Su FTV cartace c'è una bella testimonianza del grande Mauro Gervasini. La ricordo benissimo anche io quella serata per me non proprio esaltante vissuta fra Genova (dove lavoravo) e Firenze. Ecco il resoconto:
(...)
Furono gli eventi che fecero uscir di senno l’Italia intera, da “Siracusa a Trento”[1] senza contrapposizioni, esclusioni o differenze di casta o di lignaggio, la folle e pazza sera dell’euforia generale per la conquista del titolo di campioni del mondo, con le città deliranti e esultanti per il risultato conseguito, contagiate nell’esposizione forsennata e sopra le righe, dalla temerarietà di quell’esibizionismo collettivo che ci rende “branco” (e Genova non faceva eccezione), a darmi il colpo di grazia e a farmi comprendere appieno quelle che potevano essere le infauste conseguenze della mia prolungata assenza.
Ero sperduto e incarognito, mi sentivo ancor più “solo e abbandonato in quel popoloso deserto” [2] che mi circondava festante, e che non riusciva ad inglobarmi, ma che anzi aumentava l’intensità dolorosa della marginalità in cui mi trovavo relegato, con i miei pensieri totalmente centrifugati che non ce la facevano nemmeno a coagularsi fra loro nel marasma vociante e tumultuoso della folla sempre più debordante: uomini, donne, bambini di ogni età e condizione, tutti uniti nella esaltazione della vittoria, dai carruggi della città vecchia e dal porto, su per Piazza De Ferraris, via XX Settembre, Piazza Brignole, via San Vincenzo, e ancora oltre, da Via Colombo giù lungo Viale Brigate Bisagno, nuovamente verso la sopraelevata e il mare… Ogni strada e anfratto invaso e pullulante, i percorsi gremiti da una moltitudine così numerosa e schiamazzante pregna di odori acri e penetranti capaci di stordire e confondere le idee, che era quasi impossibile districarsi, avanzare, difendersi, cercare un rifugio qualsiasi. Una fiumana incontenibile che si confondeva, mischiandosi, con le carovane di auto strombazzanti, a loro volta ricolme di gente penzolante accalcata fin sopra i cofani o accovacciata sui tettucci, incurante del pericolo e del rischio; si compattava fino a diventare una massa uniforme e invalicabile che non lasciava spazio nemmeno per un attraversamento da un marciapiede all’altro, reso ancor più difficoltoso e temerario dalle imprudenti scorribande di inesauribili eserciti di moto rombanti che tentavano inutilmente, spesso senza riuscirci, di dribblare il traffico e le persone, insinuandosi in ogni centimetro ancora disponibile, con gincane spavalde e spericolate, fra stridii di freni e clacson frastornanti. E bandiere: tantissime, di ogni foggia e dimensione, sventolate ovunque e issate in ogni dove, alle finestre, su pennoni improvvisati, sugli autobus, appese e rese fluttuanti dalla leggera brezza serale, o avvolgenti come sciarpe o mantelli intorno a corpi sudaticci e alterati, quasi che in ogni casa ce ne fosse stata una pronta e disponibile per essere sfoggiata in quella circostanza. Tamburi, trombette e putipù che ammorbavano l’aria con le loro sonorità rintronanti, amplificavano le urla, i richiami, gli slogan e i cori sempre più numerosi e ostentati, rendendoli assordanti e insostenibili alle orecchie. Lattine e bottiglie di spumante o di birra strascinate lungo i marciapiedi, fracassate e sbriciolate in mille pezzi pericolosi e taglienti dalle ruote delle automobili e dei bus, o innalzate in alto a mo’ di clava o di stendardo, come se davvero per un attimo con quella affermazione che si trasformava nella rivincita collettiva dell’intera nazione, fosse stata raggiunta la vetta dell’universo, annullando così ogni ingiustizia e precarietà e risolvendo come d’incanto tutti i problemi e le contraddizioni esistenti. Una ubriacatura planetaria, l’apoteosi assoluta e totale, la felicità generalizzata e uniforme, contrapposta al mio isolamento rabbioso che non mi permetteva di sincronizzarmi sulla stessa lunghezza d’onda, di riconoscermi in quell’eccitazione così straripante e smodata che non riuscivo non solo a condividere, ma nemmeno a comprendere tanto mi sembrava inutile, sovrabbondante e sproporzionata. Fu li, fra quella bolgia berciante e smodata che raggiunsi quello che pensavo dovesse rappresentare l’apice del disadattamento e della pena, la punta massima oltre la quale non fosse possibile andare (anche se il tempo e le circostanze mi avrebbero poi dimostrato che si può arrivare molto più in là senza alcun limite, perchè la misura non è mai colma e l’intensità della sofferenza, quella vera, è inestinguibile, e che semmai “la vera pena è quella di accorgersi che” – col tempo e l’abitudine – “neanche il dolore dura; e che, allora, neanche il dolore ha più senso” [3] ).
Sentii un prepotente bisogno di ‘casa’, di protezione, di avere accanto subito, in quel momento, una mano amica, il conforto di una voce, di qualcuno che mi volesse davvero bene e mi potesse consolare e rassicurare, forse anche coccolare un poco, e la sensazione arrivò così improvvisa e dirompente, che non fui capace di resistere alla tentazione, né di soffermarmi a riflettere e a ragionare.
Quella settimana però non avevo la macchina con me. Non rimaneva allora che il treno per colmare le distanze, anche se i congiungimenti fra Genova e Firenze erano infrequenti e disarticolati... Riuscii a raggiungere, non senza difficoltà, la stazione, pur così vicina dal luogo dove ero asserragliato: stavo camminando controcorrente, dovevo quindi farmi strada, interferendo con quella massa di corpi in movimento, per andare esattamente nella direzione opposta, fendendo il mucchio a mo’ di ariete, fra spintoni e male parole, ma non avevo tempo da perdere, né voglia di essere gentile. Finalmente nell’atrio, consultai gli orari per verificare l’effettiva fattibilità del programma, sperando che non fossero scaduti i termini e che ci fossero ulteriori convogli utilizzabili alla bisogna. La fortuna fu dalla mia parte: c’era un treno in partenza fra breve che, con un cambio non privo di attesa a Pisa, mi avrebbe potuto portare a destinazione in orari compatibili, anche se l’arrivo a Firenze era previsto intorno alle tre. Mi sarebbe rimasta poco più di un’ora per riposarmi a letto, poi avrei dovuto riprendere nuovamente la via per rientrare all’ovile, se volevo arrivare in ufficio in tempo utile. Era indubbiamente una faticaccia, ma non potevo esimermi dal sostenerla, così vitale e sentita era la necessità di accedere alla copertura e al calore accogliente della mia tana, quasi un rifugio in cui nascondersi, per parlare ed essere ascoltato, di rientrare inaspettato, anche se per poco, nell’unica realtà che mi appartenesse veramente, in quel liquido amniotico confortevole e sicuro che mi avrebbe difeso e preservato.
Arrivai a Firenze assonnato e stanco, ma soddisfatto per la temerarietà della proposta, presi un taxi per accorciare i tempi di percorrenza, fortunosamente disponibile all’uscita, che incrociò gli ultimi sparuti gruppi di nottambuli gaudenti non ancora arresi alla stanchezza, in una città che mostrava i segni e le ferite dei furori delle ore precedenti, ma che stava lentamente tornando alla normalità ed era ormai quasi del tutto percorribile senza problemi o intoppi eccessivi. Scesi, dopo aver pagato la corsa, senza aspettare il resto, aprii il portone che sbatté sonoro alle mie spalle, salii le scale col fiatone, più in fretta che potevo e girai impaziente la chiave nella serratura… Accesi la luce nel corridoio silenzioso… Chiamai, ma non ebbi alcuna risposta. Rimasi un attimo indeciso e dubbioso: non c’era nessuno ad attendermi, le stanze erano deserte e il letto intonso… L’ora ormai vicina all’alba escludeva la possibilità di un rientro ritardato: quando ci eravamo sentiti all’ora di cena avevo avuto assicurazioni di una tranquilla serata da trascorrere in casa per l’allergia alla folla e alla confusione… non erano previste uscite… Il cuore ebbe un sussulto profondo, una fibrillazione che ne alterava sensibilmente il ritmo: le spiegazioni di quell’assenza insolita e sinistra non potevano che essere ricercate in un’unica direzione che faceva davvero male, materializzava in maniera tangibile le mie preoccupazioni, aumentava le paure dell’abbandono, togliendomi ulteriori spazi e possibilità di rimonta. Forse era davvero troppo tardi…
[1] Citazione a memoria di un verso di una filastrocca imparata in seconda elementare che recitava all’incirca così: “Da Siracusa a Trento siam tutti una famiglia e guai a chi ce la piglia: li faremo fucilar… Pin pun pan, li faremo fucilar!”
[2] Giuseppe Verdi/Francesco Maria Piave: “La Traviata” (citazione volta al maschile)
[3] Albert Camus: “Caligola”
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i tuoi racconti mi emozionano sempre.....grazie Valerio.
Qui parlo soprattutto di un momento molto particolare della mia vita,,, Il calcio, quella vittoria inaspettata, però non è solo un riferimento storico ma qualcosa che credo riesca bene a mettere in evidenza lo scollamento totale fra la follia generalizzata di un'Italia che celebrava il suo riscatto e il mio disorientamento sensoriale che non mi permetteva di essere in sintonia con tutto quel baccano e me lo faceva quasi odiare perchè mi faceva sentire ancor più solo in totale balia delle mie fragilità e frustrazioni,. .....grazie a te caro Ezio per averli letto e per le parole che mi dedichi
Caro Valerio, che dire? In primis la sensazione che sia tanto bello il post quanto brutta l'esperienza in esso descritta; dopodiché vorrei azzardare una personale interpretazione dei "contenuti" oggetto di quanto ci hai esternato
(spero di non scrivere troppe stupidaggini, valuterai tu:-).
- L' esperienza verte su due "livelli", il secondo consequenziale al primo, seppur quest'ultimo non causa diretta del secondo. Restiamo sul primo (l'incipit della vicenda, ma il meno "vitale" fra i due), ci chiedi dove eravamo: personalmente ero al Lido di Camaiore per qualche giorno di relax, e lì mi sono sorbito quella che tu chiami, con termini azzeccati, "ubriacatura planetaria". Già, non l'ho vissuta con il tuo stesso stato d'animo (il mio contesto era diverso) ma mi ero posto le stesse riflessioni soffermandomi a meditare su come, quanto e quando alcune "esperienze" dei sapiens possano sortire effetti così eclatanti sulla collettività. E la risposta è molteplice, possiamo iniziare dalla facilità con cui si rende comprensibile la "causa" di un risultato di portata nazionale. E a questo proposito il calcio rientra tra i "giochi sportivi" per cui, proprio in quanto gioco, vanta un paio di prerogative: le sue dinamiche non sono complesse da capire e, condizione altrettanto essenziale, si tratta di un'attività di squadra. Un risultato di portata mondiale, sul tipo della recente vittoria italiana sui 100 mt piani alle Olimpiadi, non ha nemmeno lontanamente stimolato la stessa "ubriacatura", e ancor meno potremmo attenderci una leggera"sbornia" dalla vincita italiana di un Nobel come quello conferito a Parisi, in quanto la sua "Fisica" ( quella con la maiuscola) rimarca purtroppo un paio di pesanti handicap: non solo non rientra tra le attività sportive, è individuale e per di più non proprio semplice da comprendere!
A queste considerazioni se ne aggiunge una "genetica" dovuta molto banalmente (proprio come l' "ubriacatura") alle coordinate geografiche!
Già, e questo la dice lunga sulla caratura di talune manifestazioni (peraltro sempre e solo collettive in quanto i singoli componenti, come sempre in questi casi, da soli sarebbero totalmente abulici e innocui) tenendo appunto presente quanto l'effetto alcolico della "causa motrice" possa variare notevolmente. Sappiamo bene quanto resterebbero indifferenti i sapiens di alcune altre zone del pianeta nei confronti di determinate attività sportive super "alcoliche" per i nostri e, per contro, quanto sarebbero indifferenti questi ultimi nei confronti di attività altrettanto potentemente alcoliche per quegli altri!
Ma per te questo incipit - seppur malinconico e lontanissimo dall'euforia collettiva del contesto - ben lontano dal coinvolgerti, acutizzava quella nostalgia di casa, di un "nido" dove poter ritrovare po' di conforto, e semmai con qualche coccola o comunque con quel "tutto" che hai così ben espresso ( il "tutto" che ci fa fare cose di norma ritenute dissennate ma, in taluni momenti, assolutamente essenziali per la nostra psiche che, ahinoi, non sempre è razionale)... Il disagio di questo incipit non è stato nulla al confronto di quello che più sopra ho arbitrariamente definito "secondo livello"! Posso solo tentare di immaginare il tuo stato d'animo, la delusione e la frustrazione. Posso solo tentare di immedesimarmi nei tuoi pensieri durante il viaggio di ritorno. E ti "vedo" in treno, stravolto dalle mancate ore di sonno con davanti l'incubo di doverti recare in ufficio. Lo so, tentare non significa provare e, come sempre, quando si apprendono le altrui dinamiche (o le altrui disgrazie, in diretta o davanti a un telegiornale) non potrà mai essere come il viverle in prima persona, ma l'averne vissute anch'io alcune, un po' mi facilita il compito.
A presto Vale.
Rivedere il passato con l’occhio del presente è sempre positivo credimi: apre nuovi scorci di comprensione.
No: tranquillo! Credimi: nessuna stupidaggine (e per dirla alla maniera di Francesco – scherzo ovviamente –e poi chi sono io per giudicare?.
Personalmente, se non fossi stato stimolato dal pezzo scritto da Gervasini, non ci avrei proprio pensato (il calcio non è mai stato uno sport che infiamma il mio pensiero). L’ipotesi di poter parlare anche pubblicamente di quel giorno così particolare per me e il mio vissuto, si è però concretizzata subito nella mia mente:era stata una circostanza così complicata e dolorosa che mi aveva già da tempo fatto fissare nero su bianco sulla carta molti dei miei pensieri contrastanti di quella sera impossibile da dimenticare nonostante gli anni trascorsi, che era già quasi tutto pronto (bisognoso soltanto di una rinfrescatina)-So che a questo punto potrebbe essere considerato solo: un gesto sotteso di tardiva vanità probabilmente ma posso assicurarti che non è così..
Questa è la necessaria premessa a tutto il resto.
Ci sono state sicuramente prima e dopo altre giornate memorabili ma personalmente, non essendo un patito di questo sport non ne ricordo alcuna di così eclatante. Forse perchè erano stati (lo immagino, non lo so per certo) solo eccessi campanilistici circoscritti a una zona, a una città per uno scudetto vinto o qualcosa di simile. Comunque azzardo e confermo che – a mio parere – nessun’altra manifestazione che non fosse stata di un calcio che aveva portato a casa un successo così eccezionale e inaspettato, avrebbe suscitato la stessa follia cosi generalizzata da coinvolgere l’intera nazione. Per rendere bene di quello che accadde quella sera, ho dunque ripescato dalla memoria di quella filastrocca un po’ guerrafondaia che ci facevano cantare a scuola quando ero in seconda elementare (da Siracusa a Trento. etc. etc.), ma per enfatizzare ancor di più la cosa fregandomene dei confini nazionali, avrei anche potuto rimarcare il concetto espresso utilizzando i versi del Manzoni (il 5 maggio scritto in memoria di Napoleone): Dalle Alpi alle Piramidi…dal Manzanarre al Reno(:..) Certo che come nazione eravamo messi male e quella fu la panacea per risvegliare l’orgoglio nazionale: non eravamo in una situazione tragica come quando la vittoria di Gino Bartali al tour de Frace salvò l’italia da una guerra civile per l’attentato a Togliatti in anni in cui era la bicicletta, il ciclismo (che ancora non aveva ceduto il primato al pallone) lo sport che infervorava gli animi e che determinò; una specie di insurrezione sicuramente però non trasversale per motivi politici), come fu –ovviamente in positivo - quella calcisticà dell’82
Credo comunque che sia stato importante renderlo pubblico questo ricordo e questo indipendentemente dalle ragioni che lo hanno motivato. Ho visto infatti (e letto) con piacere, il risorgere di molti altri importanti contributi che rendono più chiare (anche le nuove generazioni che non lo hanno vissuto in presa diretta) le ragioni del perché quel giorno rimane ancora oggi unico e indimenticabile che sono davvero tante (anche divergenti fra loro se vogliamo) e le sensazioni degli adulti e dei bimbi di allora che resero possibile quel delirio collettivo.
Questo per dirti che la tua analisi non fa una grinza (mi conosci abbastanza bene per capire il senso anche più sotterraneo di ciò che ho inteso dire e per comprendere che non è stato assolutamente un esercizio di stile fine a se stesso ma la rappresentazione di un vissuto parallelo di un uomo in sofferenza costretto a vivere in una “terra straniera” suo malgrado (mi vergogno un poco a definirla così se penso a cosa sta succedendo adesso che per molti giovani per sopravvivere c’è bisogno di emigrare oltre confine e vivere davvero in una terra straniera). Sì hai compreso bene: quel bisogno struggente di “casa” fu amplificato da quel becero tripudio fino a farmi fare quella pazzia per rendere meno pressante quel malessere che esisteva già da prima,forse perché la crisi era già in atto solo che non volevo accorgermene. E’ vero: fu un viaggio pieno di dubbi e di frustrazioni verso una conferma di un qualcosa che sicuramente conoscevo già. Quando due persone si allontano e i loro sentimenti si stanno sgretolando a poco a poco, la colpa non è mai di una parte sola e ci sarebbe dunque bisogno che ognuno dei due si facesse carico delle proprie responsabilità.
Grazie Valerio per la "corposa" risposta, prendo atto e... a presto.
Ciao Valerio. È sempre un piacere leggerti. Bella memoria storica su uno dei momenti emozionanti dell'Italia anni '80.
Grazie Davide per il passaggio e per le tue parole
Io sono un tifoso, è arcinoto. Certo, la vittoria del Mundial (quanta presunzione...) fu rocambolesca e avvincente ma non bisogna dimenticare il prima: una nazione seppellita sotto le macerie del terremoto dell'Irpinia ('80), un Paese incapace di affrontare il lutto per la perdita di Alfredino Rampi ('81), una città ancora sotto choc (Bologna), i debiti, le cambiali, gli anni di piombo, lo scandalo Leone, il calcioscommesse (ah, Paolo Pablito): se non si parte da tutto questo, si rischia di confondere il Campionato Mondiale del 1982 come una sorta di allucinazione collettiva. Fu invece ciò che permise all'Italia di esprimersi dopo, di prendere coscienza che un "Paese" comunque esisteva, che si potevano pure fare le vacanze in Italia, che nonostante le file alla posta, nelle banche nelle università per pagare i bollettini d'iscrizione, anche noi producevamo qualche scienziato e non solo manodopera Fiat (e come dimenticare la rivolta dei quarantamila il 14 ottobre del 1980 ?). I cinema si svuotavano, in quegli anni, la gente si stringeva intorno a un tubo catodico ma non era certo distesa; dalle Alpi alla Sicilia eravamo il paese - unico in Europa - che ancora veniva ricordato per "i viaggi della speranza con le valigie di cartone". Perciò, con il dovuto rispetto per tutti quelli che pensano che il calco sia solo un gioco, io dico che non è vero. E rammento le parole di Juan Carlos, seduto accanto al nostro Pertini, l'11 luglio: "Presidente, grazie. Abbiamo fatto il tifo per voi, che avete fatto tanto per noi...". Perché attraverso un pallone si rafforzava un'intesa tutta mediterranea. IO ero in Spagna (sororesa!) nella prima parte, ma riuscii a vedere solo la partita con il Camerun, a Vigo. Otto anni dopo, tutta la nazionale del Camerun fu ospite a Napoli a casa di mio zio (che nell'82 era ancora il presidente del calcio Napoli); al rientro, poiché si approssimavano gli esami di maturità (ebbi a dare l'esame il 22 luglio...altri tempi, davvero) rimasi a casa fino alla finale, vista a Latina, dove raggiunsi i miei .Il viaggio in treno fu meno complicato ma anche io lasciai qualcosa che non trovai, caro Valerio. Meno male, trovai altro. Poco duratura, come storia, ma almeno da raccontare, oggi. Un abbraccio, Maurizio
e nel corso del Mundial Roberto Calvi sotto il ponte dei frati neri
Ciao Maurizio sapevo che un eventuale tuo intervento su questo post sarebbe stato non solo speciale ma anche particolarmente stimolante e così è stato . Ti ringrazio dunque per il prezioso contributo e mi scuso per il ritardo con cui ti sto rispondendo.
Soprattutto grazie per come sei riuscito a sintetizzare la particolare situazione (e non solo calcistica) in cui si trovava l’Italia in quel periodo fornendo così la cornice per far comprendere meglio quali furono le radici di quella folle nottata. Personalmente ritengo però che anche con una situazione più benevola e meno complicata , quel delirio ci sarebbe stato lo stesso poiché il calcio è la religione del nostro tempo quella che se va bene e i risultati sono positivi e soddisfacenti, appiana (o addirittura annulla) ogni altro problema perché tutto il resto passa davvero in second’ordine. Un qualcosa insomma che se non si è tifosi sfegatati, è davvero difficile da comprendere. Ho apprezzato particolarmente l’accenno al pasticcio del calcio scommesse che scosse un poco la quiete di quegli anni ma che poi è stato subito cestinato come se non fosse accaduto niente: lo vediamo nelle celebrazioni anche postume di questi “eroi” dove l’argomento è tabù e ormai non viene più tirato fuori anche se il danno di incredulità fece annichilire nell’immediato molte persone che non se lo aspettavano proprio una simile scorrettezza che aveva sporcato l’adamantinità di chi si era comunque macchiato di un peccato del quale avrebbe potuto e dovuto farne a meno. Shakespeare nell’orazione funebre per l’uccisione cruenta di Giulio Cesare, fa dire a Marco Antonio: Ascoltatemi amici, romani, concittadini…
Io vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo.
Il male che l’uomo fa vive oltre di lui.
Il bene sovente, rimane sepolto con le sue ossa… e sia così di Cesare.
Forse questo era quello che accadeva in quegli anni ma oggi. succede praticamente sempre il contrario: la morte rende tutti buoni, belli, positivi e pieni di valori:sono le eventuali colpe, i peccati le omissioni a finire seppellite insieme alle loro ossa… insomma non c’è più religione nemmeno in questo (ottimo anche il ricordo che ha aggiunto @panunzio).
Tornando sul pezzo, hai ragione: il calcio non è più gioco (poteva esserlo una volta forse) adesso è solo un affare di quattrini e non capisco proprio come faccia a continuare ad obnubilare le coscienze. Per quel che riguarda quel viaggio possiamo dire allora chenon tutti i mali vengono per nuocere…E che quando muore un papa se ne fa sempre un altro Grazie ancora e a presto.
Caro Valerio, la qualità della tua scrittura non dovrebbe più stupirmi eppure.....che pezzo eccezionale!
Un ricordo personale intenso e doloroso che hai voluto condividere con noi.
Le tue righe mi hanno portato alla mente un film, che tu ben conosci (non uso neanche il condizionale tanto son sicuro della cosa), Una giornata particolare di Ettore Scola con uno straordinario Marcello Mastroianni e una non meno strepitosa Sofia Loren.
Anche lì nel tripudio di una festa di massa per un evento in realtà nefasto per la nostra storia, il protagonista vive fino in fondo il senso di solitudine che lo attanaglia, trovando però consolazione in un'anima triste ma profondamente buona.
Dov'ero io all'epoca? Ehhh bei tempi. Ero sulla soglia dei sedici anni, reduce da un anno scolastico difficoltoso (la quinta ginnasio fu veramente un bagno di sangue) da cui comunque ero riuscito ad uscire integro.
Ero un ragazzino timido ed imbranato, niente scorrerie in motorino o approcci alle ragazze (come facevano i miei coetanei più spigliati). Ragazze che guardavo da lontano, me ne ricordo una che mi piaceva davvero tanto e con la quale non andai oltre un "ciao". Io leggevo libri di fantascienza e nuotavo nel mio mar Ligure.
Mi tuffai in quel mondiale per dimenticare le fatiche scolastiche (e forse anche quanto ero imbranato e quanto mi sentivo inadeguato), ma l'Italia onestamente lo vinse con una dose pazzesca di fattore C azzeccando quattro partite strepitose dopo un inizio penoso.
La nazionale italiana che ricordo con affetto e ammirazione era quella di Argentina 78 (forse perché erano i miei primi mondiali) e per riuscire ad esaltarmi allo stesso
modo dovetti aspettare quella del 2006.
Calcisticamente poi ero un po' depresso, il mio Milan era finito in serie B, il culmine di una serie di disgrazie calcistiche dovute a una società dal glorioso passato ma "politicamente" inesistente.
Ecco, io che non ero mai stato un gran tifoso proprio per quella retrocessione mi affezionai a quei colori rossoneri che poi tante soddisfazioni mi hanno regalato (ma in quel calcisticamente sciagurato 1982 chi ci credeva?)
La nazionale che ammiravo davvero era quella Brasiliana, forse la squadra con il più alto livello tecnico che abbia mai visto giocare. Troppa classe, troppo talento e troppa presunzione, la pagarono con una sconfitta contro una squadra che sulla carta avrebbero dovuto sconfiggere senza problemi.
Per assurdo il Brasile si prese la sua rivincita 12 anni dopo, con una squadra nettamente inferiore a quella del 1982 e contro un'Italia più ricca di talento di quella che vinse in Spagna. I paradossi del calcio che sono un po' i paradossi della vita.
Fine delle mie digressioni calcistiche, comunque ovviamente festeggiai (l'Italia aveva vinto e che diamine!) e per tutta l'estate nel campetto della parrocchia giocai a calcio con i miei amici replicando le squadre di quel Mundial.
Poi l'estate finì (allora le estati finivano a ferragosto, con i primi temporali) e io ritornai a scuola. Cominciai la prima liceo, mi innamorai di filosofia, scoprii la storia medioevale che fino ad allora avevo snobbato per quella romana e greca (ma dopo due anni di bombardamento massiccio di latino e greco cominciavo a fare il tifo per i barbari) e iniziai la mia crescita personale.
Bei tempi, che mai più torneranno....ma è giusto così! Anche i ricordi sono importanti.
Ciao Valerio
Ciao Gianni.. sei sempre molto gentile con me e ti ringrazio ma tieni comunque presente che nell’arte dello scrivere non sei secondo a nessuno anzi!!! puoi dare dei punti a tutti e questo tuo ricordo così bene messo a fuoco che anche tu hai scelto di condividere con noi, ne è la prova lampante: una freschezza narrativa davvero invidiabile e una eccellente ed appropriata esposizione capace di trasformare in immagini le tue parole e ti pare poco?.Mi onora il fatto che tu abbia accostato il mio pezzo (parlo di situazioni emozionali) a ciò che Scola ha rappresentato con il suo magnifico Una giornata particolare comunque ben più tragico e doloroso di una semplice questione di corna, Il tema che forse ci accomuna è quello della solitudine che una giornata così roboante dove tutti o quasi festeggiano a casa e per le strade, rende ancor più angosciante (la conferma che non si può fare di ogni erba un fascio o massimizzare poichè ogni medaglia ha sempre (per qualcuno almeno) il suo rovescio. Certo è che ci rimasi molto male ma poi tutto passa, ci si ragiona sopra e si riesce persino a perdonare perché se accadono situazioni fortemente destabilizzanti come quella la responsabilità non è mai da una parte sola. Io credo di non provare nostalgia ma solo rimpianto (e questo credo che in parte possa trasparire anche dal mio racconto) forse perché,era un’epoca in cui tutto andava più lento e sembrava ancora – nel bene e nel male – a misura d’uomo quando si poteva fare per disperazione un viaggio in treno Genova/Firenze e viceversa in una sola notte senza preoccupar5si delle conseguenze.
Se io in quell’anno (avevo esattamente la metà degli anni che ho sulle spalle adesso) ero già un adulto che aveva ben chiari i suoi obiettivi e non si lasciava certo scoraggiare da quell’avvenimento nefasto che non era solo un fatto negativo: traumatico sì ma anche una bella lezione per imparare a contenere la propria protervia, tu vivevi ancora gli anni spensierati (ma fino a un certo punto) dell’adolescenza (non sempre felicissima se si è troppo sensibili perché piena di dubbi e di recriminazioni): Quello. era il momento drammatico degli interrogativi, delle insicurezze sul futuro, quando era facile perdersi e imboccare poi la strada sbagliata che porta alla distruzione dell’io pensante. Per fortuna invece ne sei uscito indenne: anche tu come me: non ti sei lasciato travolgere dal pessimismo o peggio ancora dal nichilismo, ed hai imboccato la strada giusta che ti ha fatto diventare l’uomo che sei adesso (positivo, propositivo e altruista) e anche di questo devi andare fiero.
.l riferimenti calcistici che citi nel percorso , li ho letti con molto piacere; mi hanno aperto un mondo che conosco davvero molto poco (ricordavo solo le due vittorie dei mondiali. Fin da ragazzino infatti il calcio (ma anche tutto l’altro sport) non faceva parte dei miei interessi prioritari. .Sì certo la Fiorentina ma a noi piccoli ragazzi di quella generazione il cuore batteva (anche a posteriori) per il grande Torino (ma più per la tragedia che si era consumata che per la qualità del gioco che non sapevamo certo valutare. Confesso che allo stadio, portato da mio zio, ho visto solo due partite delle r quali ho ricordi molto nebulosi Grazie ancora per il prezioso contenuto e a presto.
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