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Incassi in picchiata, programmazione sospesa in un limbo, spettatori assenti giustificati o poco motivati: la crisi delle sale, soprattutto in Italia, sembra non vedere una luce. Inutile infarcire di dati quella che è una sensazione ampiamente condivisa, gli incassi ne sono il riflesso non la matrice. E anche la programmazione sospesa, i film spostati a data da destinarsi, i tanti cinema che hanno deciso di essere operativi solo nel fine settimana, non sono la causa di questo stato di crisi ma reazioni, effetti a catena di due agenti provocatori, di due lockdown non dichiarati ma fattuali, uno fisico e uno psicologico.

Quello fisico è facilmente identificabile, nel mese di gennaio l'Italia è stata letteralmente aggredita dalla variante omicron, avere avuto centinaia di migliaia di contagiati al giorno per intere settimane ha significato che un elevato numero di persone si sono trovate positive o con positivi nelle immediate vicinanze, nella sostanza banalmente numerica ci sono stati milioni di persone costrette ai necessari isolamenti. Non sono stati solo i cinema ad essere deserti, gli uffici lo sono stati, i bar e i ristoranti di conseguenza, semplicemente la gente in giro è stata poca. Tuttora, anzi, le cronache che arrivano dai commerci cittadini di tutte le grandi e medie città italiane sono dei bollettini di guerra. Il problema sono gli incassi, ovviamente, le chiusure delle attività sono all'ordine del giorno.

A rendere tutto più complesso si innestano altre problematiche legate all'inflazione, ai rincari di beni primari, energia e gas quasi raddoppiati a gennaio, che ovviamente frenano i consumi, considerando che alcune previsioni ad oggi indicano in circa 800 euro pro capite la perdita del potere d'acquisto per il 2022.

Proprio dalla somma di queste variabili nasce un altro lockdown, quello psicologico. Una sorta di auto limitazione che per forza di cose si riverbererà su alcune tipologie di consumi. Questo penso sia lo scenario con il quale deve confrontarsi il cinema in sala, un'esperienza unica che è stata messa in ginocchio prima da tutte le limitazioni fisiche degli ultimi due anni, poi deprivata della sua leggerezza con pesanti costrizioni (le mascherine per tutta la durata del film) e che ora, da adesso in avanti, dovrà fare i conti anche con una situazione socioeconomica non propriamente rosea che sicuramente non renderà affatto evidente la scelta di dedicarvi una parte di questo limitato potere di acquisto.

In questo scenario chiaramente incide sempre più pesantemente anche la percezione ormai diffusa che i film si possono anche vedere a casa, grandi produzioni, grandi nomi, grandi attori, su grandi schermi casalinghi (comprati durante il lockdown, probabilmente online). In una battaglia estenuante per la nostra attenzione le piattaforme ormai si fronteggiano a colpi di offerte economiche molto convenienti (a parte Netflix), considerando che con un unico indirizzo email uno potrebbe passare quel che resta del 2022, girovagando tra un abbonamento di prova e un altro senza pagare un euro e comunque anche solo dividendosi il costo degli abbonamenti tra amici e conoscenti il risparmio è elevatissimo.

Quindi, cosa si fa? Penso che sia necessario lavorare su tre fronti: da un lato con una grande campagna di comunicazione che restituisca al Cinema in sala il prestigio e l'unicità che gli spettano, dall'altro con una programmazione battente e spumeggiante che sia composta non solo da novità ma anche di classici e cult restaurati (cavalchiamola questa nostalgia! - vedere commento di Valdemar), ed infine, più pragmaticamente, con una politica di prezzi estremamente aggressiva e realmente dirompente che sappia andare al di là dei vari Cinemadays che non sarebbero, a mio giudizio, minimamente sufficienti a rinsaldare la consuetudine necessaria per far sì che la sala torni ad essere davvero centrale nel consumo di cinema. Biglietti a prezzi bassissimi per tutto il 2022 e abbonamenti in stile piattaforme, potrebbero essere due formule che giocano su pubblici diversi, per rinsaldare il rapporto tra cinema e spettatore con un orizzonte di ampio respiro, costruendo con essi un nuovo legame, più culturale e meno occasionale.

Ovviamente si tratta di una sfida durissima, significa mettere d'accordo sostanzialmente la maggior parte degli attori della filiera, dai produttori agli esercenti, sia per rivedere i prezzi al ribasso sia per ipotizzare un qualsiasi tipo di abbonamento ad ampio spettro. Ma in gioco non c'è solo la mera questione degli incassi, una riformulazione dell'offerta in chiave di abbonamento fisso comporterebbe soprattutto un differente tipo di relazione con lo spettatore, più stringente, sicuramente più interattiva e partecipativa e quindi con un orizzonte temporale più ampio e strutturato, significherebbe poter ammortizzare qualsiasi investimento su periodi diversi, più lunghi, con rientri graduali. Potrebbe significare avere margini più risicati ma sale più piene e spettatori più caldi e consapevoli. E probabilmente sarebbe utile fare un ragionamento anche sull'indotto, ossia su tutto quello che può accadere una volta che siamo fuori casa: meno Glovo e Justeat e più trattorie.

Avanti, portaci fuori da queste case, Monsieur le cinema.

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