Dimenticheremo quegli occhi rossi e quegli albi sciocchi
Diremo che la vita è una canzone ed è quella che si può fischiare
Dieci anni fa lavoricchiavo all’università. Facevo il tecnico. Ma non ho mai capito il tecnico di che. Un lavoro di merda. E ogni mattina che tardavo, quello sfaccimmo del direttore di dipartimento mi faceva sempe ‘na razziata! Però, nelle vicinanze stavano facendo un film. In un vicolo accanto all’università. Ci vado. No, ecco che mi torna. Quello stronzo del direttore di dipartimento non l’ha mai capito. Ho l’ansia. Il vicolo trema tutto. Dio, ti prego, non adesso. Mi sento male. Il palazzo gira. Eccolo, il set. Sto benissimo. Lo so che è tutto nella mia testa. Ma ora devo pensare al film.
Caludio è più alto di quello che sembra. E’ gentilissimo. Onestamente, non me lo sarei aspettato. Lo immaginavo spocchioso. Azzo, sto benissimo, grazie, Dio. Domenica è poco più in là. Dodici anni. Ma pare ‘na femmena fatta. O forse è così che la vuole Wilma. Eva mi distoglie da questi pensieri. Ce la faremo mai? Mi guarda, dice di andare avanti: verrà il successo. Pensa a Gesualdo Bufalino. Fino a cinquantuno anni era un maestro di scuola. Va bè, mi dico, però lui non aveva questi attacchi di terrore. Sto bene dappertutto: sull’aereo, in treno, basta che ci sia qualcuno accanto a me. Ci sono, e non riesco a crederci: non posso stare solo con me stesso. Ruota tutto, ora. La macchina da solo? Neppure a parlarne.
Questo film è denso, corposo, pulsa. Int’e vicule ‘e Napule, addò nun ce ‘sta l’aria. Il corpo della città. Wilma vuole dare un volto alla metropoli. A quel porto magnifico e incompiuto. Ai palazzi tetri del centro direzionale. Forse, è questa la sua vera storia.
Buio in sala. Rivedo l’opera. Quando sono al cinema, sto benissimo. Come sul set. E’ tutto nella tua testa, lo so. Me lo dico sempre. E allora dimmi come cazzo fa a non passare mai? Mi accucciolo su Mary. Non merita uno come me. Però ha riempito di significato le mie notti insonni…..
Molti anni fa. Ma non ero felice. Scendevo dal Vomero, andavo a piazza Municipio. A piedi. Nel pullman, no. Faciteme scennere, tengo bisogno e riciatà, aria, aria. Mi sembrava di soffocare. E correvo p’a ‘nfrascata… Tu sei casa mia, la cità che amo, come puoi farmi questo? Come come come? Il cuore batte più forte, cerco di mantenermi al muro. Panico. Sono morto. Più ci penso, più il pensiero non va via. Ma sono di nuovo sul set. Domenica stavolta è radiosa. Giriamo la scena in cui deve riconoscere il suo stupratore. E Peppe Servillo è magnifico. Scusa scusa scusa, Peppe? Sì, Tony è lungi ancora dal venire. Poi, Amendola, il poliziotto che sa che deve morire. Il cancro non perdona. Napoli è annebbiata. Lo assale la nostalgia.Domenica lo trattiene: dove vai? Sei tu che mi devi sposare. Tu lo sai che sogni un matrimonio sull’altare. Sotto il braccio di Amendola. Amendola che non c’è più.
Sono guarito: metto in fila tante cose: il secondo atto per la Smorfia che non scrissi mai. La lettera che non recapitai a Franco Rosi. Tony, che non seppi salvare. Nostalgia, forse. Ogi che c’è Linda, e ho la nostalgia di Mary.
Mi arrangi ancora. Blogger su CineRepublic. Dai, ché a qualcuno è andata peggio. Sono proprio nostalgico. Mò mi manca pure ziacassie: si è fatta attendere.
E la nostalgia per Amendola: il grande attore che non sbocciò.
Però, poi la nostalgia passa. Mi volto e te lo dico: Claudio, ma va fan culo, tu e i Cesaroni!
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