Se leggo ancora una volta le parole “un atto d’amore verso il cinema” mi metto a urlare. Non ne posso più degli atti d’amore verso il cinema. C’è qualcosa di più abusato, retorico e scontato? Non solo: quando lo sento dire o lo leggo, in relazione all’opera di un regista, mi immagino già tutto: la sala buia, il volto del bambino affascinato dalla luce proiettata davanti a lui, le immagini che prendono a danzare sullo schermo … la magia del cinema.

Eppure ci siamo: sta arrivando. La formula “atto d’amore verso il cinema” sta di nuovo per occupare le parole di migliaia di commentatori e la colpa questa volta è sua. Parlo di Spielberg che sta arrivando nelle nostre sale (dal 22 dicembre) con The Fabelmans, il film (semi)autobiografico che il regista ha tenuto a lungo nei cassetti e che sarà l’alternativa possibile alla straripante dominazione di Avatar 2 per la rituale (annuale?) visita al cinema delle famiglie italiane per le festa di Natale. Non ci sarà praticamente molto altro (a parte il nuovo film di Aldo, Giovanni e Giacomo, che però - con tutto il bene che gli si vuole - ormai faticano a portare pubblico ai loro film).
Quindi state sereni: l’atto d’amore vi toccherà. È inevitabile però non guardare più da vicino a questa cosa, che è nel suo cuore fondamentalmente nostalgica e parla di un tempo che non c’è più. Anzi di un luogo che non c’è più. O meglio c’è ancora, ma chissà se conta più.
Perché, se fate caso, c’è quasi una costante in certe opere come The Fabelmans. Quando l’infanzia (del regista) e il cinema si incontrano, c’è di mezzo ovviamente una sala buia: c’è l’esperienza del corpo in uno spazio dedicato alla visione, (più o meno) immerso nel silenzio di fronte a uno schermo di grande misura. Al volo penso a Hugo Cabret e Nuovo Cinema Paradiso (archetipo dell’atto d’amore verso il cinema), ma sono sicuro che potrete trovare altri esempi (come questo film indiano assolutamente derivativo).
Abbiamo parlato anche troppo spesso dell’importanza della visione in sala, della sua differenza strutturale con la visione domestica. Lo abbiamo fatto quasi sempre in relazione alla vistosa crisi, alla disaffezione del pubblico. Per me la cosa è inevitabilmente qui per restare: è un cambio di paradigma e sta compiendosi, se non si è già compiuto. Ma non è importante questo, ora. Le immagini del trailer di The Fabelmans mi hanno portato invece a pensare a una cosa che, nonostante abbia cercato in lungo e in largo, non vedo ancora indagata. E questa cosa è: quanto la sala - intesa quasi come elemento di un setting analitico - ha importanza per l’effetto completo e reale del cinema come lo abbiamo conosciuto sin qui? Quanto la potenza delle immagini sullo schermo è dipendente dal luogo e dalle modalità della visione?
E infine, quale è il rapporto dell’infanzia con il cinema, ora che è cambiato radicalmente il setting e la visione è magari sul divano di casa magari mentre i grandi mangiano? Quali memorie genererà tutto questo? Ci sarà ancora un regista che tra sessant’anni, nella sua maturità, realizzerà un film pensato come atto d’amore al cinema? O piuttosto sarà solo un atto d’amore per lo streaming (che magari nel frattempo sarà già ormai stato sostituito da tutt’altro)?
È inevitabile rivolgersi agli studi di psicologia: tra cinema e psicologia si è da sempre consumato un amplesso fecondo. La macchina dei desideri e delle emozioni, con tutto il suo apparato di meccanismi identificativi e proiettivi, con i suoi effetti catartici, è un terreno elettivo per gli studi psicologici. Ma ovunque mi giri, qualsiasi testo vada sfogliando in cerca di un’illuminazione e di un sentiero, trovo solo saggi che - nella varia, dettagliata e anche complessa forma delle loro analisi - presuppongono sempre l’esperienza dello spettatore nel luogo dove si è storicamente compiuta sin qui: la sala, appunto. È normale: in fondo il cambiamento è in corso, è recente. E non si è ancora indagato. Eppure per l’infanzia forse - dall’esistenza dei Dvd in poi (fine anni ’90) - le cose hanno preso una certa piega da quasi vent’anni.
Nel girovagare però tra testi e articoli, mi sono imbattuto in questo testo, dove ho trovato un'affermazione congrua ma sorprendente:
Chi però, più di ogni altro insiste sulla necessità di introdurre nelle scuole un cinema educativo fondato sulla suggestione è Luigi Cremaschi. La sua proposta, singolarmente antitetica rispetto a quella del prefatore al suo volume, il noto pedagogista Raffaele Resta, è chiara: a scuola occorre far vedere pochi film, e fuori dalla lezione ordinaria, ma durante le proiezioni occorre «creare l’atmosfera di suggestione necessaria e sufficiente a incatenare la mente del fanciullo». Proprio per raggiungere questo fine, i film non vanno proiettati in classe ma in una grande aula, capace di assicurare, si potrebbe dire oggi, la potenza immersiva e ipnotica del dispositivo.
Quello che sorprende è che il testo di Luigi Cremaschi - Le proiezioni luminose nelle scuole - è del 1925: quell’uso della parola fanciullo nel testo avrebbe dovuto mettervi sul chi va là. Pensate: si ragionava compiutamente sull’uso didattico del cinema ancora prima dell’arrivo del sonoro.
Chissà cosa ne avrebbe pensato il buon Cremaschi - che oltre ad articolare il proprio pensiero sulla sacralità del luogo deputato alla visione, raccomandava di proiettare “pochi film” - di questa onnipresente disponibilità del cinema su qualsiasi schermo e di qualsiasi dimensione. La radicale alterazione del luogo della fruizione e la sovrabbondanza degli stimoli permetteranno ancora alla fabbrica di sogni di adempiere alla sua funzione - affatto secondaria - di strumento per l’educazione emotiva dello spettatore? Un film visto su un tablet in macchina scatena ancora nel “fanciullo” quei meccanismi proiettivi che sono alla base - prima nel teatro, poi nel cinema - dell’esperienza dell’essere spettatore?
Se ripenso alle mie prime esperienze al cinema mi colloco sicuramente con Spielberg, Scorsese e compagnia bella: è l’anagrafe, non si scappa. E anche se avevo già la televisione da piccolo e magari loro no, penso che il mio primo cinema non sia stato radicalmente diverso dal loro.
Ma sarebbe interessante sentire la voce degli spettatori più giovani, di quelli che sono già cresciuti con i dvd. E sarà interessante capire che ne sarà di quelli che sono oggi bambini e che magari al cinema ci vanno di rado (vedi anche alla voce: prezzo del biglietto).
Una cosa mi sembra comunque assodata: non stiamo allevando una generazione di spettatori. Bene o male che sia, indipendentemente dal fatto che questa crisi che sembrava pandemica e che ora è endemica passi o no (e io non vedo i presupposti strutturali perché passi), le generazioni future avranno un rapporto diverso con il cinema e i film. Ed è un cambiamento radicale di una cosa che avveniva da un bel po’ di tempo. Psicologi del futuro, dateci un’occhiata.
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Il germe del processo che menzioni lo farei risalire, più che alla diffusione dei DVD sul finire degli anni '90, all'arrivo di una rete internet sufficientemente veloce da supportare downloads di files di grandi dimensioni. Quindi 2005 o giù di lì. I DVD erano in fondo 'solo' l'evoluzione dei VHS, già diffusissimi da metà anni '80. E soprattutto: non erano gratuiti. Anzi.
Il timore è che il cinema inteso come sala cinematografica farà la fine che fece il teatro con il diffondersi di cinema prima e televisione poi. Non scomparirà ma finirà nell'angolino nobile della cultura. Che pur se nobile sempre un angolino rimane. Mi (ci) rattrista, ma temo sia un processo irreversibile. Spero di prendere un'enorme cantonata, chiaro sia!
Può darsi ma anche se erano costosi io ho il ricordo delle case di amici con figli piene di DVD di cartoni e film per bambini. E li sapevano a memoria: 15-20 euro ben spesi.
Ai cartoni animati non avevo pensato, hai ragione, è che nessuno dei miei amici aveva ancora figli all'epoca :-)
NB quanto al teatro, vedere mia nota sotto. Non è mai sparito, anzi è pieno!
Infatti avevo scritto che il teatro NON scomparì ma finì nell'angolino nobile, nella nicchia della cultura. Fai il raffronto numero rappresentazione teatrali oggi vs numero rappresentazioni teatrali cent'anni fa poi mi dici quando era attività per tutti e quando attività per pochissimi. Il giorno in cui il numero di proiezioni in sala sarà così sparuto come quello delle rappresentazioni teatrali vedrai che anche le sale cinematografiche saranno piene.
Io non sono giovane,sono un addetto ai lavori e non ho ben capito se anche a chi a una certa età e' consentito intervenire,anche perché,ci metto la mano sul fuoco,un giovane blogger o influencer starà parlando dell'ultimo film cool appena uscito perchè sono questi che danno i like,attirano gli sponsor e permettono visibilità e facili introiti.Il cinema lo diciamo da un decennio ai festival, e' destinato a diventare come il teatro.I film blockbuster con effetti mirabolanti si vedranno a prezzi da capogiro,la massa finirà su streaming pagando poco filmacci di serie z e dovr aspettare almeno un anno per vedere il film blockbuster menzionato e il cinema d'autore ,proprio quello creato per la sala,finirà in un magma tra visioni domestiche notturne,
,streaming ad alto costo,blue-ray a prezzi esorbitanti limited edition da collezioni come d'altronde gia' in parte avviene. In sala si vedrà solo ai festival che diventeranno sempre più marginali ed elitari come un tempo,il vero problema e' che quello che sarà spacciato come cinema d'autore non sarà tale ,soprattutto nel mondo occidentale venduto all'entertainment,sara' pattume pompato da bloggers ed influencers analfabeti perchè cresciuti con pixel e cristalli liquidi,e gli stessi autori non saranno proprio in grado di realizzare opere importanti perchè cresciuti in pieno benessere e acriticità.Lo abbiamo visto col covid e con la guerra,ci fosse stato un autore che abbia detto una singola parola contro il pensiero unico,quando non c'è discussione non c'e cultura,non c'è cinema e l'esempio di cosa sia diventata la musica rende molto bene l'idea.
Il mondo cambia e continuerà a cambiare e questo è ineluttabile che ci piaccia o no. Ma le sensazioni ancorate ad un certo mondo non cambieranno mai. La "magia" (scusate la banalità) del cinema, qual'é? Il vedere un film con uno schermo grande? Una volta, ora non più. E' la condivisione con altre persone di aspettative che uniscono tutti quelli che vanno a vedere un certo film e che si aspettano, vogliono provare sentimenti comuni che, in quanto tali, li fanno sentire meno soli, più forti e più appagati. E' tutto lì. il resto si può fare benissimo da casa con un mezzo qualunque. Alla fine quello che conta è sempre l'essere umano e la sua fragilità. Quindi il cinema morirà? Forse si o magari no se lo spazio di condivisione di queste aspettative e di queste sensazioni attese rimarrà nei nostri cuori e nella nostra mente, al di là dello spazio fisico che potrà essere diverso da quello di oggi, chissà....
"Ciao, Adrià"
"Oh, Maurizio, tutto bene ?"
"Sì, che dici? Cinema ?"
"Maurizio, confesso mia colpa: vado sempre a teatro ma a cinema ormai non più"
"Ua, Adri! Ma perché ?Cioè, come mai ?"
"Beh, ho la casa stipata di film che devo ancora vedere...tra le tante piattaforme cui sono abbonato, non ho tempo di fare nulla...Poi, tu lo sai, faccio anche cucina, vengo a lavorare qui, la mattina, e la sera...teatro."
"Ma comunque hai ragione: parlavo con questa amica, che ha fatto l'esecutiva per Denzel, "The equalizer" in Costiera, fino a qualche giorno fa, e mi ha detto: Maurì, teatri pieni e cinema vuoti..."
"Il fatto è che il teatro è poco replicabile", dice Adriano, "e se lo perdi, lo hai perso. Ricordi quando Amelio scrive nel suo libro che "aveva paura di perdere - per sempre - la possibilità di vedere film che erano considerati introvabili"? Ecco, così per il teatro. Anche perché, dicimmece 'a verità, tu sul cinema puoi trovare di tutto, blog, siti, puoi scriverci pure, anche se non sei un critico, ma sul teatro?"
"Eh, questo è vero...non ci sono molti posti dove leggerne e poi sono spesso tenuti dai due, tre critici che esistono...nel cinema non è stato mai cosi. Però, vedi, Adriano, teatro costa, cinema, invece..."
"Maurì, come dice la tua amica, sì, quella che scrive su film.tv, il teatro è elitario, perciò non passerà mai di moda, il cinema è popolare, per cui...senza le masse, così dice lei, non esiste"
"Adriano, hai ragione. Però, ragioniamo: è sempre stato così..Ti ricordi quando andavamo in quattro all'Astra per vedere Kiarostami?"
"Maurì, vero - e grazie: la gente l'ha pure dimenticato Kiarostami...- però poi le masse accorrevano per Spielberg, oggi nemmeno pure...E sai perché ?"
Mi dico che no, non lo so, anche perché cinema di supereroi è frequentato, penso.
"Ma perché prima la gente faceva i figli!, E dai, che lo sai....Guarda il decremento demografico, è tremendo. I supereroi ancora reggono perché quel target esiste ma non può reggere Spielberg, dai! Almeno non in Italia. Però, io non penso che il cinema muore..."
"Adriano, tu mo' me l'hai ucciso.."
"No, no. Io e te stiamo per organizzare un festival ? Vedi, è questo il punto. Per continuare a far sopravvivere il cinema, occorrono manifestazioni prestabilite, non basta più Venezia. In questi contesti, con presenze di protagonisti, di amici, di cultori, cinefili, semplici appassionati, si fa il pienone"
"Ciao, Adriano, devo scappare"
Ohibò, avesse ragione ?....
ok ma comunque non era esattamente di questo che provavo a parlare.
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