Alla fine venne agosto. Il vento sferzò la terra assetata portando via quell'afa impossibile di luglio. Rimase un azzurro screziato e pallido a sonnecchiare tra le foglie ingiallite e sui prati muti di cicale. Qua e là, le nuvole di panna si rincorsero per sfuggire al fohn che da nord assalì violento questa estate come non mai, e la spinse più in là, sulle acque marroni di un lago incredulo. Rimasi ferma, con il naso all'insù e mi chiesi, con inquietudine, se poi sarebbe ritornato l'autunno, e come: Forse no. Forse questo vuoto mi avrebbe accompagnata, seguendo le gocce scivolare sul vetro. La mia testa si sarebbe sgombrata di ogni pensiero e fra i minuti sospesi non avrei più ritrovato me stessa. Nero, ellisse, ed eccomi persa in quello spazio di nulla fatto di una stradina verso il mare: l'avevo percorsa per anni, sotto la canicola, ascoltando le voci sommesse delle stoviglie di metallo, di una lavatrice, del pianto nervoso di un bimbo. Ma venne questo di agosto, e la canicola si nascose tra i pini odorosi, e non tornò più fuori. Il sole si fece gentile, le ombre si allungarono sull'asfalto e mi scoprii triste a contarne più d'una. Questa maledetta nostalgia. Ripassai nella memoria parole, tante, ed avvenimenti chiedendomi se mai fossero accaduti, perchè la nostalgia è per ciò che non hai mai avuto, e che non potrai avere. Non credo sia mai successo e fu un sussurro, come un segreto che alla fine butti fuori. Arrivai alla spiaggia, i rumori attorno ed un verde piatto e sfumato di blu in lontananza. Tirai fuori il libro e mi sforzai di ricacciare le lacrime dentro gli occhi, chiudendoli ma senza strizzarli per non peggiorare la situazione. Non era ciò che stava scritto, ma fu l'oggetto in sé, il suo odore di giallo e di polvere, di inchiostro e di muffa, ad emozionarmi. Un flashback sfocato in bianco e nero e vidi scorrere i momenti andati che non si erano mai veramente trasformati in istanti: fotogrammi di una pellicola sentimentale. E le battute erano parole frugate nella bocca e scivolate, fugaci, sulla lingua. Quelle stesse parole fatte di battiti ansiosi e trepidanti, veloci come le dita esperte su di una tastiera. Fu dunque l'oggetto in sé ad emozionarmi perchè mi riportò a ciò che non sarei più stata, o forse che non fui mai. Misi tanti se, forse, ma ed avverbi che mi erano sempre piaciuti: un giorno, chissà, sarò sincerà e condividerò: lo farò con la mia scrittura. Ma capii subito che non sarebbe mai potuto avvenire: ti manca la vanità necessaria, di lasciare spazio solo a te stessa. Detto così, sembrò un'asserzione carica di quella stessa vanità, ma il mondo lo sapeva, che non lo era. Magari, un piccolo atto di orgoglio, che sancisse la mia famigerata onestà intellettuale. Agosto, enigmatico, mi sbattè in faccia la verità: fece male. Altro che pensare, cavoli!: mi sfregai la guancia, la massaggiai per far passare il dolore di quella sberla. Rimasi stordita, non me la meritavo e mi torturai chiedendomi ancora e ancora cosa mai non funzionasse in me. Non funziono mai e mi si aprì una voragine di insicurezze sotto i piedi. Il caldo si aggiunse al caldo, sudai il mio sgomento che si asciugò in irritazione. Scossi la testa in diniego: la verità libera chi la confessa, ma non chi la subisce. Guardai il libro fra le mie mani, lo aprii e il turbamento si fece carico di rabbia: nulla è più vero di una favola bella, perchè qualcuno dovrebbe sentire il bisogno di cancellarla? Riscrivere una storia che funziona, che ha il respiro, ha il cuore, ha lo stile giusto? Mi salì un magone lungo l'esofago, veniva dallo stomaco, voleva uscire. Lo sputai fuori in dolore: avevo speso anni dietro alla finzione? Allora, perché levarmela? Persa, non seppi più dove guardare e allora guardai il cielo. Lui era lì, ed era realtà, ma anche sogno, il mio sogno chiuso tra i palazzi di una città o libero sll'orizzonte. Il sole mi abbagliò e strizzai gli occhi ora, con insistenza, fino a che le lacrime vennero fuori e mi sentii libera di piangerle: quell'azzurro intenso che avevo amato fin da bambina, immutabile e sereno, mi confermò l'eternità della mia favola bella che ieri m'illuse, che oggi mi illude. La verità? Un attimo effimero che muore mentre nasce. Fu allora che il dolore cominciò a dissolversi piano dentro una folata di maestrale che stropicciò le pagine facendole cantare. Mi rituffai nella vertigine luminosa della volta fiordaliso ed il mio sguardo divenne brivido sulle labbra, lungo la schiena, sopra il mio petto e dilatò nel sesso. La vertigine, languida, struggente, viscida ... ombra nel sole, silenzio . Ma i fogli continuarono a cinguettare quella melodia, ruvida dalla sabbia che il vento sollevava, e seppi che sarei tornata a scrivere. Per me soltanto. Dopo tanto tempo, riconobbi il mio volto specchiato nell'anima
Jin-Wen: Ha letto i miei racconti? / Chow: Qualcosa. / Jin-Wen: E allora? / Chow: Smetta di scrivere! / Jim-Wen: Perché? / Chow: Ha troppo talento, resterei disoccupato. (2046)
Mi piace l'odore della carta, di tutti i tipi. Mi ricorda l'aroma della pelle (I racconti del cuscino)
Cercare significati fisici e metafisici è una maniera maldestra per capire cosa succede quando due essere umani hanno bisogno non solo di stare insieme, ma di diventare così totalmente duttili che ognuno si trasforma nell'altro. Essere ciò che sono graize a te. Essere ciò che era grazie a me. Essere nella sua bocca mentre lui era nella mia ... Lui era il passaggio segreto che mi conduceva a me stesso, come un catalizzatore che ci consente di diventare ciò che siamo, il corpo estraneo ... l'innesto, il cerotto che manda gli impulsi esatti, il chiodo d'acciaio che tiene insieme le ossa di un soldato, il cuore di un altro uomo che ci rende più noi stessi di quanto non eravamo prima del trapianto ( André Aciman, Chiamami col tuo nome)
Nella vita il vero amore si può mancare se lo si incontra troppo presto o troppo tardi. In un'altra epoca, in un altro luogo, la nostra storia sarebbe stata diversa (2046)
E tornando a quella sera, quando saremo vecchi, parleremo ancora di questi giovani come se fossero due sconosciuti che abbiamo incontrato sul treno, che ammiriamo e vorremmo aiutare. E ci verrà da chiamarla invidia, perché chiamarlo rimpianto ci spezzerebbe il cuore ( André Aciman, Chiamami col tuo nome)
Tutto quel tempo, tutti quegli anni e tutte quelle vite che avevamo toccato e scartato, come se non fosse mai accaduto nulla, anche se era accaduto eccome il tempo, come aveva detto lui prima che ci abbracciassimo e andassimo a dormire tardi la sera prima, il prezzo da pagare per una vita non vissuta è sempre il tempo (André Aciman, Chiamami col tuo nome)
Chow: I sentimenti ci prendono alla sprovvista? Ma lei se ne rendeva conto? Parlando, mi chiese se al mondo esisteva qualcosa di immutabile. Avevo capito quello che intendeva, così le promisi di scrivere un romanzo sui sentimenti (2046)
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