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Quando c'era Lui
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Al posto dello storico cinema Fiamma di Palermo, che ha sospeso le proiezioni da quasi dieci anni, sorgerà una palestra. La notizia è di poche settimane fa ma, pur essendo stata ovviamente accolta con la giusta dose di rimpianto e nostalgia dagli appassionati di cinema della città, a voler ben vedere è quasi una “non notizia”. Nel senso che sono ormai decine le sale, soprattutto nelle grandi città, che negli ultimi anni hanno subito un destino simile e la trasformazione dei cinema in disuso in spazi commerciali è talmente parte delle nostre cronache che ormai, appunto, quasi non rientra più neanche all'interno del perimetro del concetto di notizia.

Ben piantato al centro di tale perimetro invece è il destino di un altro storico cinema Fiamma, quello di Roma. Chiuso nel 2017 il cinema sarà infatti oggetto di acquisto, ristrutturazione e rilancio in grande stile grazie ai soldi statali del PNRR (il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) attraverso il CSC, il Centro Sperimentale di Cinematografia, che dal 1997, pur restando all'interno del perimetro statale (soprattutto in virtù dei consistenti fondi) ha acquisito lo status di Fondazione.

L'operazione - che è molto simile nella logica e nella struttura a quella dell'ampliamento di Cinecittà di cui abbiamo parlato qualche mese fa (anche lì si trattava di utilizzazione di fondi del PNRR destinati alla Cultura) - è stata annunciata proprio ieri dalla neo-presidente del CSC Chiara Donzelli e dal Ministro Dario Franceschini. La prima ha raccontato il senso del progetto dal punto di vista della Fondazione che presiede, dicendo che l'intento è quello di creare un “luogo vivace e dedito alla promozione della cultura cinematografica, che lavori sulla formazione dello spettatore e sull’unicità dell’esperienza. Lavorando sull’innovazione dei meccanismi della visione, oltre che sulla qualità della programmazione”.

L'intervento del Ministro invece si è focalizzato sul valore simbolico e quasi strategico dell'iniziativa affermando che "Bisogna affrontare la crisi delle sale cinematografiche puntando sull’innovazione sia nella modernizzazione delle strutture sia nell’esperienza che si offre allo spettatore. Viviamo il paradosso della crisi delle sale in un momento in cui invece il cinema e l’audiovisivo sono in grande crescita. Questa crisi va affrontata testardamente. Le sale sono un luogo di aggregazione sociale oltre che culturale. La scelta del Centro Sperimentale di Cinematografia è lungimirante perché segue questa direzione." Sulla carta il progetto sembra interessante, ovviamente. Il CSC (con la Scuola Nazionale di Cinema che ne fa parte) è una bella realtà, un pezzo fondamentale della storia del cinema italiano dal quale sono passati per apprendere o per insegnare molti grandi autori del nostro patrimonio cinematografico.

I due destini opposti legati ai cinema Fiamma, quello di Palermo e quello di Roma, sembrano davvero racchiudere al loro interno l'intero spettro del futuro delle sale cinematografiche: da un lato la dismissione e dall'altro la partecipazione statale. Al di là del fatto che quasi qualsiasi sala cinematografica può beneficiare dei fondi del PNRR per ristrutturare e adeguare tecnologicamente i propri locali, la questione più spinosa è cosa succede dopo. Nello scenario di mercato attuale, una volta che un esercente cinematografico ha deciso di proseguire l'attività imbarcandosi nell'adeguamento grazie ai soldi del PNRR, non ha la minima certezza che poi questo adeguamento si rifletta in una impresa economicamente remunerativa negli anni a venire. A meno che questo adeguamento non sia finalizzato al semplice far rientrare la propria sala all'interno dei parametri necessari per poter proiettare i film sicuri, quelli che ad oggi riescono a portare in sala un certo tipo di pubblico legato ai franchise e agli Universi Espansi dei supereroi che, come sappiamo, costituiscono la quasi assoluta maggioranza degli incassi post pandemia.

I fondi statali destinati a coprire gli adeguamenti strutturali, infatti, non hanno nulla a che vedere con la risoluzione della polarizzazione in atto negli incassi al botteghino, delle grandi disparità che si sono create tra i film che sono in grado di fare cassa grazie alla risonanza e a una sempre più ampia fanbase e i film "normali" che rappresentano invece, come è sempre stato, un po' un'avventura destinata ad uno spettatore più curioso. Non c'è alcun indizio, oggi, che possa indurre a pensare che il pubblico sia pronto a tornare in sala per vedere i film "normali" solo perché le sale sono state modernizzate: in sala oggi si va per vedere solo i film evento. A meno che, come nel caso del cinema Fiamma di Roma, la protezione statale non sia l'espressione anche di un orientamento strategico con un respiro più ampio, che lo renda una specie di apripista culturale. Solo in tal caso il sostegno statale può avere un senso: non è percorribile uno scenario su ampia scala che prevede che nelle sale vengano proiettati film che nessuno va a vedere perché tanto poi c'è lo Stato che copre eventuali perdite di esercizio. Non si può tenere in piedi una filiera industriale e distributiva senza lavorare sulla domanda. Io vedo molto bene l'iniziativa del Fiamma di Roma ed eventuali progetti simili in altre città - sebbene ci sia il rischio di farne delle cattedrali nel deserto - ma vedo difficile che questo possa essere eletto a sistema. Il problema non è solo nella forma, più o meno moderna, che i cinema prendono, il problema è la domanda di cinema. Certo, il Fiamma di Roma potrebbe diventare un gioiello e con il tempo trasformarsi anche in un motore culturale che alimenti tutto il territorio facendo crescere spettatori più consapevoli, ma adesso, mentre decine di sale rischiano di saltare per mancanza di interesse, cosa si fa?

Anche se è una cosa ancora piccola rispetto all'enormità del tema legato alla domanda, che in sostanza è il riflesso della cultura e quindi degli interessi dello spettatore, c'è un'altra cosa che è successa in questi giorni che mi sembra importante. In occasione dell'evento Cinè a Riccione - che è un appuntamento dedicato alla presentazione agli esercenti dei listini delle società che operano nel campo della distribuzione cinematografica - sono state organizzate, proprio da Cinecittà (non è un caso), una serie di conferenze e laboratori con la collaborazione attiva di TikTok. L'obiettivo dichiarato era quello di iniziare a illustrare a esercenti e distributori come la piattaforma "non social" venga già usata con grande successo per promuovere i film che escono in sala. TikTok, in sostanza, grazie ad un algoritmo realmente molto efficace, è in grado di mostrare contenuti cinematografici specifici ai reali, potenziali, spettatori. Anche, anzi soprattutto direi, se appartengono a nicchie di mercato. TikTok è uno strumento che si sta rivelando, soprattutto negli Usa, fondamentale per portare al cinema gli spettatori sulla base dei reali interessi espressi dagli utilizzatori dell'app (al momento circa un miliardo di persone a livello globale, in crescita).

Se l'ampliamento della cultura cinematografica dello spettatore è un progetto a lungo termine, a partire dalla scuola (altro settore nel quale il governo sta dimostrando la volontà di accelerare), l'informazione e la promozione sono sicuramente due ambiti nei quali si può lavorare con maggiore velocità. Meglio ancora se, utilizzando strumenti tecnologici, si è in grado di far arrivare le informazioni al pubblico giusto e muoverlo all'azione.

Se da un lato avere salvato il cinema Fiamma di Roma da una probabile trasformazione in palestra o in un grande negozio di qualche catena globale di abbigliamento è una boccata di ossigeno con uno sguardo orientato al futuro, perlomeno per i cittadini romani, mi chiedo se possa davvero costituire un modello applicabile su una scala più ampia, nazionale.

Se ci sono sul territorio centinaia e centinaia di teatri, di musei e di biblioteche che beneficiano del sostegno economico dello stato perché dovremmo scartare la possibilità che esistano un numero consistente di cinema sostenuti dallo Stato che svolgano almeno il ruolo da apripista culturali e che provino a traghettare il sistema verso nuovi modelli economicamente sostenibili, con la sicurezza di poter lavorare in termini di programmazione senza la pressione economica del fine mese?

Se il pubblico non va al cinema, il cinema può finire al "Pubblico"?
E ancora: tutto questo ha senso se davvero il cinema in sala è considerato da noi spettatori un patrimonio di tutti.
Per voi lo è?

p.s. Il titolo di questa newsletter è Quando c'era Lui. È un titolo rischioso, lo so, ma c'è qualcosa di misterioso, o forse significativo, che non sono riuscito ad ignorare del tutto, nel fatto che tutte le istituzioni che vengono nominate in questo testo - Cinecittà, Centro Sperimentale di Cinema (inizialmente Scuola Nazionale di Cinema) e naturalmente i due cinema Fiamma - sono direttamente collegate a Benito Mussolini. Al di là della semplice provocazione mi sembra interessante questo movimento di ritorno che in un certo senso batte la strada del "dirigismo economico", un'economia cioè in cui "il governo esercita una forte influenza direttiva controllando produzione e allocazione di risorse".

Immagine: Cinecittà

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