A seguito della conferenza stampa di presentazione del progetto relativo al 42° Torino Film Festival da parte del regista e neo direttore Giulio Base, mi permetto di analizzare quanto sappiamo al momento, cercando, per quanto mi è possibile (non so se ce la farò, è un festival che ho parecchio a cuore, perché ha segnato la mia educazione cinematografica durante tutta la mia vita), di evitare prese di posizione aprioristiche.
La prima, necessaria premessa da fare è ricordare le reazioni tiepide alla nomina di Base: indubbiamente un uomo di cinema, anche se con un’immagine più da mestierante “alimentare” (con una sequenza di serie e film per la TV a tema religioso da Guinness dei primati) che da “autore” (come sicuramente invece avevano alcuni suoi predecessori, da Moretti ad Amelio), oltre alla macchia decisamente anticinefila della partecipazione all’Isola dei famosi. Certo, questi particolari curricolari potrebbero non voler dire poi molto, se non fosse che i direttori-registi suoi predecessori erano più che altro di facciata, avendo dietro le spalle a organizzare il tutto quella vecchia volpe di Emanuela Martini, mentre in questo caso l’assenza di esperienza sembra proprio il punto più debole di tutta l’operazione. Già al momento della nomina si era vociferato di un’entrata a gamba tesa del ministro della cultura Sangiuliano per inserire un uomo apprezzato dall’attuale governo, dubbio sollevato anche dal fatto che al candidato vincitore mancassero due punti fondamentali dei quattro richiesti dal bando pubblico (Documentata esperienza di direzione artistica, ovvero di attività di selezione, programmazione o cura di specifiche sezioni di festival, premi e rassegne cinematografiche e Produzione di saggi, testi, articoli, monografie e/o altre pubblicazioni attinenti la disciplina cinematografica e l’audiovisivo) ai danni di candidati sulla carta sicuramente più qualificati.
Tornando alla conferenza stampa di ieri, sono emerse le prime grandi novità organizzative legate al nuovo corso. Per prima cosa è stata presentata la squadra, composta esclusivamente da giovani sotto i trentacinque anni, per puntare a dare al tutto una ventata di freschezza: giovane è la parola d’ordine più volte ripetuta, il che potrebbe anche essere in linea con lo spirito originario del Festival Cinema Giovani. Però: all’epoca di quelle prime edizioni l'ambiente era decisamente diverso, con una concorrenza ridotta sia come festival che come offerta (al giorno d'oggi siti come Mubi sono in sostanza un festival della durata di 365 giorni e a distanza di un click) e con tantissime cose da scoprire e quindi da proporre (mentre adesso tutto e accessibile immediatamente a tutti). Per di più a coordinare il tutto c’era Gianni Rondolino, professore, critico e storico cinematografico di chiara fama, mentre adesso non ho ben chiaro quale sarà la figura con l'influenza necessaria per gestire le relazioni, soprattutto a livello internazionale. Comunque la scelta di affidarsi ai giovani può essere sì un azzardo sicuramente non facile, ma anche uno stimolo interessante, qualora si trovassero nuove strade davvero innovative e possibilmente non squalificanti qualitativamente. I nomi scelti non li conosco, anche se una prima impressione (non sempre positivissima) me la sono fatta spulciando i loro profili presenti in larga parte sui vari Mubi e Letterboxd (social cinematografici all’interno dei quali scrive anche Base). Lascia un po’ più perplessi il fatto che la squadra sia composta esclusivamente da romani (di nascita o d’adozione), che sembra un po’ una nuova invasione di campo da parte della Capitale (dopo il poco elegante inserimento forzoso dell’elefante Festa di Roma subito prima del vaso di coccio Torino Film Festival di alcuni anni fa). Capisco che un allenatore si porti dietro la sua squadra, ci può stare, però almeno un inserimento locale, per quanto simbolico, sarebbe stato un modo per sembrare meno un alieno disceso dal cielo in stile Roma Attacks!.
Il secondo punto affrontato è stato quello del programma: si è puntato ad un netto ridimensionamento dei titoli proposti (120 titoli, un terzo in meno del solito), per dar modo a tutti di vedere il più possibile (e, immagino, anche per risparmiare), con quattro sezioni competitive: il concorso principale, per il quale si selezioneranno solo anteprime mondiali (cosa non certo così facile, occorre una mole di lavoro e di esperienza notevoli, chiedere a Locarno per referenze), il concorso per i documentari, quello per i cortometraggi e il curioso Zibaldone, sezione competitiva dove verrà inserito di tutto, in qualsiasi formato e durata. Per il resto ci sarà una selezione Fuori concorso con solo 16 titoli e la retrospettiva (non proprio improntata alla scoperta) dedicata a Marlon Brando per il centenario dalla nascita. Una proposta così ridotta comporterà la necessità di non sbagliare niente, perché ovviamente più stretto è il filtro, più quello che si fa passare deve essere di qualità elevata; quindi bisognerà sperare nella capacità di strappare titoli di livello a festival economicamente molto più forti, nonché nel gusto dei selezionatori nello scovare tesori (gusto si spera superiore a quello della locandina scelta per questa edizione, francamente abbastanza scialba), un’impresa dunque decisamente difficile anche per un gruppo rodato e consolidato. Importante sarà, secondo me, non cercare di essere quel che non si è, cercando il glamour e la presenza di star che esulano dallo stile storico del festival e che nemmeno ci si può permettere con il budget disponibile. E nemmeno puntare troppo sul cinema italiano, per il quale c’è già Roma un mese prima, vetrina certo più adatta e appetibile.
Ad ogni modo le mie sono solo speculazioni su un argomento a cui tengo, ma inevitabilmente abbastanza vuote allo stato attuale delle cose, vedremo poi a giochi fatti il risultato. Non voglio fasciarmi troppo la testa a priori, come quella signora che ho incrociato all’ultima edizione del TFF, la quale alla proiezione delle 11 del mattino del primo giorno ha commentato seccata “E’ la peggiore edizione di sempre!”
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