TRENTATRE ANNI DOPO
Un viaggio “psicogeografico”, così è stato definito quello che Tilda Swinton ha compiuto per due volte in bicicletta nel 1988 e nel 2009 intorno al Muro, visibile ed invisibile, di Berlino.

Era l’estate del 1988 quando l’attrice s’imbarcò per la prima volta.
Lunghi capelli rossi, fisico androgino e gonna svolazzante alla moda dell’epoca.
Il Muro era ancora lì, non erano in molti a credere che, tempo un anno, sarebbe caduto a picconate.
I Mauerspecht, picconatori a tempo pieno che, giorno dopo giorno, lasciarono in piedi solo qualche frammento di pochi metri ad uso dei turisti, erano ancora a far file con le tessere nella lugubre Berlino Est.
Wir seind ein Volk, Noi siamo un popolo fu l’urlo della folla davanti alla Brandenburger Tor quella sera di Novembre 1989.
Il popolo più felice della terra, das glücklichte Volk der Welt, dopo 28 anni in marcia verso la libertà, stava compiendo la Friedliche Revolution, la rivoluzione pacifica.
Ma nel 1988 chi poteva immaginarlo? Forse, ed erano in molti, chi credeva in Gorbacev.
Anche loro ci credevano, Tilda Swinton e Cynthia Beatt, regista dei due documentari, Cycling the Frame e The invisible frame.
I paesaggi non cambiano così spesso, venti anni non sono molti, ma a Berlino sembra passato un secolo.
La Storia degli uomini a volte ristagna per ere geologiche, altre volte accelera e rende tutto irriconoscibile.
Nel 1988 Tilda correva per lungo tratto al di qua del Muro, in una Berlino Ovest solidamente allineata alle opulente democrazie europee: , strade trafficate, belle ville e villette di periferia, placidi stagni e giardini lussureggianti creavano un contrasto surreale con gli edifici grigi in cemento che occhieggiavano di là dal muro; i controlli di frontiera erano paradossali sopravvivenze di un tempo che si credeva finito.
Poi tutto cambiò.
Cosa cambiò, nell’immediato, ce l’ha mostrato il grandioso affresco di Edgar Reitz in Heimat 3; cosa è accaduto dopo, fino al secondo giro in bici di Tilda, è storia quotidiana, nota ai più.
I due documentari sono uno straordinario documento storico e parlano più di interi scaffali di libri.
Un prima e un dopo a portata di mano, un giro in bicicletta che si protrae per qualche giorno, e passato e presente sono offerti all’occhio di chi ha voglia di fare confronti, osservare differenze, valutare conseguenze.
Attrice e regista non offrono interpretazioni, solo il loro sguardo sul presente, 1988 e 2009.
Su entrambi i lati dell'ex Muro c’è una lunga storia da raccontare, ma si può anche decidere di fare a meno delle parole che troppo spesso blindano, alterano, o, peggio, credono di dire tutto e non dicono neanche abbastanza.
Una voce c’è, è quella interiore della donna in bicicletta,pensieri che, in ordine sparso, si formano in mente sempre quando da soli facciamo qualcosa.
IL MURO VISIBILE
La partenza e l’arrivo sono davanti al Muro che sbarra la Porta di Brandeburgo. E’ giugno, fa caldo, il cielo non promette pioggia, ma arriverà a breve anche quella.
Il percorso è lungo, dura qualche giorno, la bici esce dalla città dopo aver costeggiato la grigia teoria cittadina di pannelli di cemento che, in una notte di agosto di 27 anni prima, avevano separato strade, marciapiedi, case, uomini
Scritte sul Muro, urban graffiti, i muri sono il regno dei writers, “la gente che ha bisogno di fare qualche dichiarazione sul muro”, torrette di legno avvicinate ai pannelli per cercare di guardare oltre, ma quel che si vede è solo una strada deserta; cartelli con “Zona d’influenza britannica”, “Zona d’influenza americana”, posti di guardia e Vopos che guardano, non si sa se più annoiati che minacciosi, binari ferroviari interrotti.
Fuori dalla città la bici attraversa campi coltivati e spianate di terra incolta, boschi di alberi secolari e lindi paesini con belle villette dai giardini ben curati su cui la macchina scorre lenta.
L’uomo che taglia il prato, i gerani alle finestre, le tendine di pizzo che svolazzano alla brezza estiva sono incuranti di tutto.
Sembra che ignorino il Muro, gli abitanti di Berlino Ovest.
“E’ come vivere su un’isola e ignorare il mare. Una specie di argomento tabù”.
E il Muro? E’ sempre lì, da anni, incombe, il confine passa perfino al centro di un lago, si può nuotare solo fin là. Come resistere con quel sole ad entrare nell’acqua senza paura di venir presi a fucilate?
I laghi intorno a Berlino non hanno pace.
A Wannsee, sulle sponde di uno di quelli, gremito di fuoribordo dei benestanti berlinesi, sorge la villa della famosa Conferenza dove si decise la Soluzione Finale del problema ebraico.
Un abbaiare minaccioso, alti palazzi con finestre murate verso ovest svettano dall’altra parte del Muro, scheletriche costruzioni abbandonate mandano un rumore di vetri rotti, saranno i fantasmi? Quel rumore fa parte del sound che accompagna stridendo le scene, perché stride la follia dell’uomo che innalza i suoi grigi manufatti in una bella giornata di sole che scalda la terra.
Tilda si ferma, osserva pensosa, ora è sbalordita, ora fa foto dall’alto di una piattaforma e sorride, si chiede se quei soldati sempre con binocolo puntato lo useranno anche quando tornano a casa.
“Oh Muro, o bel Muro, quando ti vedo mi colpisci sul vivo”.
Stupidi idioti! Pensa di fronte al cartello “Achtung, deposito munizioni della seconda guerra mondiale.”
La meta infine arriva, è di nuovo la Porta di Brandeburgo, dalla metà in su, il resto è nascosto dal muro. Un cerchio di 160 km ha tagliato per quasi trenta anni una bella fetta della torta.
Si parte da un punto per tornare da dove si era partiti, un loop diabolico.
“ Sto bene, tutto andrà per il meglio … tutto andrà come deve essere e…è tutto qui. Il caso è chiuso”.
Ultimi pensieri a bocca chiusa.
IL MURO INVISIBILE
Ventuno anni dopo.
La bici scorre libera, e sembra anche più leggera, sul serpentone di mattonelle che segnano il tracciato della memoria, là dove il muro è sparito ma bisogna ricordarlo
Spiccano i nuovi volumi della città, vetro, acciaio, forme di architettura avveniristica che convivono con antiche glorie di celebri maestranze.
Unter den Linden verso la torre di Alexander Platz ora è percorribile, cantieri per la ricostruzione a Est, ordine, pulizia e benessere a Ovest, il traffico scorre, le vecchie Trabant sono state rottamate, Berlin grossstadt, colta e severa capitale morale d’Europa, si è ripresa i suoi spazi.
Quella che rimane in mente, ultimate le due visioni, è una specie di Giano bifronte, il riassunto dell’ultimo secolo, delle sue cadute e delle sue rinascite, un riepilogo en plein air di cento anni di storia, iniziata molto prima del Muro e mai finita.
Perché tra i sogni e il loro avverarsi c’è la realtà.
Sappiamo che nella Berlino riunificata dopo un po’ si diffuse la cosiddetta “nostalgia dell’Est”:
“Credo che dipenda molto dal fatto che la gente dell’Est pensava che dopo la caduta del muro tutti i suoi problemi si sarebbero magicamente risolti, mentre così evidentemente non è stato, perché si è trovata a confrontarsi con tutte quelle illusioni che aveva sulla vita della Germania dell’Ovest ed essere poi costretta a rivederle. Questo ha portato anche ad un rimpianto verso alcune cose che aveva prima e che adesso non ha più.” (E.Reitz in Cinema del silenzio.it)
Tilda ha il suo inconfondibile caschetto biondo androgino, per il resto è uguale a vent’anni prima.
Ora che il Muro è sparito bisogna ricordarlo, e memorie sono sparse ovunque, pezzi di muro conservati, stele memoriali, lapidi di morti nella fuga dall’Est.
C’è però un che di artificioso in tutto questo, le due Berlino convivono ma ci si chiede se sono davvero un’unica città.
Il berlinese forse risponderebbe di no. Tilda sembra spesso perplessa durante il viaggio, al ritorno davanti alla Porta di Brandeburgo si ferma e guarda in su, i pensieri stavolta sono inespressi.
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Il Muro oggi, nel ricordo,è diventato un feticcio, un luogo comune, un’iperbole, il segno di quello che poteva essere e non è stato.
Di muri visibili ancora si muore in circa cinquanta Stati nel mondo, muri reali, tangibili.
Di muri invisibili ci si munisce per conservare la propria tranquillità quotidiana.
E dunque una bicicletta, il più mansueto dei mezzi di trasporto e la più straordinaria, camaleontica icona del cinema, attrice simbolo delle infinite possibilità della settima arte, ci indicano la strada: una salutare corsa in bici aiuta a vedere e a ricordare, certo fa molto bene al corpo e, se
c’è, allo spirito.
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THE INVISIBLE FRAME è dedicato al popolo palestinese.
www.paoladigiuseppe.it
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Pagina molto bella, Paola. Another brick in ftv (e dintorni).
Grazie Mat, un caro saluto
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