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È morta una stella
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C’è questa polemicuccia che si è accesa l’altro giorno. E non che ci interessino le polemicucce, ma si infila in una cosa che vado annotando dentro di me da un po’. C’è di mezzo il buon Tarantino che l'altro giorno in un’intervista si è unito alla già lunga fila di registi che criticano i film Marvel (Scorsese, se ben ricordate, li aveva definiti “parchi a tema”). Tarantino è stato più blando: ha detto che non li odia, ma che certo nemmeno li ama e che soprattutto non sopporta la “marvelizzazione” di Hollywood, come se non ci fosse spazio per nient’altro. Poi ha aggiunto. “parte di questo fenomeno è che ora ci sono tutti questi attori che ci recitano che non sono vere movie stars. Capitan America è la star, Thor è la star. E non sono il primo a dirlo (…) sono i personaggi che sono diventati star.” E ha concluso ricordando come una volta si andasse a vedere qualsiasi cosa il proprio attore preferito facesse, mentre ora non è più così. “Non è più così oggi. Vogliamo solo vedere quel tizio interpretare Wolverine”. Non ci interessa il resto delle cose che fa.

Al di là poi della risposta che gli ha dato su Twitter Simu Liu, l’attore che ha recitato in Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli, che ha detto che se avesse aspettato Scorsese o Tarantino per avere un ruolo significativo avrebbe aspettato per sempre, penso che Tarantino abbia non so quanto consapevolmente toccato un punto che merita di essere guardato più da vicino e che è ben più ampio del contesto del suo discorso.

Credo innanzitutto che la cosa che lui dice possa estendersi per esempio agli attori delle serie tv di successo. Per fare un esempio, nessuno (tranne pochissimi) si è appassionato a quello che hanno fatto Emilia Clarke o Kit Harington, i due principali interpreti di Games of Thrones, dopo che la serie è finita e comunque al di fuori di essa. Quello che contava erano i loro personaggi, Daenerys o Jon Snow: non loro due. E questo va totalmente al di là del fatto che loro siano più o meno grandi attori (risposta breve: no, non lo sono). Quello che conta è che in quel contesto, che ha avuto una diffusione mondiale e una popolarità altissima, loro erano a tutti gli effetti le *star*. Ma fuori dal ruolo, sono come tanti altri attori: possono andare bene per un reel su youtube o sui social, ma non chiamano pubblico con la sola loro presenza.

Renée Zellweger

Judy (2019): Renée Zellweger

Lo stardom, il divismo, ha una lunga storia: 100 anni. Si dice che la prima star fu Florence Lawrence, attrice del cinema degli esordi. A renderla tale fu Carl Laemmle, patron della IMP (poi confluita nella Universal) che per accrescerne la notorietà si inventò di diffondere la notizia che era morta, così da poterla poco dopo smentire annunciandone il debutto nel film The Broken Oath. Era il 1910 e nasceva il marketing (e che marketing) applicato al cinema. Da allora la cosa non fece che crescere. La Hollywood dei tempi d’oro si nutrì dei divi che aveva lei stessa creato: da Humphrey Bogart a Bette Davis, da James Dean a Marilyn Monroe a James Stewart e a tutti gli altri gloriosi nomi che vi vengono in mente. Talenti meravigliosi, sicuro, grandissimi attori: ma certo non esseri umani speciali. Lo apparivano tuttavia agli occhi delle masse, ipnotizzate: figure sulle quali si appuntavano gli sguardi proiettivi di milioni di spettatori, adoranti, insieme ai loro sogni, alle loro aspirazioni, ai loro desideri.

Se ben guardate anche durante la controcultura, gli anni ’60 e ’70 e la New Hollywood, questo status riconosciuto agli attori non è venuto meno: Jane Fonda, Al Pacino, Bob De Niro, Dustin Hoffmann interpretavano sugli schermi figure radicalmente nuove ma non per questo era diverso l’atteggiamento che si aveva nei loro confronti.

La vera rottura è arrivata dopo. Più o meno con l’arrivo di internet, o meglio con la sua maturazione (e deriva) rappresentata dai social. Il marketing virale ha accresciuto la diffusione della presenza delle star, di qualsivoglia natura, ma ha anche aumentato l’entropia e diminuito l’interesse. Da una parte c’è stata una sovraesposizione. Dall’altra parte si è avverato il detto warholiano. Il famoso quarto d’ora di notorietà che non si nega a nessuno è diventata regola: chiunque sui social può diventare una star. Del resto influencer senza alcuna reale qualità, se non la rappresentazione di se stessi, hanno accumulato milioni di follower. Ma se tutti sono potenziali star, nessuno lo è più davvero e la fama diventa sempre più effimera. Si girano biopic sulle vite dei grandi attori del passato (giusto ieri sera, per caso ho guardato in tv alcune scene di Judy, sulla Garland, a proposito di stelle nate e morte), ma riuscite a immaginarvi seriamente un biopic del futuro sulla vita di un attore di oggi? Se sì, fuori i nomi.

Non c’è nostalgia nelle mie parole. Non ho mai sviluppato alcun tipo di fanatismo, non ho appeso poster nella mia cameretta (anche se sì, forse un invaghimento negli anni della adolescenza per De Niro c’è stato, lo ammetto…). Ma la fine dello star system (che vale forse ancor di più per il mondo della musica popolare) va al di là del nuovo corso rappresentato dai film Marvel. È la vittoria della narrativa sull’interprete - che accomuna film di supereroi e serie tv - che segna i nostri tempi: un fenomeno che semplicemente non può non essere osservato e indagato.

E adesso pensateci e ditemi: qual’è stata - se c’è stata - l’ultima volta che siete andati a vedere un film semplicemente perché c’era una data attrice o un dato attore? Oppure: quale nome, secondo voi, chiama ancora pubblico solo per la sua presenza nel cast? E quali erano gli attori che una volta seguivate? E se ce n'erano, lo fate ancora? Coraggio, confessate. :-)

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