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La vibrazione giusta
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La comicità è matematica, Seppia! In America usano delle equazioni per far ridere, capisci? Usano dei programmi del computer, guardami! Se A più B uguale C, C meno B uguale A, questa è la comicità, capito? Sì però, tu mi dirai, "lo sanno fare tutti", eh? E qui ti sbagli di grosso, Seppia, perché ci vuole la vibrazione giusta.

Ripenso a questa frase pronunciata da quel cretino (amichevolmente perché gli voglio molto bene) di Stanis La Rochelle in Boris, proprio sul finale di un film che, sebbene non mi abbia fatto "sganasciare dalle risate", mi ha fatto percepire a quanti fili fragili e sottili debba restare agganciata una commedia perché sia considerata veramente riuscita.

Ci sono gli attori, certo, che devono possedere almeno il potenziale comico, ma ci sono soprattutto due aspetti complicatissimi sui quali una commedia rischia di scivolare in un batter d'occhio anche se ha a disposizione i migliori comici della terra: la costruzione minuziosa del contesto e la modulazione del registro. Senza un lavoro fine e preciso su contesto e registro, anche le migliori battute recitate dal miglior comico possono naufragare miseramente. Parlo di un film, naturalmente, non di uno spettacolo di uno stand-up che è, per definizione, in mano all'interprete quasi nella sua totalità.

Contesto e registro sono lavori di équipe in cui tutti devono muoversi in piena sintonia: dall'autore all'ultimo tecnico delle luci, dal montatore a chi propone le scelte musicali. Per questo, quando trovo un film non inglese, perché gli inglesi giocano semplicemente in un altro campionato, che riesce a ottenere questi due risultati, me lo bevo tutto di un fiato per non intaccare l'alchimia, per non interrompere la vibrazione e poi ci ritorno, con calma, ad esaminare i momenti clou, quelli più rischiosi, quelli dove i fili della comicità potevano facilmente spezzarsi. Come nel caso di Bottoms di Emma Seligman, disponibile su Prime Video.

Siamo in America, ma non New York, né San Francisco e neanche Boston, la città che fa da sfondo alla storia è New Orleans e il micromondo in cui Bottoms si sviluppa è quello di una scuola, la Rockbridge Falls High School. Una tipica scuola americana in cui la materia di studio più importante è... il football (americano). Macché, il football in certi college non è neanche una materia di studio è una religione, è il fulcro attorno al quale tutto gira, e i giocatori di football ne sono i Cardinali. Alla Rockbridge Falls High School, insieme ai giocatori che non hanno altra identità se non quella di essere i giocatori della squadra - e infatti non si vedono praticamente MAI senza le loro divise - ben al di sotto della soglia della popolarità, vegetano Josie e PJ, due amiche che si sono prefissate l'obiettivo di finire, finalmente, tra le gambe di un paio di splendide e immancabili (nel contesto) cheerleader.

Se c'è una cosa che non ho mai amato sono i teen movie, di sicuro non quelli un po' volgari e virati al maschile tipo American Pie o Suxbad, raunchy come li definisce Alice Cucchetti nell'ultima puntata della newsletter Singolare femminile. Quindi, quando nell'incipit di Bottoms diventa chiaro che l'ambiente e il registro potrebbe essere quello, dentro di me inizia ad insorgere qualcosa, un moto di ribellione verso un genere di film che non è proprio nelle mie corde.

È sufficiente però il primo dialogo tra le due amiche, che si svolge a casa di una delle due, per mettermi a tacere. Un pezzo di bravura delle due protagoniste, certo, ma soprattutto un lavoro di cesello nella definizione del contesto e del registro. Su un fronte, il mondo scolastico americano, completamente succube dello sport; sull'altro una coppia di sciroccate diciottenni con la lingua più disinibita e acuta che riuscite ad immaginare - disposte a tutto pur di portare a termine il risultato - a fare da cardine attorno al quale il film lima, consolida e anche stravolge, il proprio registro.

Dieci minuti di dialogo, forse meno, e già non me ne frega più niente del fatto che i teen movie non sono la mia tazza di te e sono pronto per scendere in verticale, in apnea come Mayol, dentro le dinamiche del college, tra i personaggi perfettamente stigmatizzati del preside (al quale importa solo dello storico incontro di football con i rivali) fino al bidello che passa tra i corridoi della scuola sempre pronto a cancellare qualsiasi offesa venga scritta sugli armadietti delle due amiche, responsabili della doppia colpa di essere lesbiche in un mondo di (finti) machi e di competere con i finti machi per sottrarre loro l'attenzione delle cheerleader. Pazzia.

Pescando un po' da certe estetiche tarantiniane (musiche, montaggio e sangue) e da Lena Dunham (Girls) e Joey Soloway (Transparent) nelle tematiche, il film procede accumulando situazioni e camminando sul filo del grottesco senza mai scivolare né tradire lo spirito originario, con una coerenza veramente ammirevole e, a dispetto dei chiari riferimenti, una spiccata personalità. E il motivo di questa tenuta, nonostante tutti i possibili sconfinamenti di genere, è per me proprio nella capacità di avere dato alla scuola e agli studenti un ruolo tridimensionale e rotondo in cui tutti, non solo le due fenomenali protagoniste - Rachel Sennott, già vista nel debordante Shiva Baby (stessa regista) e Ayo Edebiri, meravigliosa presenza fissa nella serie The Bear - hanno contribuito al risultato. Incluso uno stratosferico Nicholas Galitzine che offre, in Bottoms, uno dei più convincenti e controversi ritratti del tipico giocatore di football che, dietro alle mosse da macho e alla mascella volitiva, una volta smessa la divisa, nella sua cameretta, ascolta in cuffia e canta convinto Total Eclipse of the Heart di Bonnie Tyler. Il tutto mentre un branco di scalmanate gli fa saltare in aria la macchina.

Certe sequenze possono riuscire bene solo quando tutti coloro che partecipano all'opera hanno in mente, e ugualmente a cuore, l'oggetto finale. Il film non sarà un capolavoro (forse un cult istantaneo, sì) ma quella sequenza decisamente lo è. Ma non provateci ad andare dritti a destinazione, alla sequenza clou, lasciate che a portarvici sia il film, piano piano, mentre voi ve ne state lì, sul divano. A godervi la vibrazione.

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