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La storia dell'orso strafatto di coca
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Cocainorso (2023): scena

È il 1981 quando Andrew Carter Thornton, ex paracadutista dell'esercito degli Stati Uniti poi poliziotto, decide che stare dalla parte delle istituzioni e della giustizia nella lotta contro il crimine è terribilmente noioso, oltreché, probabilmente, poco remunerativo. E così decide di mettere diversamente a reddito le capacità sviluppate durante il suo periodo militare e intraprende una fiorente attività di spaccio, anche pilotando aerei tra il Sud America e il Kentucky. Viene beccato, arrestato, si fa qualche mese di carcere e quando esce decide che l'errore è stato atterrare con l'aereo carico di droga quando invece avrebbe potuto lanciarsi con il paracadute INSIEME alla droga.

E così nel settembre del 1985 realizza il suo piano lanciandosi nel cielo del Tennessee con una borsa contenente una esuberante quantità di cocaina. Disgraziatamente il suo paracadute fa cilecca e Andrew Carter si schianta al suolo ponendo precocemente fine alla sua originale carriera ma lasciando in eredità al territorio selvaggio del Tennessee circa 12 milioni di dollari in coca.

Qualche mese dopo un cacciatore incappa nel corpo senza vita di un grosso orso circondato dai resti di una borsa di tela che gli inquirenti dedurranno essere proprio la stessa che l'impavido paracadutista portava con sé al momento del lancio. L'autopsia confermerà poi che la morte dell'orso sia avvenuta proprio per overdose, supponendo che l'orso si sia mangiato(?) circa 3 o 4 grammi di cocaina.

Questa è la storia - più o meno, con qualche libertà o sintesi tra le diverse versioni - che ha iniziato a ricircolare (dopo essere stata considerata solo una sorta di leggenda metropolitana molto apprezzata da spacciatori e consumatori) a partire da novembre del 2022, da quando cioè è uscito su YouTube il primo trailer di Cocaine Bear, il film diretto e co-prodotto da Elizabeth Banks che approda nelle nostre sale dalla settimana prossima - con il titolo Cocainorso - dopo aver incassato circa 60 milioni di dollari solo negli Stati Uniti in circa due mesi di programmazione.

Questo è uno dei classici film di cui si dice che la realtà supera la fantasia e poi no, non è affatto vero. In questo caso la realtà è servita da semplice spunto, perché in Cocainorso l'orso, anzi l'orsa, invece di morire di overdose per aver ingerito tre o quattro miseri grammi di cocaina, se ne nutre, ne consuma a manciate e ne diventa dipendente, dando il via ad una feroce escalation di violenza. E così il primo segmento del film, costruito con scelte di tempi, musiche e registri prettamente horror, non lascia nulla all'immaginazione e l'orrore non è affatto lasciato fuori scena. L'orsa strafatta di coca è una furia assassina che azzanna, dilania, annienta qualsiasi essere umano si frapponga tra lei e la sostanza. Che siano ragazzini in gita, guardaboschi ingenui, spacciatori senza scrupoli, figli di spacciatori pentiti e dal cuore tenero o banali borseggiatori che pensano di poter realizzare il colpo della vita, poco importa: il sangue scorre a fiumi, ma che dico, sgorga a fiotti.

Ma nelle intenzioni di Elizabeth Banks (regista e sceneggiatrice) e - guardando la sua filmografia - nelle sue corde, non c'era un puro splatter sanguinolento. Gli autori e produttori di Cocainorso hanno puntato più in alto, o più in basso, non importa, disseminando di situazioni, personaggi e dialoghi grotteschi lo sterminato bosco in cui l'azione si svolge, passando con disinvoltura dal sangue ai dialoghi decontestualizzati, rischiando un paio di volte l'effetto Sharknado, parodiando un po' l'avventura per famiglie Disney (con musica in stile Lucasfilm), ripiombando nel gore, sfilando il demenziale e azzeccando, però, almeno tre o quattro sequenze in cui si ride alla grande. Un film, insomma, che come altri ultimamente, non si accontenta di prendere e mantenere una sola strada ma osa strafare, anche a rischio di scontentare tutti. In un'epoca in cui il cinema tende a giocare solo carte sicure, l'orsa strafatta di Elizabeth Banks è un esperimento meritevole, anche se non pienamente riuscito, non totalmente libero e fantasioso perché viziato da una certa furbizia: il ricorso alla "storia vera" e un cast di volti conosciuti, molti provenienti dal mondo seriale, al quale, ogni tanto, i dialoghi demenziali e le situazioni grottesche vanno un po' stretti. Destino che, purtroppo, riguarda anche Ray Liotta alla sua ultima interpretazione.

La scommessa però, almeno negli Stati Uniti, è stata ampiamente vinta e Cocaine Bear, proprio grazie a questo mix di generi, ha goduto di passaparola e critica divisiva. Ossia il massimo al quale si può ambire in epoca di social, dove l'unico, vero, spauracchio è la paura di generare negli spettatori la noia che viene spesso punita con il silenzio e la conseguente invisibilità. In Francia il film è rimasto sempre fuori dalle prime dieci posizioni del box office ma ha incassato in quattro settimane circa 800.000 euro. In Spagna, dove il film è uscito un paio di settimane fa, ha incassato circa 300.000 euro. Fatte le dovute proporzioni, sembra di rivedere un po' il destino di Everything Everywhere All at Once: film controversi, che mescolano e giocano con i generi, che in Europa non sembrano attecchire. Almeno fino a quando non arrivano sette Oscar a suonare la carica. Ma no, questa volta non succederà.

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