Espandi menu
cerca
Che cosa hai voluto dirci, Nanni?
di Alvy ultimo aggiornamento
post
creato il

L'autore

Alvy

Alvy

Iscritto dal 29 gennaio 2021 Vai al suo profilo
  • Seguaci 46
  • Post 16
  • Recensioni 62
  • Playlist 4
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi
 
Sono un morettiano irriducibile. Scoprire il cinema di Nanni Moretti è stata per me pura autoanalisi. Non smetto mai di riconoscermi in tic, nevrosi, snobismi ed autoreferenzialità del nostro (sì, non sono una bella persona). Vivo citando le frasi dei film di Nanni Moretti. Spesso i miei amici mi prendono in giro dicendo che sono più Nanni Moretti di Nanni Moretti. 
 
Tre piani, uscito in sala nel settembre 2021 dopo la presentazione in concorso al festival di Cannes (l'amore incondizionato dei francesi per alcuni registi - penso anche ai Dardenne - mi ha sempre lasciato un po' di stucco, lo riconosco), mi aveva ampiamente deluso: il tentativo di adattare un romanzo israeliano poteva essere coraggioso ma, se tradotto in una abdicazione pressoché totale al proprio stile e alla propria rielaborazione personale, non aveva fatto che altro partorire, ai miei occhi, l'ennesima fiction stereotipata su ricchi borghesi romani alle prese con delusioni e dilemmi esistenziali. Il cinema di Moretti mi era parso dimesso, anzi, dismesso, come se la voglia di onorare il meraviglioso romanzo di Eshkol Nevo avesse sabotato totalmente la visione del regista. Esiste una minoritaria fetta di pubblico e critica che è riuscita a vedere qualcosa di buono in Tre Piani: penso a Francesco Alò, a Paolo Mereghetti, ma anche al nostro affezionatissimo Valerio (@spopola, il cui giudizio spesso considero ben più affidabile di tanti critici togati, o a Lorenzo (@Leman). Prima di addentrarmi in Il sol dell'avvenire, ho voluto dare una seconda chance a Tre Piani: mah, sì, forse qualcosa c'è, forse non merita una stroncatura netta ma quel prefinale in cui un gruppo di danzatori amatoriali attraversa le strade ballando mi aveva sempre fatto tornare in mente una sardonica battuta di Ecce Bombo: “Fa molto Fellini, vero? Che bello”. E questa stridente giustapposizione tra il giovane rampante Nanni e il Nanni senile degli ultimi tempi (a scanso di equivoci: adoro i film senili o le fasi senili dei grandi registi) non può non farmi bocciare il film.
 
Il sol dell'avvenire mi ha lasciato sensazioni contraddittorie. 'Lasciato' non è il termine giusto, però, perché il finale ha toccato le corde della commozione. Le sensazioni contraddittorie, più che altro, le ho provate durante il film. Ho sorriso, ho riso, mi sono commosso, mi sono autocompiaciuto nel riconoscere le citazioni più o meno velate alla sua intera opera. Ma, al tempo stesso, sentivo che qualcosa non tornasse del tutto, che qualcosa fosse convincente solo a metà. Il mio cuore, puramente morettiano, mi sussurrava: lo sta facendo apposta, è assonanza tra forma e contenuto, è il suo 8½, è palese dai, Nanni è un genio, Nanni è tornato alla grande e questo è il suo film più bello da trent'anni a questa parte e, quindi, uno dei film più importanti del cinema italiano recente
 
Eppure, non lo so, c'è qualcosa che non mi torna. 
 
Sarà che io reputi un film irreplicabile, che chiunque abbia provato a rifare in chiave personale ha finito per fallire miseramente o comunque per apparire un po' sciocchino (l'unico riuscito nell'impresa, a mio parere, è stato Bob Fosse che, da gigante quale era, ebbe l'intelligenza di rendere All That Jazz un  non tanto personale quanto dell'intero genere musical del passato e del presente che stava per essere corrotto dall'avvento degli anni Ottanta).  è quello che è anche perché Fellini fa della trasfigurazione, principio chiave della propria poetica, la chiave di volta di una dissertazione straordinaria sulla crisi dell'artista contemporaneo (e sottolineo: artista prima ancora che cineasta.  è molto più che un 'film sul cinema') che è figlia del più novecentesco dei temi: la crisi dell'individuo, la crisi dell'uomo, che non è più grado di fingere di aderire a schemi (sociali, familiari, relazionali, religiosi, etc.) prestabiliti e vorrebbe semplicemente mettersi a nudo in tutte le proprie fragilità, meschinità e ipocrisie. Quando Anouk Aimée risponde ad un mai così sincero Marcello Mastroianni “Non so se quello che hai detto è giusto ma posso provarci se tu mi aiuti...", è impossibile non avere la pelle d'oca: questa frase riassume la complessità contemporanea dei rapporti interpersonali. Nulla garantisce il successo o il lieto fine o l'eternità di qualcosa di bello, ma anche solo provarci, a condizione di essere messi nelle condizioni di farlo, rende la vita una festa da vivere insieme, seppur nei propri difetti fieramente umani. 
 
Il sol dell'avvenire è una rielaborazione esistenziale di Moretti sul proprio cinema, sul proprio immaginario e, per estensione, sul cinema e sull'immaginario italiano degli ultimi decenni. Si è spesso affermato che Moretti sia un moralista, un predicatore col ditino alzato pronto a rilevare i difetti del prossimo e del mondo, un nevrotico incapace di accettare che il mondo giri secondo regole e parole("le parole sono importanti" di Palombella rossa) diverse dalle proprie o slegate da una qualche forma di purezza (la matematica è "chiarezza", come si dice in Bianca).
 
Moretti guarda a quello che è stato con l'atteggiamento crepuscolare di chi forse è stato troppo inflessibile con gli altri, di chi ha esagerato, di chi ha fatto del male al prossimo senza rendersi conto, forse, di averne fatto anche a se stesso. Ma un altro finale è possibile, forse un'altra storia può ancora essere raccontata perché "chi l'ha detto che la storia non può essere scritta con i se"? E allora quel "le parole sono importanti" si trasforma in "sono solo parole", cantato da tutti a squarciagola in uno dei momenti più commoventi di Il sol dell'avvenire. Il cinema è lo strumento privilegiato per attuare questa divergenza. Non è un caso che Il sol dell'avvenire sia un film narrativamente frammentato: il cinema è la somma di tante arti ad esso precedenti (letteratura, musica, fotografia, recitazione) ma ciò che lo rende unico è il montaggio, concetto totalmente nuovo capace di secare il tempo per dare un nuovo significato alla realtà della finzione. E l'ultima opera di Moretti è un film innanzitutto sul tempo, dunque sul montaggio che può dare nuovi significati a ciò che è stato e a ciò che potrà essere. 
 
Alla luce di ciò, Silvio Orlando, che nel film nel film raccontato in Il sol dell'avvenire interpreta il segretario della sezione del partito comunista di un quartiere romano del 1956, fa qualcosa di anti-morettiano: rompe il patto di lealtà con se stesso, cessa di essere supino alla linea del partito e, spronato dalla ben più riflessiva e pensante Barbora Bobulova ("ma tu, tu che cosa pensi?"), decide di condannare fermamente la repressione sovietica della rivoluzione ungherese del 1956, dando il là all'affrancamento del PCI dall'URSS, in un'ucronia che tanti hanno vagheggiato nel corso dei decenni
 
E se Moretti, che interpreta Giovanni, regista che sta girando questo film sull'Italia del 1956, è in grado di optare per questa svolta narrativa così di rottura rispetto all'idea originaria che aveva in mente (cioè far finire il film nel film col suicidio del personaggio di Orlando, incapace di tradire il partito e l'URSS), allora è in grado anche di accettare che la figlia stia con una persona molto più grande di lei ("un mese fa avrei reagito in un altro modo") e, per estensione, che il suo mondo, fatto di convinzioni inossidabili, non esista più sia perché sorpassato (come dimostra la lunga e spassossima sequenza di disquisizione etica-estetica col giovane regista action ossessionato dalla violenza cinematografica; o l'esilarante incontro con i dirigenti Netflix) sia perché inutilmente e vacuamente gravoso, per sé e per gli altri. Perché passare la vita a far sentire tutti gli altri inadeguati, costantemente appesi ad un filo? "Sei faticoso" rivela un'esausta Buy al marito Moretti che sta per lasciare. Saper fare un passo indietro è importante, saper riguardare al passato con uno sguardo diverso è importante (e il montaggio, dunque, è decisivo, perché tutti i ritrovati morettismi del film che hanno fatto la felicità di noi fan sono riletti in chiave nuova). Di conseguenza, aprirsi al nuovo, a quello che non si era mai considerato possibile può diventare una salvifica possibilità di riappropriazione del proprio immaginario (che è, indubbiamente, anche storia della cultura popolare italiana degli ultimi 45 anni), un saluto accorato a ciò che, nel bene e nel male, si è stati, a ciò che si è creato, ma senza quel fanatismo integralista da 'sotuttoio', da 'al di fuori di me c'è la fine di tutto'. E la sfilata finale in stile Le notti di Cabiria con tutti i protagonisti di tutto il suo cinema (il sodale di una vita Dario Cantarelli, Mariella Valentini che in Palombella rossa veniva schiaffeggiata, Jasmine Trinca, etc. Anche se mi domando a cosa sia dovuta l'assenza di Laura Morante, che mi ha rammaricato non poco) che sorridenti guardano in macchina e Nanni che li e ci congeda con un saluto, sembra suggellare tutto questo.
 
Eppure, mi chiedo: e se questa improvvisa 'apertura' di Nanni altro non fosse che rassegnazione? La rassegnazione di chi vede un mondo incomprensibile, lontano dai propri riferimenti e che, di conseguenza, decide di rinunciare a lottare? Se questa incapacità di decodificare un mondo totalmente cambiato di cui ci si rifiuta di comprendere appieno il nuovo significato (il ritratto dei dirigenti Netflix, che ripetono a vanvera quattro frasi e quattro inglesismi preimpostati, afferisce più all'ambito della caricatura, dello scherno ridicoleggiante che della satira vera e propria) fosse quasi un inno al disimpegno, al 'vivi e lascia vivere', allora come la dovremmo prendere? Come un film coraggioso, profondo, capace di guardare al passato con affetto e nostalgia ma anche con equidistanza e amarezza? O come un molto più vile 'ho fatto il mio tempo, quello di oggi non mi appartiene più, fate quello che volete e io vi lascerò in pace'? 
 
Nanni, un tempo eri fiero di sentirti d'accordo con una minoranza di persone. Un tempo usavi le tue nevrosi e le tue idiosincrasie (che erano anche le nostre) come cartina al tornasole di una difficoltà esistenziale di stare in un mondo che andava perdendo significato in ogni suo ambito (dall'amicizia alla politica passando per l'amore, il lavoro e la genitorialità, vista tanto dall'occhio del padre verso un figlio perduto quanto del figlio verso una madre ormai al termine della propria vita). Ora cosa ci stai dicendo? È meglio fare parte della maggioranza? È più bello, per sé e per gli altri, accettare il nuovo stato delle cose con serenità, rinunciando agli ideali di una vita, senza neanche voler calarsi per davvero in questa nuova realtà? 
 
Il sol dell'avvenire è, forse, un inno alla flessibilità, al compromesso, al saper parlare agli altri senza chiudersi nei propri assolutismi. Ma, uscendo dalla sala, ancora un po' emozionato da quel finale che non può non toccare ogni morettiano, non potevo non pensare alla furbizia dell'operazione, forse anche all'insincerità, forse ad una chiusura rassegnata che vuole spacciarsi per apertura, ad un conformismo epidermico. In Il sol dell'avvenire non c'è una reale tradimento dei propri (dis)valori, non c'è un reale anelito a comprendere il prossimo, il mondo di oggi e le ragioni che animano gli uni e gli altri. La dimensione autoreferenziale e narcisista del cinema di Moretti non viene realmente sconfessata: viene solo apparentemente accantonata in nome di una sconfitta acquisita. Nanni capisce di aver perso la propria battaglia, ma non ne analizza i motivi, le cause, i rimandi, le conseguenze. Ne prende atto, quasi a voler dire 'avete vinto voi, ma forse è meglio così, ci possiamo voler bene ugualmente, forse è meglio anche per me, anche se continuo a non capirvi e a non voler davvero capirvi'. 
 
Un'apertura che tale non è, perché senza comprensione, senza voglia di mettersi realmente in discussione, senza capacità di guardare realmente le cose con gli occhi degli altri, senza voglia reale di studiare questo nuovo mondo cercando di cavarne anche i lati positivi che non possono non esserci, non si può davvero voler bene agli altri. In tal senso, Basta che funzioni di Woody Allen ragionava ad un altro livello di analisi del reale: Larry David restava un nevrotico ossessivo misantropo depresso cinico dall'inizio alla fine del film nonostante i suoi tentativi di aprirsi ad un'altra dimensione, ponendosi in tal senso come un antieroe da cui, per opposizione, scaturiva la linea portante del capolavoro alleniano, cioè che la vita non abbia senso ma non sia vuota se si sappia come riempire i vuoti. In Il sol dell'avvenire Giovanni decide di cambiare, ma lo fa solo a metà, con un'insincerità di fondo che si traduce in ruffianeria. 
 
A voler essere puntigliosi, poi, questa voglia di riscrivere la storia arriva esteticamente ben ultima: prima ancora del Tarantino di Bastardi senza gloria e C'era una volta a... Hollywood (non avrebbe senso, in questa sede, arrivare a citare Kieslowski o Sliding Doors), Marco Bellocchio aveva dimostrato con l'onirismo di Buongiorno, notte (e poi di Esterno notte) di saper parlare di sé, di ieri, di oggi, di privato e di pubblico ad un livello di padronanza delle immagini e dei suoi significati di valore ben più elevato, riuscendo perfino a trasfigurare (operazione in cui Fellini eccelleva) tutto ciò persino nel genere documentario (Marx può aspettare è un capolavoro anche per questo)
 
Il cinema di Moretti è sempre stato fieramente eretico, verso tutto e verso tutti. Respingente per tanti colleghi (celebre la frase di Dino Risi "Spostati, che non riesco a vedere il film"), anche per tanti cinefili. Tuttavia, questa finta ortodossia alla dittatura della maggioranza ammantata di rassegnazione apparente parla al mio cuore di fan commosso e amareggiato nel vedere decostruiti tic e nevrosi di una carriera, ma non alla mia testa di cinefilo che vede una ritrattazione schematica e senza reale maturazione (quindi sostanzialmente di facciata), alla luce di un conformismo disincantato e pigro.
 
Solo una cosa mi tranquillizza, carissimo Nanni: che Il sol dell'avvenire non sia un testamento, come hai rivelato, in maniera morettianamente svogliata, da Fabio Fazio. Vedi che, quando vuoi, sai essere sempre te stesso? 
 
In buona sostanza, che cosa hai voluto dirci, Nanni? Nell'attesa di una risposta, eviterò di dare un voto al film e cercherò di rivederlo. Nel frattempo, aiutatemi voi in questa ricognizione. Se voi mi aiutate, posso provarci. 
 
 
 
 
 
EDIT DEL 25/04/2023: ho rivisto il film, alla fine ho scelto di seguire il mio cuore. Mi sembra abbia molta più ragione di quanto la ragione stessa non ammetta
Ti è stato utile questo post? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati