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Non danzeremo per te
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MI ero preparato a scrivervi questa newsletter - che è l’ultima dell’anno (qui ci salutiamo e ci rivedremo a gennaio 2023) - su Avatar 2, che sono anche andato a vedere, nonostante il mio tema non fosse precisamente sul film in quanto tale ma intorno ad esso, ma oggi ho deciso che la questione può aspettare.

A farmelo decidere sono stati due fatti: l’arresto della famosa attrice iraniana Taraneh Alidoosti, qualche giorno fa, e la notizia ieri sulla decisione dei talebani di vietare in Afghanistan l’accesso alle donne all’Università. L’istruzione formale consentita alle donne nel torturato Paese asiatico dovrà d’ora in poi concludersi ai 12 anni di età.

Taraneh Alidoosti

 

Penso che ci sia il rischio - nel toccare questi argomenti qui con voi - di parlare “alla mia bolla”. Un po’ me lo auguro anche: spero che nessuno qui possa essere d’accordo con tutto ciò che stanno vivendo le donne in Iran (un’altra ragazza di 14 anni due giorni fa è stata arrestata e uccisa perché si era tolta il velo in classe) come in Afghanistan e in altre parti del mondo. Ma non si sa mai: del resto l’Italia figura solo al 63 esimo posto nel Gender Gap Index 2022 del rapporto del World Economic Forum, qualsiasi cosa si possa dire del WEF (questa comunque è una ricerca scientifica, mi sembra non necessariamente di parte). La condizione femminile è ancora un tema gigantesco

Non firmo in genere gli appelli, credo poco alla moda delle petizioni (che però in alcuni casi sono servite, va annotato). Spesso sono più questioni identitarie o autoreferenziali, e c’è anche chi ci marcia sopra. Però credo nella necessità di contribuire con ogni gesto alle cause che riteniamo determinanti. Il nostro gesto qui è la riflessione e il dialogo, nella speranza che produca consapevolezza e che questa consapevolezza cresca fino a dilagare.

Credo che la questione femminile sia centrale nella nostra evoluzione. Credo che la fine del patriarcato - in tutte le sue forme - vada di pari passo con lo sviluppo della civiltà. L’ho sempre pensato e mi sono anche scontrato su questi temi, con persone che vedevano come una minaccia e una perdita la ridefinizione delle relazioni tra i sessi e all’interno della società. Se la cosa non discendesse da una naturale estensione della riflessione sulla necessità della cessazione del predominio della violenza tra esseri umani, dalle tavole della Legge in poi, potrebbe anche essere vista come una semplice considerazione statistica e sociologica: la reale parità dei sessi è uno degli indicatori più chiari delle comunità dove si vive meglio, anche economicamente. Arrivare a risolvere questo tema, che in misura maggiore o minore riguarda metà della popolazione mondiale, è un’urgenza spesso non osservata a sufficienza. E quello che sta accadendo in Iran, forse perché anche in concomitanza con molti altri tragici fatti, non ha secondo me l’attenzione - e il supporto - che dovrebbe avere.

Ma siamo un sito di cinema! Giusto. Allora parliamo di cinema. Oggi guardiamo con orrore alla schiavitù. Se passa in tv un film come Dodici anni schiavo o se vediamo una serie come The Underground Railroad (per altro consigliata) va da sé che pensiamo: che cose incredibili, che cose orribili ha fatto l’uomo. Ed era solo poche generazioni fa in fondo. Ma ci sentiamo diversi dall’uomo che riduceva in catene l’uomo. Ci sembra impossibile e surreale. Non siamo (più) noi quello.

Il mio augurio è che un giorno un film che racconta delle condizioni in cui vivono le donne oggi in Iran o in Afghanistan, in Cina come in India, ma anche da noi e ovunque - in misura diversa ed estremamente più sfumata - possa essere visto con lo stesso orripilato stupore e con la medesima sensazione di distanza. Come se non fosse nemmeno immaginabile accettarlo.

Non è - credetemi - un pensiero politicamente corretto. Non è tagliarsi una ciocca sui social per acchiappare like. E se questa dovesse essere non l’ultima newsletter dell’anno, ma anche l’ultima che dovessi scrivere, scriverei proprio queste cose.

Vi lascio con le parole dell’attore iraniano Mani Haghigi, che forse avete già ascoltato, a chiusura della sua risposta al Ministro della Cultura iraniano che ha chiesto agli artisti iraniani di riprendere la loro attività. Le potete sentire in questo video “Noi siamo in lutto. Il dovere ora ci impone di andare a fare visita ai nostri amici detenuti nelle vostre carceri. Il dovere ci impone di andare a fare visita a una ragazza a cui hanno rimosso dall’orbita un occhio pieno zeppo di pallini da caccia. in ogni angolo del Paese stiamo sotterrando i cadaveri dei nostri cari. Non ce l’abbiamo il tempo di danzare per te.

Il video lo trovate  a questo link.

 

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