Torno sul tema sollevato dalla newsletter della settimana scorsa di Database per azzardare una specie di sintesi tra le risposte ricevute e condividere con voi una riflessione scaturita dalla visione tardiva di un film molto dibattuto qui su filmtv.it.
Prima di ciò però voglio ringraziare tutti coloro che hanno fortemente desiderato farci avere il loro pensiero, anche inviandoci email per ovviare ad un bug che impediva di commentare seguendo il link pubblicato nella newsletter e che dovremmo essere riusciti a risolvere proprio grazie alle vostre segnalazioni.
Nella sostanza Database, che mi scuserà per questo eccesso di sintesi al suo utile e bell'articolo, chiedeva se e come vi destreggiate nella marea di informazioni su cinema e serie televisive. Una marea che spesso diventa un vero e proprio rumore di fondo che rende complicato trovare la strada che vi porta al vostro cinema.
Le risposte che ci avete inviato sembrano riflettere una forma di resistenza al rumore, anzi di protezione. Mi sembra abbiate idee chiare su cosa vi interessa ma al tempo stesso la sovrabbondanza impone dei tagli ad alcune frequenze e ai relativi contorni. C’è la sensazione di essere immersi dentro ad un magma che porta con sé il legittimo dubbio di essere "indietro su tutto". Chi legge la rivista, ancora molti tra quelli che ci hanno scritto, usa strumenti che fanno probabilmente sorridere i più tecnologici, biro e matite per non perdere di vista e idealmente segnare le cose da tenere d’occhio. Una componente a mio giudizio molto interessante, evocata da qualcuno di voi, è il desiderio di mantenere il "fattore sorpresa" e il tentativo di conservare il "mistero del cinema". Anch’esse forme di resistenza al caos ben più sofisticate di quanto non appaiano a prima vista.
Mi hanno colpito particolarmente anche alcuni commenti che premiano la programmazione dei cinema vicini, piccoli, curati e sul versante opposto, quelli che escludono a priori i film proiettati nei cinema diciamo di massa. Sebbene sembrino entrambi parametri attribuibili a spettatori sofisticati o appartenenti a nicchie, sono comunque filtri che rispondono alla stessa esigenza: diminuire il caos.
Sembra che i trailer, i character poster, le anticipazioni sulle locandine interessino a pochi di voi e tutti sembrate molto più orientati ad ottenere informazioni essenziali (quando e dove) o molto approfondite (ritratti di autori, tematiche affrontate, stile e soprattutto storie) sugli autori e gli attori che seguite e che compongono la vostra carta di identità cinematografica. I commenti brevi sono utili per scegliere cosa guardare e la lettura delle recensioni viene rigorosamente spostata dopo la visione.
Al netto del fatto che essendo parte di filmtv.it già siete espressione di un segmento di spettatori più esigenti o attenti, credo di poter affermare che di certo il rumore è tanto anche perché siamo in presenza di una produzione e distribuzione sovrabbondante che genera forzatamente un monte di informazioni difficilmente gestibile rispetto anche solo a dieci anni fa.
A completare questa operazione di sintesi (o a complicarla?) mi è arrivata addosso la visione colpevolmente tardiva, il film è del 2017, di The Square del regista svedese Ruben Östlund. Al centro della pellicola c'è un’opera d’arte concettuale: un semplice quadrato dentro al quale dovrebbe vigere la regola di aiutare chi ha bisogno di aiuto. Ovviamente l'installazione deve essere adeguatamente lanciata e promossa e per essere sicuri che i media ne parlino ma soprattutto per smuovere dall’apatia gli spettatori, i responsabili della comunicazione assoldati dal museo decidono di produrre un video dai toni inquietanti e dal contenuto sovversivo che postano su YouTube. Il risultato in termini di visibilità è raggiunto ma a quale costo?
The Square è un’opera complessa e controversa che apre uno squarcio, a volte con il bisturi a volte con un'ascia, sull’ipocrisia dell’uomo contemporaneo. E soprattutto sul sistema mediatico del quale è vittima e al tempo stesso complice. Se non addirittura, involontariamente, perlomeno a livello individuale, corresponsabile. Sebbene il micro universo che The Square affronta sia quello dell’arte e il personaggio sul quale focalizza lo sguardo sia il curatore di un importante museo di Stoccolma - di certo non l’ambiente e il profilo più pop che mi vengano in mente - le dinamiche che vengono rappresentate sono perfettamente rappresentative del nostro tempo.
Soprattutto quelle che descrivono il funzionamento dei media, social e non social, con particolare dettaglio sul grado di attenzione sempre minore che i lettori e gli spettatori riservano alle notizie, alle informazioni, alla cultura e allo spettacolo. Cosa che impatta non solamente sul modo di comunicare ma addirittura sul concetto di cosa sia notiziabile, degno cioè di ricevere esposizione e di essere comunicato. Non per oscuro volere di chi è deputato a decidere ma per la manifesta incapacità dell’audience di soffermare l’attenzione a lungo sullo stesso tema.
Siamo abituati ormai a pensare in termini di ricerca del colpevole. I social sono colpevoli della polarizzazione delle opinioni e dell’incapacità di confrontarsi civilmente. Le serie sono colpevoli di avere ucciso i film. Lo streaming è colpevole di avere dato il colpo di grazia al cinema in sala. L’algoritmo è colpevole di… quasi tutto. Ma se queste innovazioni o involuzioni - il colore della definizione non cambia filosoficamente il concetto - fossero conseguenze e non cause? Se la nascita di YouTube, ad esempio, fosse una risposta ad un bisogno e non la matrice del problema che ha generato la nostra disabitudine al formato lungo? E se, per estensione, i film soffrissero la concorrenza degli episodi delle serie perché questi sono strutturati proprio per andare incontro alla nostra incapacità di mantenere salda l’attenzione su uno stesso oggetto per più di xx minuti senza un colpo di scena o un effetto speciale che fa dire wow?
E se tutto dipendesse, altro tema centrale affrontato egregiamente in The Square, dalla nostra crescente incapacità di provare e mostrare reale empatia per i nostri simili? E se questa incapacità si stesse anche trasferendo al grado di comprensione empatica per ciò che accade sullo schermo? Questo spiegherebbe il proliferare degli universi e dei multiversi, e l’abuso dei franchise nostalgici. Come se questi fossero ormai gli unici modi per smuoverci dalla nostra generale apatia.
Ruben Östlund, in maniera programmatica e perciò un po' artificiosa, in The Square sembra voler far risalire la maggior parte delle colpe ai conflitti di classe delle democrazie europee che hanno di fatto comportato distanziamenti e fratture insanabili, parcellizzando le nostre società in compartimenti stagni, generando catene di sfiducia e rendendo di fatto impossibile l'identificazione di un minimo comune denominatore. Quella che un tempo avremmo chiamato, a colpo sicuro, umanità.
Se non l'avete visto, vi segnalo che The Square è disponibile gratuitamente su RaiPlay e in abbonamento su Prime Video. E per aiutarvi nella decisione vi consiglio di leggere le recensioni presenti su filmtv.it. Ah no, cosa dico, quelle si leggono dopo!
Per dire la vostra, alimentare la discussione o anche solo per provare se davvero abbiamo risolto il bug dei commenti potete accomodarvi qui sotto.
E incredibilmente, per un mirabile gioco del caso, l'attore che interpreta il curatore del museo in The Square è anche il cattivo più bastardo che ho visto sullo schermo da tanti anni a questa parte, nella serie tv britannica di cui vi parlo nel nuovo episodio del podcast Pablo che potete ascoltare qui.
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