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Lui lo farebbe, e voi?
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“Dobbiamo sospendere ogni attività commerciale con la Russia, fino a quando Mosca cesserà le ostilità e ritirerà le sue truppe.” Non so come sono le vostre giornate, ma io sto passando i giorni - e le notti - a leggere e cercare di capire. La frase sopra è tratta da questa lunga, chiara e paurosa intervista a Fiona Hill, ex consigliera alla Casa Bianca (sotto Trump, tra l’altro). L’articolo è in inglese, ma ve lo consiglio. E si intitola “Yes, he would” (Sì, lo farebbe). Voi sapete chi e cosa.

Poco dopo, con tempismo singolare, mi arriva un comunicato stampa il cui titolo, più lungo e meno ad effetto, invece è: “L'European Film Academy condanna fermamente la guerra e si unisce all’Ukrainian Film Academy nel boicottaggio dei film russi”.

All’interno leggo, insieme alla condanna ferma di quanto Putin sta facendo, la richiesta di boicottare ogni relazione con il cinema russo: fuori dai festival, fuori dalle co-produzioni, fuori dalle distribuzioni. Spiace - dicono - per quegli autori che sono critici verso il regime, ma non si possono fare distinzioni: occorre - recita la petizione - evitare di dare l’illusione che la cultura russa condivida i valori del mondo occidentale, quando invece in questo momento è la cultura di uno stato aggressore. Inoltre - si sottolinea - ci sono anche qui questioni commerciali. Anche quelli artistici sono "prodotti". E si pagano: i soldi investiti in e/o guadagnati dai film russi pagano allo stato tasse che servono a pagare gli armamenti con cui si attacca l’Ucraina (oggi, domani chissà chi).

È una presa di posizione forte: un no secco e chiaro a tutto ciò che arriva ora dalla Russia. Buono o cattivo che sia. Assomiglia molto, anche se su un altro piano, alle sanzioni economiche: la Russia va isolata. Nessuno sconto. La pressione deve essere massima perché in gioco c’è la sicurezza non solo dell’Ucraina ma della nostra civiltà. Non serve che ve lo dica io.

Questo sposta ulteriormente i confini di un tema già emerso nei giorni scorsi con la presa di posizione del sindaco di Milano Giuseppe Sala, che di fronte all’imminenza dei concerti guidati dal direttore d’orchestra russo Gergiev gli ha chiesto di dichiarare il suo punto di vista sull’invasione dell’Ucraina, altrimenti se ne poteva andare. In questo caso però - va detto a onor di cronaca - non stiamo parlando di un artista qualunque. Sala non ha interrogato Gergiev solo perché russo. “Non conosco nessun altro caso nella storia della musica, tranne forse quello di Richard Wagner e re Ludwig di Baviera, in cui un musicista è stato così vicino a un sovrano potente”, sono parole di Richard Morrison, il critico musicale del Times, scritte molti anni fa a proposito di Gergiev. Un artista assolutamente organico al regime di Putin, la sua bacchetta, un suo grande amico. Uno che ha difeso più volte cose indifendibili, a mezza voce. Gergiev se ne è andato, in silenzio: nessuna abiura da parte sua. Ma si registrano casi di artisti che invece hanno alzato coraggiosamente la testa e hanno detto no. La prima, guarda caso, è stata una donna. “È impossibile lavorare per un assassino e riscuotere uno stipendio da lui”, ha detto Elena Kovalskaya, direttrice del Meyerhold Center, teatro statale di Mosca.

Ora questa richiesta fatta da Sala (che poi non è stato il solo: La Filarmonica di Vienna ha dato il benservito a Gergiev prima di lui e i suoi concerti alla Carnegie Hall erano già stati cancellati) muove le opinioni. La presa di posizione dell’European Film Commission (il cui board è guidato oggi da Agnieszka Holland) potrebbe farlo ancora di più.

Il salto all’assurdo è dietro l’angolo: l’Università della Bicocca di Milano ha cancellato mercoledì una serie di conferenze di Paolo Nori su Dostoevskij per “evitare tensioni”. Dopo poche ore e un diluvio di notizie e post hanno ritrattato, ma intanto qualcuno aveva pensato di evitare di parlare di Dostoevskij.

C’è chi parla di un comportamento anti-democratico, chi paragona le richieste di abiura a quelle che venivano fatte durante il fascismo. C’è chi ha pensato al maccartismo. E occorre interrogarsi: la messa al bando appare violenta, le bombe sulla popolazione civile e su un’intera nazione però lo sono di più.

In mezzo agli estremi, molte sfumature. E tante falsità. Come quelle della soprano Anna Netrebko che prima sui social ha dichiarato no alla guerra. Poi però ha cancellato la sua presenza alla Scala dicendo tra le altre cose che “forzare gli artisti o qualsiasi personaggio pubblico a fare sentire le proprie opinioni politiche e a denunciare la sua terra natale non è giusto.” Quando però nel 2014 spontaneamente sventolava la bandiera dei separatisti filorussi del Donbass, donando un milione di euro al teatro di Donetsk, andava bene mescolare arte e politica.

Come vedete quindi questa situazione? Siete a favore di una neutralità dell’arte o ritenete che la cultura debba schierarsi? Chi non si pronuncia sulla guerra ne ha diritto o invece, in quanto figura pubblica e modo suo anche politica, se tace è complice? Pensate che la situazione sia già al punto in cui occorre - per strategia o per scelta etica - dire di no a ciò che arriva dalla Russia o temete che questo si traduca in una cancel culture che butta via il bambino con l’acqua sporca?

Di fronte all’ipotesi radicale che “lui” (come ha minacciato con parole fin troppo chiare) lo farebbe, voi che fareste? Anzi, che fate?

 

 

PS: comunque, con tempismo mirabile, il 22 è uscito in Francia Maigret di Patrice Leconte, con Depardieu (che per non pagare le tasse in Francia si è fatto dare il passaporto russo, anni addietro). Ecco uno che mi sentirei di boicottare, a priori.

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