devastato dalla gelosia, in un raptus d'ira organizza un diabolico piano per eliminare l'uomo sul treno che li riporta a casa, finendo per ucciderlo dopo una breve colluttazione. Il malcapitato ma onesto e un po' ombroso Jacques Lantier (Jean Gabin nella versione di Renoir, Glenn Ford in quella di Lang), un collega di Carl, si trova in quello stesso convoglio poco lontano dal luogo del delitto, e nota movimenti strani nella cuccetta che ospita i tre individui.
È un uomo tormentato, il Lantier, soprattutto quello della prima, meravigliosa trasposizione a cura di Renoir.
Il personaggio del film francese è un individuo colto da pulsioni omicide improvvise a stento trattenute, che non gli consentono di vivere serenamente una vita sentimentale come meriterebbe.
Quello della pur notevole versione americana di Lang è un uomo onesto al massimo turbato dal non essere riuscito pienamente a realizzarsi, soprattutto dal punto di vista amoroso ed affettivo.
Osservando i due coniugi indaffarati sul treno ed intenti nei loro misteriosi piani, l'uomo rimane irretito dalla bellezza di Séverine, di cui si innamora perdutamente, al punto da convincersi a non rivelare alcuno dei suoi sospetti sul collega e sulla bella moglie durante il processo nel quale sarà chiamato a deporre come testimone dell'omicidio.
Dal canto suo Séverine è costretta col ricatto a tacere, poiché l'astuto marito geloso le ha fatto scrivere sotto minaccia una lettera che la compromettente. Quando Roubaud, sempre più devastato dall'ira e sospettoso, si concede sempre più all'alcolismo per non pensare alla deriva del proprio matrimonio, sua moglie Séverine lo respinge sempre più e si decide a cercare conforto col buon Jacques.
Séverine si convince che deve raccontare la cruda verità al suo amante per indurlo ad aiutarla a liberarsi definitivamente del marito.
Ma l'integerrimo Jacques, devastato dai problemi psicologici che lo affliggono, fallisce nel tentativo di attuare l'omicidio che gli spianerebbe ogni ostacolo, materiale e legale, per un consapevole approccio amoroso con la bella moglie del collega, e, devastato dalla tara che lo affligge, si avvia a mettere fine alla propria infelice esistenza con un gesto repentino quanto tragico.
"La bête humaine", da noi diventato "L'angelo del male", è la prima (datata 1938), stupenda trasposizione del celebre romanzo di Émile Zola, intitolato proprio "La bête humaine", uno dei ben venti romanzi del filone "I Rouguon-Macquart, attraverso cui il celebre scrittore francese intense descrivere la vita di una ricca famiglia con riferimento al rispettivo albero genealogico, utilizzato come una riflessione su una determinata epoca storica così la storia di un'epoca: quella che a partire dal colpo di stato del 1851 fino alla battaglia di Sedan del 1870 portò la Francia sull'orlo del devasto. Seguì nel 1954 il remake tutto americano a cura di Fritz Lang, intitolato più fedelmente da noi "La bestia umana, mentre in versione originale conosciuto come "Human desire", in cui cambiano i nomi dei personaggi, ma non le caratteristiche principali degli stessi né tantomeno il medesimo sfondo ferroviario che nasce dalla professione dei due protagonisti e finisce per riguardare il luogo del delitto che fa da personal romanzo e alle due trasposizioni cinematografiche, girate a sedici anni.di.sistanza una dall'altra.
Se Lang in qualche modo semplifica la vicenda, e toglie qualche sfumatura al protagonista Jeff Warren, che si trova stavolta combattuto tra l'onestà di fondo che lo contraddistingue e la pulsione amorosa che lo prende nei riguardi della giovane sposa infelice, che peraltro vorrebbe comunque vedere lontana dal marito violento e geloso che la tiene in pugno, ben diverso risulta l'approccio di Jean Renoir.
Entrambi i cineasti traspongono la storia di Zola nella rispettiva contemporaneità che li coinvolge.
Lo sfondo della storia e i caratteri generici dei personaggi che compongono la storia dei film di entrambi i grandi registi sono sostanzialmente simili, ma le sfumature che definiscono i personaggi principali sono spesso ben differenti.
Infatti decisamente più complessa, e se vogliamo, più pura o meno contaminata da retoriche e sensi patriottistici, in senso generale e senza per nulla voler svilire l'adattamento nobile e riuscito di Lang, risulta questa magnifica e tragica trasposizione del 1938 a cura di Renoir.
Il suo tormentato e dannato Jacques Lentier, magnificamente cesellato dai tratti severi di un granitico Jean Gabin, è un personaggio degno della madre di tutte le tragedie, senza nulla togliere all'ottimo corrispettivo reso da Glenn Ford nella trasposizione americana di Lang del 1954. Jacques Lentier è un uomo onesto, lavoratore indefesso e uomo di fiducia, ma tormentato nel privato dalla oscura personalità, che lo trasforma in un essere incontrollabile quando istinti animaleschi violenti lo colgono e prevaricano, facendogli perdere momentaneamente misura e raziocinio che altrimenti lo contraddistinguono, trasformandolo, nei momenti più critici, in una belva fuori controllo.
La versione di Fritz Lang invece si preoccupa di tratteggiare, nel personaggio protagonista molto efficacemente reso da Glenn Ford, il tipico americano medio onesto ed intraprendente che, pur colto nel dilemma di una scelta complessa che rischia di indurlo a comportamenti moralmente deprecabili in nome di un istinto amoroso quasi ingovernabile, verrà poi guidato verso la retta via quando la razionalità ed il buon senso prevarranno sull'istinto.
Il film del grande autore francese è pervaso da un pessimismo senza soluzione, che invece nel film del non meno geniale Fritz Lang è presente, ma logorato e vinto dalla ragione e dal buon senso, valori e retorica tipicamente "made in Usa" che ancor oggi sono i pilastri fondanti di una società che crede indissolubilmente nella buona volontà e nella intraprendenza che, unite alla buona sorte, conducono per forza di cose l'americano medio ad un successo e ad una realizzazione assicurati.
Se l'ottimo "La bestia umana" resta un gran film, uno splendido noir ed uno dei capisaldi della lunga e versatile carriera americana del grandissimo cineasta di origini tedesche Fritz Lang, certo non può raggiungere i livelli lirici ed assoluti de L'angelo del male di Jean Renoir, un vero e proprio capolavoro che riesce a definire il bene ed il male attraverso il sacrificio e la passione di tre personaggi dalle innumerevoli sfumature, buoni e malvagi nello stesso corpo, destinati a soffrire e a dannarsi in un contesto di vita crudele, clamorosamente deviato da un destino sempre proteso a "deragliare", per utilizzare un termine decisamente pertinente alla situazione, verso la tragedia.
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