Ottobre 1923. L'esperienza della Laugh-O-Gram Films Inc., primo studio d'animazione fondato da Walt Disney a Kansas City nel maggio 1922, a soli 20 anni, volge al termine. Infelici scelte gestionali, continui traslochi in strutture sempre più piccole, pignoramento delle attrezzature, debiti sempre più consistenti avevano reso logisticamente difficoltoso ed economicamente insostenibile il proseguimento del lavoro sui "fotogrammi da ridere", appunto laugh-o-grams, umoristiche vignette su personaggi fiabeschi. Walt si era circondato, nel biennio 1922-1923, di quelle che sarebbero diventate autentiche leggende nel mondo dell'animazione (tra gli altri: Ub Iwerks, Hugh Harman, Rudolf Ising) ma che, all'epoca, erano semplici sconosciuti che realizzavano corti d'animazione che non interessavano praticamente a nessuno. A nulla erano valsi né la velleità di diversificare la produzione (il corto pubblicitario Tommy Tucker’s Tooth commissionato da un dentista (!) ebbe una discreta fortuna ma la serie di sketches sperimentali Lafflets in cui si mescolavano stop motion e live action venne rifiutata da Universal e parimenti la progettazione di una serie di corti musicali con testo a schermo si arrestò dopo la realizzazione di una singola ballata) né il tentativo di fornire ossigeno all'azienda mediante attività esterne (William McAtee "Red" Lyon e Walt in persona si misero a lavorare come operatori di cinegiornali e come fotografi freelance per racimolare qualcosa)
A Walt, quindi, non resta che prendere atto del fallimento di questa esperienza e provare il tutto per tutto con un ultimo corto. L’idea è inserire, nella struttura dissacrante delle fiabe tradizionali fin qui perseguita, una bambina in carne e ossa ripresa in live action che sarebbe stata fatta interagire con un contesto animato. Questa intuizione, applicata al capolavoro letterario di Lewis Carroll, Alice's Adventures in Wonderland (1865), avrebbe costituito l'ultima delle sette produzioni della Laugh-O-Gram Films Inc.
La trama è essenziale: una bambina, interpretata da Virginia Davis, dopo una rapinosamente affascinante visita agli studi di Walt (che vediamo comparire insieme ai suoi straordinari collaboratori), si lascia andare di notte a sogni immaginifici su un mondo interamente animato chiamato Cartoonland.
Questo corto, intitolato Alice’s Wonderland, oggi può sembrare poca cosa ma è talmente ricco di innovazioni tecniche che non basterebbe un corso monografico per esplicarle tutte (a dispetto dei 12 minuti di durata).
Mentre l'opera viene presentata a numerosi distributori e continuamente respinta senza troppi apprezzamenti, le procedure di fallimento della Laugh-O-Gram Films Inc. vengono avviate. Walt, allora, con i soldi ottenuti dalla vendita della propria macchina da presa personale, lascia Kansas City ed acquista un biglietto di sola andata per Los Angeles, dove il fratello Roy da tempo lo invitava a raggiungerlo.
La situazione cambia radicalmente quando Alice’s Wonderland viene apprezzato dall'importante distributrice newyorkese Margaret J. Winkler la quale autorizza, sulla base di questo corto/pilot, la produzione di quella che sarebbe divenuta la leggendaria e seminale serie antologica Alice Comedies. Per far questo, Walt, col decisivo sostegno gestionale ed economico del fratello Roy, fonda a Burbank (contea di Los Angeles), esattamente cento anni fa, il 16 ottobre 1923, il Disney Brothers Cartoon Studio, ovvero il nucleo originario di quelli che sono oggi i Walt Disney Animation Studios, cambiando per sempre il corso della cultura occidentale.
Ottobre 2023. Il marchio Disney è tristemente associato, a livello di immaginario popolare, alle forme più pervasive, spietate e avide di capitalismo sfrenato e anti-etico. In parte tali considerazioni sarebbero anche vere ma il discorso da fare sarebbe più complesso di così. Sparare sulla Disney contemporanea è ormai divenuta una facile moda o, quantomeno, un banale pretesto per agitare i soliti spauracchi del politicamente corretto e della "nazi-inclusività femminista/LGBTQI+" che tanto spaventano numerosi spettatori. Indipendentemente da come si possano giudicare le policies aziendali e le ultime produzioni della Casa del Topo (che non sempre sono così irricevibili come si potrebbe pensare), i primi che sembrino aver dimenticato l'immenso valore culturale ed artistico della Company sono, con ogni probabilità, gli amministratori Disney stessi succedutisi negli ultimi 25-30 anni (John Carpenter, già nel 1999, lamentava il pericolo della “disneyficazione” del pianeta, una cosa che va contro ogni mio principio, mi spaventa come individuo e mi fa sentire in colpa come americano).
Aver sacrificato le tante eccellenze creative dello Studio sull'altare della polemicuccia mediatica è stata una strategia efficace sul breve termine (i remake live action di presunta impronta woke scatenano ogni volta infiniti parapiglia social ma quasi sempre conducono al miliardo d'incasso) ma, sul lungo termine, ha fomentato l'odio ideologico che oggi circonda questo (fu) glorioso marchio, ormai detestato da qualsiasi fazione politica o associazione culturale e considerato come incarnazione del male assoluto del contemporaneo.
Basterebbe poco per arrestare una simile caduta nel baratro, basterebbe poco per promuovere una narrazione diversa dell'azienda, quantomeno nel comparto da cui è tutto nato: l'animazione. Infatti, sono in tanti a chiedersi cosa penserebbe Walt Disney della sua azienda oggi.
La domanda è sbagliata e mal posta.
Walt morì nel 1966 ed il suo raffreddamento nei confronti dell'animazione di cui era stato il padre perdurava, a ritmi altalenanti e umorali, dal flop commerciale e critico dell’avanguardistico capolavoro Fantasia nel 1940, a cui la chiusura dei mercati europei causa guerra e lo sciopero dei dipendenti del 1941 avrebbero finito per dare una batosta morale non indifferente. Il ruolo stesso che Walt si sarebbe ritagliato, a partire dagli anni Quaranta, è difficilmente riassumibile in linee generali ed andrebbe contestualizzato opera per opera. La figura di Walt è, peraltro, una delle più problematiche da analizzare nell'intera storia del cinema e non basterebbe una vita intera di studi per riuscire a tracciarne un ritratto equilibrato (ma un buono spunto iniziale può essere il capolavoro saggistico di Mariuccia Ciotta, Prima stella a sinistra, che nel 2021 ha conosciuto una nuova edizione).
Lanciarsi in vacue ipotesi su cosa penserebbe nel 2023 un uomo nato nel 1901 giova solo a una sterile retorica.
Ciò che può far tornare la Disney ai fasti del passato è smettere, solo per un momento, di guardare compulsivamente ai dati, agli algoritmi, alle indagini di mercato, alle tendenze social cavalcate in maniera miope, alle richieste di un presunto 'nuovo puritanesimo' e guardarsi alle spalle. Guardare, anche solo per un momento, alla Storia gloriosa di un marchio che racchiude in sé decenni di tradizione culturale occidentale in maniera non poi così dissimile - per qualità, quantità ed eredità - dall'epica greca classica. E ricordare, in primis a se stessi, ma anche alle masse, ormai pavlovianamente pronte ad accanirsi sulla prossima mossa politicamente corretta, cosa abbia significato per la cultura occidentale il marchio Disney in termini di narrazione, mitopoiesi, innovazione, inventiva e capacità di fondere emozioni e tecnica in tanti mezzi espressivi diversi, dal cinema al fumetto passando per la televisione e i parchi a tema (Disneyland nasce come frontiera utopica di un nuovo urbanesimo).
Nella speranza che questo accada, a noi spettatori, più o meno cinefili, più o meno appassionati di animazione, più o meno cresciuti coi fumetti di Topolino, più o meno affezionati alla serialità disneyana, più o meno delusi dal recente andazzo di una Casa che ha scritto pagine memorabili della storia dell'arte occidentale, non resta, forse, che un gesto coraggioso di retro-avanguardia: riscoprire quanto genio e quanta determinazione pionieristica ci fossero nei Walt e Roy Disney e nei vari Ub Iwerks, Hugh Harman, Rudolf Ising, Carman Maxwell, Friz Freleng.
Il 16 ottobre 1923 il mondo cambiò per sempre anche se nessuno lì per lì se ne accorse. Cambiò, nella maniera più americana possibile, sotto l'insegna del fallimento di un progetto, la Laugh-O-Gram Films Inc. che, però, ebbe il tempo di partorire la gemma di un lungo e straordinario percorso: Alice's Wonderland, ammirabile gratuitamente qui. Da questo link possiamo, anzi forse dobbiamo, ripartire tutti.
Buon 100° compleanno, Disney!
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