[...] Grazie alla vicinanza con Otomo, Morimoto ormai è alla guida della revisione stilistica, nonché estetica, della fantascienza animata giapponese, fino alla prima metà degli anni '80 dominata dal genere - tutt'oggi mai passato di moda dalla nascita degli anime contemporanei, ovvero dal 1963 con Astro Boy - mecha e dalle space opera di matrice avventurosa e verniana nate negli anni '70 dai manga di Leiji Matsumoto. Nel 1995, grazie a un committée composto da numerose case di produzione, il team creativo composto da Katsuhiro Otomo, Koji Morimoto, Eiko Tanaka, Tensai Okamura e un giovane Satoshi Kon produce la prima vera opera dello Studio 4°C: Memories.
Tra gli studi coinvolti nella realizzazione di questo film collettivo-antologico, formato da tre diversi cortometraggi (tutti tratti da storie brevi di Otomo raccolte nel suo manga omonimo del 1990), la Madhouse del produttore e co-fondatore della casa di produzione Masao Maruyama svetta come principale sostenitrice del progetto. È proprio grazie a Maruyama, riconosciuto ancora oggi come forse il produttore più "illuminato" della storia dell'animazione giapponese, che si deve l'ascesa nel medium del cinema animato di Satoshi Kon, un genio creativo che agli inizi della propria carriera aveva collaborato per la prima volta con Otomo e Morimoto negli studios della A.P.P.P. durante i lavori di art direction di Roujin-Z. Kon, ormai sotto "l'ala protettiva" di Otomo e Maruyama, scrive la sceneggiatura del primo segmento di Memories, Magnetic Rose, la cui direzione viene invece affidata da Tanaka a Morimoto. Il corto rappresenta la prima gemma del film, una disavventura nei meandri di una psichedelia spaziale in cui percezione e meta-fisica coesistono in un inquietante gioco di rimembranze e di emanazioni spirituali. Sul piano concettuale, Kon riesce a dare voce a una forma embrionale della sua ancora acerba - eppure già estremamente originale - poetica, prendendo il racconto di Otomo - molto più improntato verso uno stile horror sci-fi alla Alien (1979) di Ridley Scott - e inserendovi in dosi massicce sia il dramma, tragico e romantico, di un amore ormai collassato e prossimo a divenire il buco nero attrattore di ogni ricordo felice e di ogni forma di disperazione, sia il peso della memoria: un fardello che, se sottovalutato, porta chi ne sottostima la forza ad alterare la propria cognizione.
Satoshi Kon, di fatto, introduce in Magnetic Rose alcuni dei concetti cardine che caratterizzeranno in futuro suoi capi d'opera come Millennium Actress (2001) e, parzialmente, Paprika (2006). Sul lato tecnico, invece, traendo spunto dai dettagli espressionisti portati nell'animazione giapponese da Mamoru Oshii (Lamù 2: Beautiful Dreamer, Tenshi no Tamago), Koji Morimoto svolge un lavoro certosino sulla resa scenica ed emotiva della tensione, tuttavia senza forzarne un ermetismo che, se troppo presente, avrebbe soltanto reso eccessivamente criptica e meno d'impatto la sceneggiatura di Kon. Il regista, anche attraverso un upgrade digitale dello strumento della multi-plane camera, sa che i piani sequenza e, soprattutto, le epiche panoramiche finali devono prima di tutto fungere da collante tra l'immagine, il suono e il trasporto emotivo, per cui se le migliori inquadrature risaltano le scenografie e l'estetica dell'opera (un suggestivo ibrido tra lo sfarzo e la lugubre decadenza di ciò che risulta concreto ai protagonisti), il ritmo invece si dilata solo e soltanto quando si cade nel sogno maledetto della cosiddetta "rosa meccanica". L'onirico divora il reale, l'astratto assale e tenta prima il corpo e poi la psiche di chi ne viene ammaliato o, meglio, soggiogato. Tutto viene a galla in una coltre di afflizione e sconforto, e il fiore nello spazio altro non è che un void alla costante ricerca del proprio amore perduto. A ultimare questa notevole messinscena è Yoko Kanno, pianista che - per rimanere saldamente ancorata alle tematiche del racconto - decide di rimaneggiare con glitch e tape elettronici le due opere liriche italiane che definiscono nella teoria e dal punto di vista più passionale l'intero cortometraggio: Tosca e Madame Butterfly di Giacomo Puccini.
La compositrice, già riconosciuta come una giovane promessa nel campo delle soundtracks grazie alle musiche scritte e arrangiate per Proteggi La Mia Terra (1993) e Macross Plus (1994), dona al film un'aura sospesa tra melodie liriche, stanze prima lussuose e poi cadaveriche, terrori spaziali e lontani, quasi impercettibili, richiami d'aiuto. Kanno, quindi, crea il sottofondo perfetto, tra fraseggi di sassofono soprano, musica ambient e classica spettrale (resa astratta ed eterea dalle accurate manipolazioni di sound collage), creando una delle migliori e più originali colonne sonore degli anni '90 nel medium dell'animazione cinematografica. Nel 1998, proprio a partire da uno dei prossimi lavori della pianista - tra l'altro il suo più celebrato e famoso, firmato sotto il nome del gruppo The Seatbelts - ci si potrà accorgere di quanto Magnetic Rose, anche e soprattutto per via della sceneggiatura di Satoshi Kon (che influenzerà enormemente lo stile di scrittura di Dai Sato e di Keiko Nobumoto), avrà in effetti gettato le basi stilistiche e atmosferiche di molte puntate del cult anime Cowboy Bebop. In particolare di episodi come Ganymede Elegy (session #10), Speak Like a Child (session #18), Bohemian Rhapsody (session #14) e Jupiter Jazz (session #12 e #13).
Il secondo cortometraggio, Stink Bomb, viene scritto da Katsuhiro Otomo e diretto dall'animatore e scenografo Tensai Okamura, professionista freelance che da SF Shinseiki Lensman segue Morimoto come collega negli storyboard e negli in-between e che, dal 1986-87 al 1995, ha lavorato nei reparti di animazione della Gainax - per Le Ali di Honneamise (1987) e Neon Genesis Evangelion (1995), di cui è anche regista di due episodi - e per le opere di Yoshiaki Kawajiri - La Città delle Bestie Incantatrici (1987), Demon City Shinjuku (1988), Midnight Eye: Goku (1989) e Ninja Scroll (1993). Oltre a ciò, l'artista ha partecipato anche alle animazioni di classici del medium quali Il Mio Vicino Totoro di Miyazaki e Ghost In the Shell (1995) di Oshii.
Il corto esprime con velata perfidia il pensiero fortemente anti-militarista di Otomo, presente in ogni sua opera - sia cartacea che animata - sotto forma di azioni violente e sconsiderate condotte dalle forze dell'ordine ai danni, come nel caso di Roujin-Z, di persone portatrici di catastrofi non per loro scelta, bensì per via di un sinistro e macabro scherzo del destino. Che sia un letto robotico adibito all'assistenza agli anziani o qualche farmaco per l'influenza non fa differenza, la totale catastrofe arriva sempre per puro caso e a scatenarla sono sempre cavie ignare di aver azionato meccanismi di distruzione di massa. Tali armi, convenzionali o biologiche, risultano essere sempre invenzioni di un governo giapponese paranoico e corrotto, un organo di potere che, tra l'altro, fugge in costante ritirata di fronte alle proprie responsabilità, cercando di arginare o di distruggere i problemi con il solo utilizzo smodato di artiglieria pesante. Seppure rendendola più semplicistica, la poetica che guida l'esilarante - quanto agghiacciante - racconto di Stink Bomb è esattamente identica, a pensarci bene, a quella di Akira: quell'assoluto capolavoro che negli anni '80 ha travolto prima il "Paese del Sol Levante" e poi l'Occidente facendo comprendere al mondo verso quale baratro la società "civile" stesse andando in contro. La cinica lezione di Otomo, che impartisce in qualsiasi sua opera, sia in quelle subdolamente leggere come questa, sia in quelle più feroci e dirette, è che l'uomo è e sempre sarà, in un modo o nell'altro, il solo artefice della propria fine.
Se quindi Magnetic Rose rispecchia una visione esistenziale ma comunque piuttosto nichilista della fine di una vita, che tuttavia continua a vagare nello spazio sotto forma di vortice gravitazionale di materia e di ricordi, Stink Bomb invece rinfaccia a chi osserva Memories il rigurgito di una società malata e instabile, indifendibile e autodistruttiva. Cosa manca dunque per completare la poetica sì complessa, eppure tanto scettica verso l'uomo da risultare quasi prevedibile di Katsuhiro Otomo? Ovviamente la distopia. In realtà mancherebbe anche la componente più cyber del pensiero punk del "genio di Hasama", ovvero l'indagine sul rapporto - chiaramente di sfondo marxista - tra schiavo (poi ribelle) e padrone che intercorre tra i robot e l'umanità. Nonostante gli esempi più lampanti di tale legame forzato si possano riscontrare in Interrompete I Lavori! - terzo segmento di Manie-Manie - e in alcuni passaggi narrativi di Robot Carnival, e che tale interdipendenza derivi senza alcuna deviazione dagli scritti di Isaac Asimov e da Metropolis (1927) di Fritz Lang, quest'altro lato delle intenzioni espressive di Otomo può essere individuato anche nella terza e conclusiva parte di Memories: Cannon Fodder. Il corto, scritto e diretto dall'artista, rappresenta in effetti una ottima sintesi della poetica otomiana, nella quale si intrecciano indissolubilmente la distopia di stampo orwelliano e l'essere - in questo caso non fisicamente ma funzionalmente - un robot al servizio di un meccanismo di repressione.
L'opera conclusiva di Memories, infatti, estende il discorso politico di Stink Bomb, di Interrompete I Lavori! e, in parte, anche di Akira, narrando visivamente la "giornata tipo" di una famiglia operaia in un contesto talmente deteriorato e ferroso, asettico e temibile che risulterebbe quantomeno strano poter interpretare i personaggi del corto come esseri umani. La patria esiste solo per la guerra, la guerra avanza per permettere alla nazione di rimanere piegata e sottomessa, la nazione vive per seguire i dettami imposti dal potere e il potere, sempre presente ma mai osservabile, guida i propri soldati verso la morte in nome dell'ideale più alto di qualsiasi totalitarismo: la patria. Tale cerchio descrive al meglio la distopia di Katsuhiro Otomo, un pensiero che in Cannon Fodder viene reso anche graficamente attraverso scenografie e disegni a carboncino dalle linee alquanto marcate, dure e sporche, come a simulare le polveri dei chissà quali metalli che avvolgono e che infestano i personaggi e tutta la città-fortezza del cortometraggio. Quella nell'opera è una realtà industriale e bellica estrema, diversa anche come messinscena dagli altri due corti del film e, soprattutto, viene diretta da Otomo come nessuno, nella storia dell'animazione, aveva tentato in circa cento anni di sviluppo dalla nascita del medium. Se Magnetic Rose predilige un certo manierismo nella forma e riesce, anche attraverso le musiche di Yoko Kanno, ad amalgamare immagine e suono per poter provocare emotivamente lo spettatore, Stink Bomb segue invece - senza particolare estro messo in campo da Okamura - la narrazione esplosiva di Otomo; una vicenda diretta in modo standard ma ottimale per poter generare il ritmo frenetico che serve alla trama per svilupparsi.
In questo caso, pur trattandosi di una colonna sonora meno audace e sperimentale, le musiche del secondo cortometraggio riescono ad enfatizzare il completo delirio comico e catastrofico messo in scena da Okamura attraverso una soundtrack di Jun Miyaki che tra ska, funk e bossanova riesce a rendere piacevolmente ancora più grottesca e bizzarra la sceneggiatura originale. Cannon Fodder non presenta nulla di tutto questo. Essendo un'opera completa di Otomo, il film breve viene creato a ragion di avanguardia tecnica. Il presupposto esecutivo alla base di Memories, a detta di Koji Morimoto, di Eiko Tanaka, di Masao Maruyama e del regista stesso, è quello di portare al cinema il lungometraggio antologico-collettivo tecnicamente più avanzato dell'animazione giapponese, e se Magnetic Rose riesce a rendere asset 3D e piani d'immagine digitali in una maniera precisa quasi quanto quelli presenti in Patlabor 2: Il Film (1993) e in Ghost In the Shell della Production I.G (assieme allo Studio 4°C e la Madhouse Animation la casa di produzione più innovativa degli anni '90 in Giappone), Cannon Fodder risulta un capo d'opera rivoluzionario per ciò che riguarda la direzione delle scene in piano sequenza. Anche qui, lo strumento della multi-plane camera viene utilizzato per realizzare una prospettiva visivamente credibile, tuttavia ciò che viene rinnovato è il principio di dinamismo della regia, la fluidità di movimento con la quale Otomo riesce a impostare scene di una vivacità prima mai osservata in animazione - se non in spostamenti esclusivamente laterali della camera come quelli presenti in Classici Disney quali Fantasia e Pinocchio (1940).
I piani sequenza del regista non si spostano verso una singola direzione, bensì coprono un'area dell'inquadratura che cambia repentinamente con l'avanzare dei cel. La scena del caricamento del cannone, tecnicamente una delle migliori che tutto il medium abbia mai prodotto, esemplifica tale pratica estremamente complessa (si pensi anche solo ai metri di scenografia utilizzati per crearla) e dispendiosa, riuscendo a mascherare quasi perfettamente il fatto che in animazione il montaggio è sempre la base del proprio stilismo cinematografico - poiché si tratta di disegni che pretendono per propria natura di dover essere animati uno a uno per poter diventare sequenze di frame video - e che quindi, per ragioni prettamente tecniche, il piano sequenza in animazione - almeno in quella tradizionale e in stop-motion - è e sarà sempre simile a un trucco di magia. Per rendere ancora più vivida la distopia industriale della propria opera breve, Otomo richiede le musiche del compositore Hideyki Nagashima: un groviglio di electro-industrial marziale che, per quanto ben poco originale, riesce a sposarsi con l'intera messa in scena del cortometraggio. Musicalmente, Memories inoltre si apre e si conclude con una gloriosa danza acid techno di Takkyo Ishino (uno degli esponenti più famosi del genere tech house giapponese che influenzerà anche molti compositori di soundtracks degli anime come Yoko Kanno, Yuki Kajiura e Hiroyuki Sawano), rendendo a tutti gli effetti il primo film dello Studio 4°C una colonna portante della science fiction (anti)capitalista e alternativa: una vera e propria proclamazione di autenticità in un'epoca in cui l'animazione giapponese ormai sta diventando, tra Katsuhiro Otomo, Koji Morimoto, Mamoru Oshii, Hiroyuki Kitakubo, Hideaki Anno e Kunihiko Ikuhara, un melting pot artistico senza più limiti culturali o immaginifici.
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Recensione editata e riportata dall'articolo: Studio 4°C: storia della fucina che ha forgiato l'animazione giapponese del XXI secolo
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