
Come mio padre potesse ballare Rock Around The Clock con mia madre facendole anche fare delle discrete piroette è per me ancora oggi un mistero. Quell’uomo aveva avuto un incidente alla gamba a 18 anni che lo ha menomato per tutta la vita, ma ciò non gli impediva di ballare quei rock indiavolati con mia madre, prendendola e lanciandola a destra e a sinistra.
“Quell’uomo ha una grande forza di volontà” hanno sempre detto tutti, una forza di volontà che rasentava l’abnegazione. E la negazione. E come tutte le persone dotate di quella volontà, che arrivava perfino a negare l’evidenza, era anche, potenzialmente, un manipolatore. E forse quelle immagini di lui che balla Rock Around the Clock come se non ci fosse un domani, di lui che gioca a tennis (a tennis!) inchiodato a fondo campo a rimandare dall’altra parte palline con effetti che sfidavano la logica e la geometria, sono anch’esse possibili manipolazioni. Ologrammi. Glitch. Proiezioni.
Sta di fatto che il rock è entrato nella mia vita così. Con Rock Around the Clock di Bill Haley, ballato dai miei genitori in un grande spazio il cui centro era dominato da un Brionvega di mogano, uno strano stereo compatto che ai miei occhi di bambino sembrava una gigantesca astronave. Lo stereo era composto da un corpo centrale in cui risiedevano tutti i comandi, una teoria di pulsanti e toni e volumi. Nella parte superiore c’era il giradischi e a destra e a sinistra due casse a forma di cubo che si potevano anche staccare e piazzare lontano dal corpo centrale per ottenere un suono più circolare, perché un semplice ascolto potesse trasformarsi in una festa, in qualsiasi momento.
Sono nato nel marzo del 1966 e questi miei ricordi risalgono ai primi anni ’70. Il radiofonografo Brionvega RR126 è stato il mio primo compagno musicale, il monolite che convertiva in onde sonore i vinili dei Beatles e dei Rolling Stones, di Elton John e Bob Dylan, dei Pink Floyd, di Santana e degli Who. I dischi di mia madre. Poi, a un certo punto, dopo aver ascoltato e consumato tutti i vinili che facevano parte del patrimonio di famiglia, ho iniziato ad ascoltare musica per i fatti miei.
Mi ricordo perfettamente il momento. Ero in prima media e avevo iniziato a uscire il sabato pomeriggio insieme a Marco. Anzi, siamo onesti. La vita stessa era basata sull’attesa del sabato pomeriggio per uscire con Marco e andare da Buscemi, storico negozio di dischi in Corso Magenta a Milano, per andare a toccare, essenzialmente toccare, e poi guardare e annusare tutti i vinili possibili.
Comprare era ancora un’utopia irrealizzabile, per comprare il mio primo vinile avrei dovuto aspettare ancora almeno un paio di anni. Quello che facevamo, Marco e io, era masochismo puro. Però, dopo aver guardato e toccato con bramosia inaudita centinaia di copertine, a un certo punto potevamo prendere un disco, andare al bancone e mettere in coda il disco che avevamo scelto perché fosse suonato dallo stereo del negozio. E così ogni sabato per almeno un anno, forse anche due, io e Marco andavamo da Buscemi ad ascoltare un disco. Poi però il signor Buscemi sarà stato contento perché quando ho potuto iniziare a comprare dischi mi sono trasformato in un cliente compulsivo e il signor Buscemi è stato premiato per la sua lungimiranza. Quando si dice: coltivare la propria audience.
Oggi, che sono praticamente obbligato a riflettere sull'importanza del rock nella mia vita perché ho letto la prima puntata dello speciale del settimanale Film Tv sul rapporto tra il rock e il cinema, devo riconoscere che il rock è sempre stato li. Più o meno alternativo, più o meno melodico, più o meno hard, più o meno punk, più o meno sperimentale. E anche se in alcuni momenti sono scivolato un po’ a destra o un po’ a sinistra del crinale, tra il rock e il roll, il fatto che il primo disco che ho potuto comprare sia stato Rocket to Russia dei Ramones deve per forza voler dire qualcosa.
Ed è stato in quei mesi che ho perso il diritto all'uso del Brionvega. Da lì a poco i miei genitori, approfittando di un compleanno, mi hanno regalato uno stereo con i componenti a colonna. Un buon modo per rendermi felice, ma anche per riconquistare l’uso del loro stereo, probabilmente esauriti dalle sonorità eccessive dei fratelli Ramone o dalla furia iconoclasta dei Sex Pistols.
In terza media ero quanto di più distante dal concetto di popolare potesse esistere. A Marco si era aggiunto Max, che non ci aveva fatto certo bene in quanto a reputazione, con la sua timidezza assurda e lo sguardo da pazzo. Eravamo considerati dalla maggioranza dei nostri compagni di classe degli esseri viventi che andavano totalmente al di là del concetto del margine. Se il sabato era sacro e dedicato all’acquisto o almeno all’ascolto di un disco, la domenica era il giorno in cui c'era sempre qualcuno che faceva una festicciola. Si abbassavano le tapparelle, si creava ambiente. E si metteva la musica. Anzi, qualcuno metteva la musica, noi no. Nessuno di noi tre era abilitato alla scelta della musica da mettere alle feste. I ragazzini della fine degli anni ’70 non volevano ballare con i Ramones o Joe Jackson, con i Pink Floyd o i Madness, non con i Kiss e tantomeno con gli AC/DC. Per me era inconcepibile che le mie compagne di classe preferissero muovere i loro primi passi timidi e controllatissimi su Born To be Alive di Patrick Hernandez invece di perdere la testa e lasciarsi andare al delirio con Back in Black degli AC/DC, ma funzionava così.
Per poter mettere quella musica dovevamo aspettare di compiere almeno gli anni. Per avere il diritto di osare una playlist che includesse Shine on You Crazy Diamond la festa doveva essere la nostra. Poi il momento arrivò e naturalmente la festa fu un fallimento totale. Gli invitati erano tutti paralizzati dalla musica che stavamo mettendo e se ne stavano con lo sguardo perso o vagamente imbarazzato appoggiati con le spalle al muro o inchiodati sui divani della casa di Marco. E noi tre a ballare indiavolati, inebriati, fuori controllo. Noi e Silvia.
Silvia era diversa, Silvia ballava. Silvia era alta e sinuosa, Silvia era ricca e aveva una bella casa, Silvia era nobile e zingara. E svizzera. Silvia andava completamente fuori di testa con la deriva punk/rock/ska di One Step Beyond dei Madness e rischiava sempre di farsi del male fisico con My Sharona degli Knack. Aveva il portamento di una principessa e il comportamento di una groupie. L’adesione di Silvia al rock era totale: non era solo una questione puramente musicale, era qualcosa di più profondo. Ballare fino allo sfinimento era al tempo stesso un rifiuto del gusto imperante tra i suoi coetanei ma anche un’esigenza incontrollabile, una fame di avventura, strada, fuga. Oggi, che ho appena finito di vedere la versione Director’s Cut da quasi 5 ore di Fino alla fine del mondo di Wim Wenders, posso dire che Silvia era una specie di Claire e probabilmente se Marco, Max ed io avessimo fatto un viaggio con Silvia saremmo finiti anche noi nel deserto australiano a bordo di un camper sfasciato, ai margini di un mondo tenuto in piedi solo dalla musica.
Invece no. Eravamo troppo piccoli per fare un viaggio, però potevamo percorrere tutte le strade del rock, aspettando che arrivasse il momento giusto per metterci in strada davvero. Il momento arrivò per tutti, ma non lo stesso. Ciascuno di noi si ritagliò il suo. Per sperimentare la strada, l’avventura, la fuga. Ma ormai il più era fatto: avevamo tutti le stesse basi e potevamo affrontare il mondo, e la sua eventuale fine, con la stessa colonna sonora.
A proposito.
Non pensavo che avrei scritto questa newsletter per rilanciare l’iniziativa di Film Tv. Ma poi io e G. abbiamo deciso che era venuto il momento di guardare un film che giaceva inanimato da troppo tempo nella nostra collezione. E il film, la director's cut di Fino alla fine del mondo, con il suo andamento lento e ipnotico, con la sua estetica retro-futuristica, con la sua deriva psichedelica e quella musica sempre perfetta in tutti i momenti, ha messo in movimento ricordi che se ne stavano sedimentati da decenni. Gli ha scrollato la polvere di dosso, ha riattivato i circuiti ossidati, li ha messi in connessione tra loro, gli ha dato un quadro di appartenenza, forse addirittura un senso. Ed è tornato fuori tutto. Rock Around The Clock e mio padre. I Ramones e il Brionvega. My Sharona e Silvia. Marco e i Pink Floyd. Alla fine il rock è una specie di colonna vertebrale della mia vita, a volte sono scivolato a destra, a volte a sinistra, a volte sono stato più rock, a volte più roll. A volte l’ho tradito. Proprio come accade con la spina dorsale: a meno che non ti faccia male la si dà per scontata, ma il motivo per cui si sta in piedi è perché lei c’è.
Poi una mattina di qualche anno fa mi sono svegliato con Back in Black degli AC/DC e il rock è tornato a mostrarsi sulla superficie della mia vita. Grazie Mingia, si vede che intorno ai sedici anni quella è ancora la musica giusta da ascoltare. Così, giusto per farsi le ossa, nell’attesa di partire.
E se siete stati anche voi un Marco o un Max potete venire a ballare qui. Io ho già abbassato le tapparelle, i compagni più popolari sono con le spalle al muro o annichiliti sul divano e Silvia si sta già dimenando come un'ossessa. One Step Beyoooond.
P.S.
Io non sono in grado di stendere una classifica dei dieci album più importanti della storia del rock, però posso tirare fuori senza fatica la lista dei dieci album rock più importanti della mia vita. Perché in ogni album c'è qualcuno con cui ho fatto un pezzo di strada.
Se anche voi volete intraprendere questo viaggio a ritroso, che parte dalle radici e arriva fino alla nostra epoca liquida, potete leggere Film Tv e seguire le storie di rock e cinema dei prossimi otto numeri. E se volete partecipare al sondaggio basta mandare una mail a ziggy.filmtv@gmail.com con i vostri dieci album rock e i vostri dieci film rock preferiti.
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Mi è piaciuto molto il tuo editoriale forse perchè,essendo io del '58,mi ha riportato alla mente alcuni episodi significativi della mia vita.Anch'io amo il rock forse anche perchè sono cresciuto a pane e genesis,ELP,Pink Floyd,Led Zeppelin,King Crimson,Banco del Mutuo soccorso,per parlare di qualcuno italiano,e molto altro ancora.Un mio bel ricordo è di quando ero piccolo e mio nonno che era un patito di tecnologia già da allora,tornò dalla fiera di Milano dove andava tutti gli anni e portò uno dei primi registratori a cassette stereo 7 della Philips quindi già da piccolo ero circondato dalla musica.E poi i primi vinili acquistati,prima con i soldi dei miei genitori e poi per conto mio.Quindi per me il rock a tuttoggi,è la colonna sonora della mia vita.Grazie per avere risvegliato in me questo ricordo.
Grande play caro End e, leggendo di tuo padre, mi hai fatto venire in mente quando anche il pippus (che è del '51) da piccolo ballava e cantava il mitico pezzo di Bill Haley datato 1956. Dopodiché, insieme alla passione per la classica più "classica", il menù quotidiano (quello a cui erano, e sono tuttora, delegati i brividi lungo la schiena) prevedeva gli stessi piatti elencati dall'utente qui sopra (severomassimo). Ovviamente, come nel caso del tuo papi, anche i "bambini" del pippus sono stati svezzati coerentemente. E così il primogenito si vanta con gli amici per aver assistito (decenne) al mitico concerto dei Pink Floyd al Delle Alpi di Torino nel settembre dell'94. Ma il clou ce l'ho indelebile sull'avambraccio sx da quando, tre anni fa, la mia "bambina", allora 21enne, se ne è uscita con la proposta: "Papi, che ne diresti se sull'avambraccio sx ci facessimo tatuare il triangolo colorato con il titolo del brano col quale da piccolina ero solita addormentarmi in braccio a te?" Azz, il pippus notoriamente aborre ( o, se preferite, aborrisce) i tatuaggi ma... sono tre anni che il triangolo campeggia su entrambi gli avambracci sinistri, perfetti, coloratissimi e assolutamente identici. E queste sono le parole che lo attraversano: " Fat Old Sun", sublime pezzo dall'LP risalente al '70 "Atom Heart Moter!!!
Cosa non si farebbe per i pargoli:-)
Un abbraccio.
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