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Invasori e invasati
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Fuocoammare (2016): scena

Nel giorno in cui viene diffusa la notizia che Io capitano di Matteo Garrone è il film che l'Italia ha designato per la corsa all'Oscar nella categoria del miglior film internazionale - film che, se avete seguito le cronache cinematografiche di queste ultime settimane e/o visto il film che ha vinto due premi a Venezia, già sapete essere incentrato sull'odissea di due ragazzi africani che vanno consapevolmente incontro ad un viaggio infernale per sbarcare nel nostro paese - Giorgia Meloni lancia, direttamente dal palcoscenico offertole dall'ONU a New York, la sua visione del mondo, dell'Italia e dell'Africa (ri)lanciando il Piano Mattei per l'Africa ma mettendo in evidenza la componente legata ai fenomeni migratori.

In cosa consisterebbe questo Piano Mattei? Mi permetto una sintesi che è anche un po' uno slalom tra la fuffa di cui sono sempre fatte le dichiarazioni su argomenti di questo genere. Il Piano Mattei per l'Africa è principalmente un piano di sviluppo economico con cui il governo Meloni vorrebbe far diventare il nostro paese il principale snodo europeo del traffico di gas prodotto in Africa. Perché questo piano diventi realtà ci vogliono principalmente due cose: l'adesione dei paesi africani e investimenti infrastrutturali, soprattutto italiani. Evidentemente, però, da qualsiasi trattativa con i paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo non può mancare il tema dell'immigrazione e quindi la parola hub, ossia snodo, acquista, nel rilancio del piano, una doppia valenza.

Se è chiara l'ambizione economica e strategica dell'Italia nell'assumere un ruolo di centralità nel traffico del gas destinato a coprire, o integrare, il fabbisogno energetico europeo, non sembra invece chiarissimo cosa venga messo sul piatto della bilancia sul tema dell'immigrazione. Se paesi come Algeria, Libia e Tunisia ci forniranno il gas, ossia faranno transitare il gas verso l'Europa attraverso gasdotti che collegano i paesi nordafricani all'Italia, cosa diamo loro in cambio sul fronte dell'immigrazione, sul traffico ininterrotto di esseri umani in cui questi stessi paesi sono pienamente coinvolti? La domanda non è retorica: non è chiaro, sul serio.

Come si evince da decine di pellicole più o meno realistiche, più o meno di fiction - a partire da Mediterranea di Jonas Carpignano, prima ancora che con Io capitano di Garrone - i viaggi che i migranti intraprendono dai paesi africani verso l'Europa sono molto onerosi, oltre ad essere pieni di rischi. Anzi, se mi permettete un piccolo salto logico ma laterale, i rischi che costellano questi viaggi sono esattamente il motivo per cui sono costosi, perché se questi viaggi attraverso le frontiere africane non fossero rischiosi non esisterebbero neanche i presupposti per cui i migranti debbano accettare di pagare migliaia di dollari. Li pagano perché pensano che affidandosi a tutta una serie di personaggi che speculano sulle loro speranze e si muovono ai margini (labili) del sistema, possano riuscire ad evitarli.

Qui siamo in Libia, con i soldi entrate se no finite in prigione.
Io capitano

Se da gennaio 2023 ad oggi sono arrivati (solo in Italia) circa 123.000 migranti (dati del Viminale) basta fare un piccolo conto per identificare un ordine di grandezza: se ogni singolo viaggio riuscito è costato 5000 dollari (è il costo medio riportato da diversi articoli sul tema), il contributo alle microeconomie dei paesi nordafricani che trafficano con i migranti, rappresentano un valore di circa 750 milioni di dollari nel solo 2023 e solo verso l'Italia. E questo considerando solo i viaggi "riusciti", che certamente non sono la totalità visto che molti migranti restano intrappolati per mesi, a volte anni, all'interno di questi paesi, nonostante abbiano pagato l'obolo, magari solo in parte.

Per percepire la reale dimensione del valore potenziale di questi traffici forse dovremmo considerare un altro dato, ossia la proiezione 2022 con cui la Banca Mondiale sostiene che entro il 2050 ci saranno 86 milioni di migranti a causa del solo cambiamento climatico. Sono numeri enormi che aiutano a dare un'altra dimensione al fenomeno della migrazione clandestina, che poi - e sarebbe necessario chiedersi anche il perché - è quasi l'unica forma per raggiungere l'Europa visto che i percorsi ufficiali per richiedere asilo rappresentano una esigua minoranza in termini di valori numerici.

Con queste cifre nel cervello e con le immagini di film come Fuocoammare di Rosi, Mediterranea di Carpignano e Io capitano di Garrone negli occhi, non riesco a trovare un modo per guardare al doppio traffico energia/clandestini che non sia viziato da un rapporto di scambio. Oltretutto, a rendere il traffico ancor più oscuro e osceno, c'è il fatto che, sebbene i clandestini abbiano pagato quelle cifre per arrivare in Italia, quando ci arrivano si ritrovano spesso sotto la "protezione" (virgolette obbligatorie) della criminalità organizzata. Che quindi specula, di nuovo, sulle loro esistenze ritrovandosi per le mani, - anche sulla base di accordi preesistenti con altre organizzazioni criminali a monte del loro viaggio - una grande quantità di manodopera a bassissimo costo, visto che la clandestinità non è esattamente la premessa ottimale per trovare occupazioni regolari.

In Mediterranea, il film di Jonas Carpignano, l'aspetto del tessuto sociale con cui i migranti devono confrontarsi nel nostro paese una volta giunti a destinazione, è perfettamente rappresentato, d'altronde è stato lungo oggetto di studio dell'autore che a Gioia Tauro ha deciso di restarci. Ed è perfettamente chiaro il posto che i migranti africani assumono nelle gerarchie della criminalità: ovviamente il più basso. Come racconta molto bene anche un ottimo reportage (qui), che ha la sola pecca di essere datato 2017, di cui consiglio la lettura un po' a tutti coloro che desiderano andare al di là dei modi beceri con cui le politiche governative sull'immigrazione vengono rilanciate e che mette, invece, il focus sul giro d'affari della criminalità organizzata legata allo sfruttamento di manodopera a basso costo.

L'Italia quindi, per attuare il Piano Mattei, deve investire in alleanze strategiche con paesi nei quali il traffico di esseri umani è fonte inesauribile di denaro. Poi, quando questi esseri umani arrivano a destinazione - se non muoiono strada facendo e se non restano intrappolati nei centri di detenzione africani - sono cooptati dalle mafie. Se, per assurdo, invece di ipotizzare l'aumento del tempo di permanenza nei CPM a 18 mesi, se invece di offrire motovedette alle guardie costiere dei paesi africani per riportare i migranti nei centri di detenzione - incrementando quindi le difficoltà e i rischi che sono alla base delle richieste di denaro - e invece di immaginare di costruire Isole delle Rose sulla falsariga dell'isola australiana di Narau (basta fare una ricerca su Google prima di buttare lì delle idee, senatrice Biancofiore), se prima di qualsiasi altra cosa rendessimo semplice, lineare ed efficace portare a termine regolari richieste di asilo per migranti economici, climatici e rifugiati faremmo davvero una grande cosa che andrebbe a ledere gli interessi di almeno due lati della sovrastruttura triangolare: quelli che si intascano i 5000 dollari a migrante (in Africa) e quelli che sfruttano la condizione di clandestinità per ottenere manodopera a basso costo (in Italia). A quel punto e su quelle nuove basi vediamo se risultiamo ancora competitivi come hub europeo del gas africano.

Il film di Matteo Garrone, che è stato scelto per rappresentare l'Italia agli Oscar 2024, fa, rispetto ad altri film simili, un passo un più. Perché la motivazione per la quale i due protagonisti vogliono intraprendere questo viaggio non è politica, non è climatica, semmai, in senso più esteso, è ambientale. Quei due partono sulla base di una intuizione, di una visione, che è ancora più utopistica: andiamo in Italia perché l'Italia capirà la nostra musica, andiamo in Italia perché ci gira così, perché un musicista inglese che vuole andare a respirare l'aria di Berlino può farlo e noi no? Siamo un'audience unica e globale, siamo tutti figli di YouTube, di Instagram, di TikTok. Avete avuto la nostra attenzione, l'abbiamo pagata, ora dateci la libertà di muoverci.

Se da un lato questa discussa (e discutibile) premessa sembra indebolire la vis polemica del film, a me sembra che alzare l'asticella della libertà di movimento nel mondo, faccia scavallare il film da un piano di bruciante, ma anche rischiosa, attualità ad un salutare piano più metafisico e filosofico. E non è necessariamente un male, rispetto ai temi di cui si parla.

E comunque l'entusiasmo di quell'urlo finale (che ricorda un po' la gioiosa incredulità di Io ho fatto il fuoco di Tom Hanks in Castaway) che viene attenuato e infine sopraffatto dal rumore degli elicotteri, è una scelta formale e di contenuto che dice molto di quello che c'è da dire sull'esistenza di una sovrastruttura opprimente e incombente.
Che agisce sulle teste (e nelle orecchie) di tutti noi, gente del Mediterraneo.


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