E noi faremo di teee...
Quando uscì la prima stagione di Black Mirror fu una fucilata. Era il 2011 e quegli scenari così ben calibrati, che ci sbattevano sotto agli occhi come la tecnologia si stava fondendo alle nostre esistenze, sembravano al tempo stesso lontani ma familiari.
Era proprio quel corto circuito, quella prossimità remota, a rappresentare l’aspetto più allarmante della prima stagione della serie creata dall’autore britannico Charlie Brooker. In quello spazio astratto - ma perfettamente costruito e sostenuto da scrittura, regia e recitazione - il nostro pensiero si incartava tra uno scetticismo velato di speranza (no, non succederà mai che io possa navigare, guardare e riguardare la registrazione precisa della serata della mia compagna, vero che non succederà?) e l’empatia per le conseguenze sugli esseri umani che quelle (possibili) evoluzioni tecnologiche avrebbero provocato.
Quello spazio, puntellato dalla sospensione dell’incredulità, è stato il principale patrimonio sul quale la prima stagione di Black Mirror ha costruito la propria identità e conquistato decine di milioni di spettatori.
Sono passati dodici anni e questa sesta stagione, pubblicata la settimana scorsa su Netflix, sembra provocare un po’ ovunque recensioni poco convinte e lusinghiere, sostenute principalmente dall'affermazione che Black Mirror sembra aver perso la capacità di “inquietare” e di provocare riflessioni critiche sul futuro.
Il primo episodio della nuova stagione, intitolato Joan è terribile, è perfettamente rappresentativo di questo ipotetico deficit perché ruota attorno a snodi narrativi che, se fossero stati messi in gioco nel 2011, avrebbero ampiamente raggiunto questi due obiettivi.
Nell'episodio seguiamo la giornata della protagonista (Joan) fin dalla mattina presto. Si sveglia, fa colazione con il compagno che le prepara una onesta (mmmhh) colazione. Poi si mette in macchina, gorgheggia un po' di Hip Hop per caricarsi e per poter affrontare una ordinaria giornata di lavoro nell'azienda tecnologica presso la quale presta la sua, ingrata, opera. Come nella vita di tutti, le cose che accadono sono spietatamente normali: un malinteso con una persona con cui lavora, un paio di messaggi di un ex che gli procura qualche rimpianto e qualche appetito, niente di straordinario (è la realtà, bellezza).
Quando la sera arriva finalmente a casa, Joan vuole solo annullarsi sul divano. Accende la tv, plana sulla piattaforma di streaming Streamberry (che è proprio uguale a Netflix, incluso il Tu-Dum) e - prima ancora di avere avuto il tempo di consumare l'onesto (mmmhh) piattino preparato dal suo amorevole fidanzato - dopo aver fatto un po' di zapping tra le proposte che campeggiano nella homepage della piattaforma, capita sul poster di una serie tv intitolata Joan è terribile in cui campeggia il primo piano di Salma Hayek con, in evidenza, le stesse due meches bionde della nostra Joan. Ed ecco come Joan prima sospetta e poi scopre che la sua "normale" giornata è stata convertita nel primo episodio di un nuovissimo tv show. Naturalmente Consigliato per lei, dall’infallibile Re Algoritmo.
I fatti che vengono scelti per raccontare la sua giornata sono accaduti veramente ma sono stati lievemente modificati con un tocco di cattiveria in più. Perché se no che cosa gliene frega alla gente della vita di Joan? Naturalmente a modificare un po' i colori e i registri della narrazione è l'immancabile Intelligenza Artificiale che, in strettissima collaborazione con l’Algoritmo, trasforma un po' la storia facendola aderire alle esigenze dell’audience.
Ma attenzione, ciliegina sulla torta che viene sganciata molto velocemente (e sì con questo intendo scagionarmi dal peccato di spoiler) neanche Salma Hayek è davvero Salma Hayek. L'intero show è, infatti, opera di un Super Computer che, in tempo quasi reale, registra la vita della "vera" Joan, la incolla sull'avatar in 3D di Salma Hayek (che ha ceduto a Streamberry tutti i diritti di utilizzazione della propria immagine) e così, in sostanza, gli episodi della "nuovissima" serie tv Joan è terribile vengono buttati fuori a costi bassissimi e in tempi produttivi eccezionali.
Se avessimo visto una cosa del genere dieci anni fa, ci saremmo stracciati le vesti di dosso e avremmo detto wow. Ora, sebbene il livello di reale fattibilità di uno scenario del genere sia ancora similmente lontano nel tempo, diciamo meh.
Ma il problema, per me, non è solo quanto è lontano, remoto, ostile, inquietante il futuro rappresentato da Black Mirror. Non è quanto la tecnologia che ci viene proposta come sostegno narrativo sia innovativa, realistica o realizzabile. Il problema di Black Mirror oggi è che non scatta alcuna sospensione dell'incredulità e che non c'è alcuna quiete da turbare, il problema è che il presente è già un casino totale.
Più di un mese fa, infatti, la Writers Guild of America, il sindacato che riunisce gli sceneggiatori americani, ha invocato uno sciopero ad oltranza. Tra le motivazioni che appaiono nelle due pagine di proposte presentate all’industria dell’intrattenimento Usa c’è una sezione, l’ultima, che si intitola Artificial Intelligence. Si tratta della prima manovra coordinata da parte di un'associazione di lavoratori con la quale si cerca di mettere sotto pressione l’industria perché regoli o, addirittura, in certi casi impedisca, l’uso della IA in sostituzione del lavoro umano. E il sindacato degli attori è pronto a seguire la stessa strada per evitare che certe tipologie di diritti entrino nel range della negoziabilità e che si creino così categorie di attori che permettono di far fare ai propri "avatar digitali" qualsiasi cosa e attori che invece vogliono recitare sul serio.
A monte di tutto, come sempre, c’è la necessità degli operatori, non solo streaming, di migliorare conti e margini, perché da quei valori (e dagli appetiti che scatenano) dipendono le quotazioni delle aziende sui mercati azionari e subito dietro alle quotazioni delle aziende ci sono le banche che sono sempre pronte a reagire alle sollecitazioni della catena, concedendo (o restringendo) crediti e risorse economiche che sono fondamentali per lo sviluppo e per la produzione di contenuti delle suddette aziende. Per estrema ironia del moderno capitalismo, anche a determinare le quotazioni delle aziende in borsa, ci sono macchine, computer e bot che lavorano giorno e notte seguendo, replicando e migliorando modelli di comportamento stratificati nel tempo. Per fortuna ogni tanto il meccanismo si inceppa, la storia è stata raccontata qui.
Se da un lato lo spettro di ciò che la tecnologia potrebbe rendere possibile si è enormemente ampliato ed è diventato di dominio pubblico (cosicché chiunque può sviluppare il proprio autonomo pensiero sulle insidie del futuro) il tema principale legato al (supposto) "fallimento" della nuova stagione di Black Mirror mi sembra proprio la mancanza di uno stato di quiete da incrinare. Non c'è alcuna quiete da rompere, non c'è alcuna apparente tranquillità da contaminare, non c'è alcuna minaccia nascosta da rivelare. È tutto lì, tristemente visibile, alla portata del nostro ordinario sguardo quotidiano.
E così mi viene il dubbio che questa nuova stagione di Black Mirror non sia solo l'acuto ed intelligente decodificatore delle insidie che si annidano nel nostro sistema, ma anche una delle, consapevoli(?), vittime.
Se l'avete vista fate sentire la vostra voce (incredibilmente Black Mirror ha una sola vostra recensione!) ma potete anche farci un saluto completando la strofa della canzone che ha offerto lo spunto per il titolo.
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