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L'uomo con la macchina da presa
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Sono andato in Ucraina questa settimana. Sono stato a Kiev, Odessa e Kharkiv, nel 1929. Mi ci ha portato Dziga Vertov (un nome d'arte: in realtà si chiamava David Abelevich Kaufman) che ucraino non era, ma ebreo bielorusso, anche se in quel periodo erano tutti semplicemente sovietici.

Il suo lavoro più famoso - quello che ho rivisto (la prima volta, tanti anni fa, nemmeno avevo fatto caso a dove fosse stato girato) - è l’Uomo con la macchina da presa. L’ho visto con l’accompagnamento musicale della Cinematic Orchestra, perché il film è muto e ai tempi veniva musicato dal vivo. Oggi invece la scelta è vasta: guardate qui in quanti ci hanno provato. Se siete musicisti potete provarci anche voi.

Il film è disponibile su YouTube, in varie versioni sonore, appunto. Quando venne fatto, apparve come un’opera rivoluzionaria: lo era. Senza attori, senza cartelli esplicativi, senza sceneggiatura, senza set. Con un montaggio eccezionale, molto veloce per l’epoca, riprese di ogni genere, sperimentazioni, fu molto criticato, da molti demolito: Eisenstein disse che era “un inutile teppismo cinematografico”. Per Vertov invece era l’affermazione di un linguaggio filmico autonomo, libero dall’influenza del teatro e da quella della letteratura. Il tempo gli diede ragione. Oggi è considerato uno dei più grandi film mai realizzati. Ed è sicuramente un film pieno di vita, di movimento, di idee, di umanità, di ritmo. Ve lo consiglio grandemente.

Poi sono andato a Mariupol. Sì a Mariupol. Quella che non cade, o è caduta. O non cadrà mai. Quella dove non si sa quanti siano morti. Quella dove il 9 maggio ci sarà la grande parata russa della vittoria.

Io però sono andato nella Mariupol del 2016. Mi ci ha portato Mantas Kvedaravicius, regista lituano, che in quell'anno vi ha girato il suo documentario, Mariupolis. La guerra del Donbass era già iniziato da un paio d'anni: ma è stata una guerra lunga - non è ancora finita - e nel 2016 si combatteva. Non a un ritmo forsennato, ma si combatteva. 
Mantas Kvedaravicius però non racconta nel suo lavoro la guerra, ma la vita durante la guerra. O la vita nonostante la guerra. Sono varie scene: si vedono i tram che escono dal deposito, iniziando la giornata, si vedono un padre e una figlia andare a pesca nel Mare d'Azov, si vedono le prove di uno spettacolo a teatro (Dio mio, si pensa, non sarà quel teatro?), si vede una grande fabbrica (Dio mio, si pensa, non sarà quella fabbrica?). E ancora un calzolaio, il guardiano dello zoo. Kvedaravicius sapeva che anche il documentario è uno sguardo: una rappresentazione, un'ideologia. E per questo aveva dedicato il film ai poeti e ai calzolai di Mariupolis: perché sempre si sceglie e lui aveva scelto loro.

L'ho guardato con fatica: è difficile. L'ho guardato con raccoglimento: come se guardare potesse assomigliare a pregare. È un film doloroso, oggi ancora di più. Ma è comunque ancora un film pieno di vita, di persone che provano a sopravvivere, di piccole cose. Potete vederlo anche voi: ARTE lo ha reso disponibile gratuitamente in streaming.

Un mese fa Mantas Kvedaravicius ha pensato di dovere qualcosa a quelle persone. Ha preso la sua macchina da presa e ha attraversato di nuovo l'Ucraina per andare a Mariupol. Per raccontarle ancora, per non lasciare un lavoro a metà, forse.

Non ce l'ha fatta a finire il lavoro, anche se forse quel film vedrà la luce senza di lui. Perché Mantas è morto a Mariupol, l'1 aprile. All'inizio si è detto che era stato un razzo. Poi è venuta fuori la verità e la storia è ancora più brutta. L'ha scoperto Hanna Bilobrova, la sua donna, che è andata a cercarlo e alla fine lo ho trovato, steso per strada, il corpo crivellato. Non era stato un razzo: gli avevano sparato. Una vera esecuzione.

Lei ha messo il cadavere sull'auto e se lo è riportato indietro. Una copia del girato di quei giorni si è salvata: forse il film un giorno vedrà la luce.

Se volete, qui c'è il saluto che gli ha rivolto Giona A. Nazzaro, direttore artistico del Festival di Locarno: è molto bello e sentito  e racconta meglio di come possa fare io chi era Mantas Kvedaravicius. Qui invece trovate una sua intervista (in inglese) su Mariupolis, il suo film, e sul suo lavoro.

Tornerò presto in Ucraina. Magari recuperando Atlantis, che era al cinema qualche settimana fa e che mi sono perso. Magari andando a vedere Bad Roads - Le strade del Donbass, che arriva nelle sale settimane prossima.

Un giorno però ci andrò davvero. Lo spero di cuore.

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