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Propaganda e tabula rasa
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Dopo diversi anni di digiuno televisivo da qualche tempo sono tornato a frequentare l'appuntamento ad orario fisso per guardare PropagandaLive, la trasmissione di Diego Bianchi e Marco Dambrosio, in arte Zoro e Makkox, che va in onda su La7 il venerdì sera. L'avevo un po' persa di vista per questione di orari (e pigrizia) e sono felice di essere ritornato a frequentare questa trasmissione perché - fatta la tara al fatto che io non sono, evidentemente, minimamente titolato ad esprimere giudizi sulla tv italiana - è un ottimo mix di informazione, cazzeggio, approfondimento e impegno. Con in più la presenza musicale della Propaganda Band, che svolge egregiamente il compito di modulare e armonizzare i passaggi tra i vari segmenti che compongono la trasmissione.

Da un mesetto quindi il venerdì sera si è sganciato dalla ordinaria anarchia - si mangia quando si ha fame, non ci sono orari e ad un certo punto ci si ritrova sul divano del salotto e si inizia la peregrinazione sulle piattaforme e sugli hard disk - a beneficio di una rigida scansione di eventi che inderogabilmente ci porta alle 21,15 su La7.

Se qualcuno di voi (dovreste essere in tanti) guarda Propaganda, sa che tutte le settimane c'è un reportage su un fatto di cronaca. Due settimane fa c'è stato quello sulla frana di Ischia curato da Zoro, che fin dai tempi di Gazebo ha sempre dimostrato, con la sua fidata telecamera digitale, di saper trovare il tocco giusto per qualsiasi situazione. Nella puntata andata in onda venerdì scorso, invece, il reportage era quello di Francesca Mannocchi sulla carestia che sta travolgendo la Somalia. Se non lo avete visto potete recuperarlo sul sito di La7 ma in sostanza i fatti sono questi.

Per il quinto anno consecutivo in Somalia la stagione delle piogge è andata buca e la mancanza di acqua e cibo è diventata così stringente che ha costretto circa un milione di persone ad abbandonare le zone rurali dirigendosi verso le città. A Baidoa, a due ore dalla capitale Mogadiscio, sono sorti dal nulla centinaia di campi profughi dando luogo ad una densità disumana di esseri umani mossi dal semplice, essenziale bisogno di acqua e cibo. Uomini che hanno abbandonato tutto quel che avevano. Ossia molto poco: una casa, un pezzo di terra da coltivare, qualche animale. Morti gli animali, inariditi i campi, non c'era molto altro da fare. A parte morire.

Il reportage si apre con Francesca Mannocchi che arriva in uno di questi campi profughi a bordo di una jeep e subito siamo investiti dalla durezza delle immagini. Ci sono centinaia e centinaia di donne che "vivono" in baracche "costruite" con teloni di plastica, animate dall'unico obiettivo di salvare i propri bambini, ovviamente i soggetti più fragili, che spesso arrivano ai campi già in condizioni disperate, disidratati e in astenia. Senza nemmeno le forze per tenere la testa dritta o per tenere aperti gli occhi.

L'organizzazione umanitaria Save The Children cerca di procurare acqua e riso per soddisfare almeno le esigenze primarie e garantire la sopravvivenza di questa moltitudine assurda di persone. Un bidone di acqua per famiglia, qualche pugno di riso e le bustine di cibo terapeutico per fare in modo che i bambini escano dalla "fascia rossa" che contraddistingue il pericolo di vita. Una bustina di cibo terapeutico al giorno per sette giorni garantisce, salvo altre complicazioni di salute, che il bambino si salvi.

Il reportage va avanti ma io mi fermo qui, non ho intenzione di raccontarvelo tutto. Si tratta di un reportage molto duro che mi ha ridotto emotivamente a uno straccio costringendomi alla fine a nascondere la faccia nel cappuccio della felpa. E allo stesso tempo ha stimolato anche il pensiero che questi reportage hanno sia il compito e, a volte, il merito di rendere noto e di far luce su fatti di attualità che ignoriamo o sui quali siamo poco o male informati, sia dall'altro lato anche la responsabilità di non abusare della durezza delle immagini. Soprattutto quando coinvolgono la comunque meritoria opera di associazioni umanitarie che per sopravvivere hanno bisogno di fondi.

Il giorno dopo ne ho parlato un po' con Bruno/Database - con il quale, come sapete, condivido questo spazio - ed è stato lui a farmi riflettere su un aspetto che io non avevo, al momento, tanto rilevato. Database mi ha fatto notare la presenza un po' ingombrante della colonna sonora che accompagnava il reportage con scelte musicali anche discutibili. Dunque me lo sono riguardato quasi tutto e devo dire che effettivamente il mio compagno di newsletter aveva ragione. Ad una seconda visione la colonna sonora, le sottolineature musicali, la scelta di certi accompagnamenti, mi sono sembrati davvero eccessivi, ridondanti, retorici.

È come se il mio livello di attenzione, come se la mia soglia, normalmente abbastanza alta, sia stata inibita dalla potenza delle immagini, quello che le immagini stavano producendo al mio stomaco ha quasi annullato quello che le mie orecchie sentivano. Una parte di me, quella più attenta alla componente visiva, ha rilevato subito, ad esempio, un uso non ordinario delle riprese aeree di un drone. Mi ricordo distintamente di avere fatto il pensiero che la visione dall'alto del campo profughi mi stava offrendo una prospettiva che aveva un valore. Normalmente la telecamera stava ad altezza uomo, ad una distanza di "rispetto" ma anche senza lesinare il dettaglio, che, per quanto doloroso, aveva la chiara funzione di avvicinare, di raccontare cosa sta davvero accadendo a queste persone. Quelle improvvise riprese dall'alto - in un certo senso una concessione alla spettacolarità - avevano un ruolo anch'esse: raccontare la vastità, l'estensione, la portata e quindi la realtà dei fatti.

Ad una seconda visione, ovviamente più lucida e dunque ponderata, il reportage di Francesca Mannocchi ha avuto ancora tutto il suo valore informativo ma l'accompagnamento musicale mi è diventato poco digeribile, una presenza che aveva qualcosa di posticcio, quasi strumentale. Diciamo che se una cosa del genere fosse accaduta in un documentario o in un film non l'avrei perdonata fin dall'inizio. Cosa che mi ha indotto a fare una piccola riflessione che parte dalla tv e approda al cinema ed è il vero oggetto di questa condivisione.

Ho pensato che ci sono delle specificità che dipendono dal mezzo e altre che dipendono dal fine. La televisione è un mezzo che sta in un certo luogo, che può essere in un salotto o in una camera da pranzo. E quindi deve confrontarsi con il luogo in cui è utilizzata, con la distanza da cui è guardata, con il rumore di fondo e di contesto dello spazio che la ospita. Un programma televisivo, inoltre, deve confrontarsi con ciò che lo precede, con l'identità della rete televisiva che lo trasmette, con una visione che può essere interrotta, disturbata da numerosi agenti esterni. Alla luce di tutti questi elementi la tv, forse, deve sempre alzare un po' i toni per arrivare a destinazione. Soprattutto - e questa è la componente relativa al fine - se ha l'obiettivo, come nel caso del reportage sulla Somalia, di risvegliare la coscienza, di illuminare un aspetto che fino a quel momento era immerso nel buio. Soprattutto se è diretto a spettatori che non hanno scelto di vedere esattamente quel prodotto, che non sanno cosa sta per arrivargli addosso. È un equilibrio delicato e complesso, che oltre a dover prendere in considerazione il mezzo e il fine, deve sempre cercare di confrontarsi anche con la trappola della cosiddetta tv del dolore. O con il rischio, sul versante opposto dello stesso spettro, di rendere tutto "fiction".

I film invece li scegliamo, al cinema ci andiamo. Intorno a un film, che sia al cinema o in tv, c'è generalmente silenzio: quel che viene prima viene cancellato. Un film nasce e si sviluppa su una tabula rasa. Un film, anzi, è una tabula rasa. Al massimo si deve confrontare con le aspettative dello spettatore ma un film ha sempre la totale libertà di decidere il suo proprio tono senza render conto a nulla e a nessuno. Al netto, naturalmente, della sua componente di prodotto e come tale delle sue eventuali variabili economiche.


Una riflessione che si è ulteriormente affinata qualche giorno fa grazie alla visione in sala di Manticora, il nuovo film di Carlos Vermut proiettato in anteprima al TFF40 e uscito qui in Spagna, dove vivo. Manticora è un thriller che porta con sé un messaggio morale - anzi filosofico - potentissimo e piuttosto sconvolgente. Un messaggio che l'autore ha scelto di affrontare con una implacabile lentezza senza concedere nulla alla spettacolarità in un film che cresce con una progressione geometrica e lascia senza respiro. Solo quando è arrivata una lieve musica sui titoli di coda ho realizzato che il film era praticamente privo di qualsiasi accompagnamento musicale. Giustamente, perché la storia si dipana in un silenzio quasi spettrale, specchio opposto ma fedele del sordo rumore interiore del protagonista e quindi qualsiasi accompagnamento, qualsiasi sottolineatura, sarebbe stata di troppo. E avrebbe rischiato di tradire sia il mezzo che il fine.

Giulio Sangiorgio, al quale ho anticipato parte di questa riflessione, ha detto che l'uso e l'abuso di colonna sonora sono ormai diventati uno spartiacque, sono diventati elementi che differenziano il cinema dalla tv. Voi, spettatori di entrambi, cosa pensate?

E nell'attesa, o nella speranza, che Manticora di Carlos Vermut arrivi anche nelle sale italiane, potete portarvi avanti con Quién te cantará, il suo precedente film, che invece la musica ce l'ha proprio nel DNA e di cui parlo nel nuovo episodio del nostro podcast Pablo.

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Ultimi commenti

  1. Carica precedenti
  2. mck
    di mck

    "In parte condivisibili."
    Il ricco @gerkota è così, se qualcuno lo piglia a sberle, lui ne ammira lo slancio.

    1. gerkota
      di gerkota

      Se le sberle fossero come quelle di cui parli tu, la vita satebbe tutta un massaggio rilassante. Buon Natale.

    2. mck
      di mck

      "Anche uomo di mondo!"

  3. Stepan
    di Stepan

    Io e mia moglie vediamo sempre Propaganda Live, che troviamo quasi perfetta, ma siamo pienamente d'accordo sulla incongruità dell'uso della musica nei servizi di Francesca Mannocchi. Con abuso di Radiohead nei servizi dalla Ucraina e anche di musica che sembra voglia indulgere al patetico, cosa di cui i servizi senza musica non hanno bisogno, in quelli p.e dalla Somalia (e forse anche dalla Libia?, non ricordo) Quindi, è vero che la musica smorza il senso che l'asciuttezza delle immagini comunica potentemente.

    1. gerkota
      di gerkota

      Sono d'accordo :-)

  4. Utente rimosso (panunzio) 172729
    di Utente rimosso (panunzio) 172729

    Probabili cadute su disastri annunciati/ Connessioni smarrite tempi mal calcolati

    1. mck
      di mck

      Eonica, soap opera puntate quotidiane / Assegnate le parti corrono le comparse

    2. mck
      di mck

      (Beh, a parte la cosa sull'eonica, di cui m'importa 'na sega...)

  5. maurri 63
    di maurri 63

    ...no, Luca, non posso aiutarti. Rammento di aver dato un'occhiata, una volta, a Propaganda Live e mi sono chiesto se davvero faceva audience, per poi cambiare definitivamente (e senza nessun rimpianto, eh) canale. Conosco bene Francesca, molto di più (mi perdonerete) la Somalia e quasi mi ritorna inutile "stringermi nella felpa". A parte questo, cerchiamo di capire: ogni regista al mondo vorrebbe fare il suo film senza musica! Persino nonno Hitch ebbe a dire che gli sarebbe piaciuto girare un thriller in totale assenza di colonna sonora ma "che non gliel'avrebbero mai permesso" e da contratto non è quasi mai possibile! Una vecchia teoria diceva che "il teatro è il regno dell'autore - il drammaturgo -, il cinema quello del regista, la tv quello del montatore " . Se ci pensi, oggi che persino le sintesi di calcio vengono montate con la musica , sembra impensabile proporre un documento senza essere bombardati da musica! Però, due cose sono importanti: 1, i tempi. Perché un lavoro come quello della cara Mannocchi è realizzato in fretta, montato ancora più frettolosamente e spesso non c'è il tempo per pensare la musica adatta ( e se essa occorre), mentre per un film (sir Stanley , celebre per aver commissionato una certa colonna per la sua "Odissea" la rinnegò) i tempi più lunghi suggeriscono altre note (e in tal senso vale per tutte la nota intervista che Angelo Badalamenti concesse al riguardo "(...) David -Lynch, ndr - filma prima, solo dopo lavoriamo sulle musiche ma così non è stato per due occasioni , cioè "Blue Velvet" diffusa durante le riprese mentre i protagonisti recitavano e "Twin Peaks" lavorato a partire da un ritornello") ". i diritti. "Ma che perdi tempo?", quante volte me lo sono sentito ripetere, non possiamo permetterci quelle musiche. Quindi, prendi quella buona e metticela tutta. Così va il mondo...(eh).

  6. tobanis
    di tobanis

    Sulle musiche che suscitano pietas siamo alla vera pornografia, in tv ma anche al cinema. Già non stimo Gramellini, per dire, ma quando parte col pippone e la musica va in crescendo....ma a cagare. Gramellini come esempio, valga per tutti i documentari reportage tesi a impietosirti per una settimana, che poi la prossima si passa ad altro. E di massima evito di guardarli.
    Nello specifico, sulla Somalia: non sarebbe neanche da chiamare Somalia. La Somalia non esiste, è un'entità astratta, inesistente, uno Stato più che assente. Forse zona somala sarebbe più pertinente. Non ho visto il servizio, ma mi immagino che davanti alla catastrofe, la Soalia sia il grande assente, così come per ogni emergenza africana. Lo Stato dov'e? Cosa fa? Cosa sta facendo, per il proprio popolo?
    Qua sarebbe da fare un discorso più ampio: hanno fatto bene, in passato, questi popoli a opportsi al giogo delle colonie? E ci mancherebbe.
    E ora? La libertà, gran bella cosa, l'indipendenza, decidere a casa propria...tutto giusto. Ma ora iniziano i cazzi, direbbe il poeta. Ma il discorso magari diventa troppo fuori tema.

    1. mck
      di mck

      Off-off Topic. Gramellini/Cazzullo/Rampini/DeGregorio, finché non saranno sanciti dalla cassazione penale e civile come epiteti ingiuriosi, io continuerò ad usarli come tali.
      "Sei proprio un gramellini."
      "Ma vai a fare in cazzullo."

      Off-off-off Topic: in quanto a colonialismo e SuperSantos, da considerare pure quel che fa il Marocco nel Saharawi (Sahara Occidentale, Fronte Polisario).

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