Fellini se ne andava il 31 di ottobre del 1993, trent’anni fa. Pochi, alla fine di ottobre, lo hanno ricordato.
Cercherò di farlo, parlando dell’affettuoso ritratto che di lui fece Ettore Scola che, dieci anni fa, presentò a Venezia, fuori concorso, il piccolo omaggio “Che strano chiamarsi Federico – Scola incontra Fellini” che – oltre a ricordare a tutti noi l’ indimenticabile regista, attivo in un indimenticabile momento del nostro cinema – evita l’enfasi retorica che di solito accompagna le celebrazioni.
La sua pellicola ha infatti il carattere dell’affettuosa rievocazione di un amico, un po’ più anziano, conosciuto nella redazione del Marc’Aurelio, ma noto a lui fin da piccolo, quando leggeva per il nonno gli articoli che Fellini pubblicava su quel giornale.
A Roma e al Marc’Aurelio Fellini era arrivato nel 1939 direttamente da Rimini, portando con sé una cartella piena di disegni, schizzi, scritti umoristici, racconti e sceneggiature, oltre che molte speranze per il suo futuro nella capitale.
Scola sarebbe entrato al Marc’Aurelio più tardi, nel 1948, dopo cinque anni di chiusura del giornale, mentre Fellini, ormai fuori, stava trovando la sua strada nel cinema come sceneggiatore di importantissime pellicole, come Roma città aperta e Paisà di Rossellini.
Diventati amici, Scola gli era stato compagno di scorribande notturne per le strade della capitale, dove Federico indugiava volentieri a chiacchierare con personaggi stravaganti, estrosi e trasgressivi, curioso com’era degli uomini e dei loro comportamenti, l’importante materia prima da rielaborare e successivamente inserire nei film.
La ricostruzione di questi momenti è sorridente e lieve e ci introduce nel mondo felliniano, delle sue invenzioni fantastiche, della sua meraviglia per la varietà e la ricchezza talvolta trasgressiva dell’agire umano, che il regista osservava con indulgenza solidale, riflesso dei valori della tradizione civile e religiosa della sua terra.
In questa luce, secondo Scola, può essere letta l’intera filmografia di Fellini, ma anche la sua vita, che al momento dell’addio, sembrò inverarsi nella scenografia della camera ardente: due carabinieri vegliavano su di lui, fantasioso visionario, bugiardo e trasgressivo, novello Pinocchio fra i gendarmi, sullo sfondo del famoso Studio 5 di Cinecittà, fucina delle sue magiche invenzioni capaci di illudere e incantare migliaia di spettatori.
Nella commossa rievocazione di Ettore Scola non mancano rapide carrellate sui suoi film, nonché divertenti cenni sui suoi rapporti con gli attori: col suo alter ego Mastroianni, prima di ogni altro, al quale, curiosamente, non volle affidare l’interpretazione di Casanova. Spezzoni di pellicole e registrazioni vocali, alternandosi ai ricordi personali di chi aveva collaborato alle sue creazioni, ci consegnano il tenero ritratto di un uomo grandissimo.
Aggiungo, senza cattiveria, che se è vero che dietro un grande uomo sia sempre presente una grande donna, per Federico la grande donna era stata Giulietta Masina. Peccato che Scola ne abbia parlato così poco!…
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