Il successo non annunciato del nuovo capitolo di Spider-Man che è riuscito a riportare in sala decine di milioni di spettatori a livello globale in un momento di grande sofferenza per il cinema in sala è stato spiegato e raccontato da molti commentatori anche con un esplicito riferimento alla capacità degli studio proprietari dei grandi brand di far leva sui sentimenti dei fan per rimpinguare le casse dell'industria (leggi le proprie aziende) e, parzialmente, anche quelle della filiera distributiva. La stessa cosa potrebbe succedere con il nuovo capitolo di Scream che arriva nelle sale questa settimana. Il ripescaggio nostalgico sembra essere diventata la leva fondamentale sulla quale spingere per scardinare le resistenze di quest'epoca, le abitudini che si sono consolidate negli ultimi due anni di visioni casalinghe e di restrizioni.
Come se una battaglia contro il dominio di una comfort zone, rappresentata dal salotto di casa, dalla rassicurante ripetitività della homepage della piattaforma di turno, dalla amichevole presenza della "nostra lista", si possa combattere solo a colpi di altre comfort zone, rappresentate dai franchise, dai sequel, dai reboot, dalle reunion. Con il risultato che in questa battaglia di comfort zone a rimetterci è il cinema "nuovo", diverso, autoriale, che ogni volta riparte da zero, con una storia nuova, nuovi scenari in cui addentrarsi, nuovi personaggi da capire, un cinema che non si affida alle certezze ma al dubbio.
C'è una frase in Matrix: Resurrections - a proposito di franchise e di grandi ritorni - che si presta bene ad accompagnare questa riflessione: contro l’ansia, niente funziona meglio di un po’ di nostalgia. Premesso che la grande battaglia di quest'epoca è quella che viene quotidianamente combattuta per il dominio sul nostro tempo (libero?), mi sembra che questo utilizzo della nostalgia come arma di precisione per ottenere la nostra attenzione sia abbastanza datata, non è certo da ieri che gli studios speculano sui franchise ripetendo ad oltranza quel che funziona.
I telefilm e i primi serial tv, per dire, sono nati esattamente per creare personaggi a cui affezionarsi, creando gli eventi calendarizzati così tipici della buon vecchia televisione lineare, quell'appuntamento che aspettavi per tutta la settimana, oppure ogni sera prima di cena, e che ti lasciava con il desiderio di averne ancora. Proprio in questi giorni è uscita la nuova stagione di Euphoria, serie televisiva HBO che ha creato grande adesione e identificazione nella fascia di età 15/25, e gli episodi escono uno alla settimana invece che tutti insieme ottenendo il risultato che per restare in sintonia con le storie di Rue, Maude, Alexa, Jules e gli altri, la comfort zone si estende di settimana in settimana, di episodio in episodio.
Eppure quella frase pronunciata da Morpheus in Matrix: Resurrections dice molte verità perché forse, anche se il meccanismo non è nuovo, quando si incappa in periodi in cui l'ansia cresce, più che gli studio che speculano sui reboot o sulle reunion siamo noi spettatori, esseri umani, che ci rintaniamo nel nostro doloroso "ritorno a casa", nelle nostre routine rassicuranti, nei nostri pensieri ricorrenti, che diventano i nostri familiari luoghi in cui solo aneliamo seppellirci. Un meccanismo totalmente umano, che fa affidamento anche su un sistema tanto impreciso quanto efficace: quello della edulcorazione o magnificazione del passato. Un sistema perfetto messo a punto dalla nostra coscienza per sopravvivere meglio, o semplicemente per sopravvivere. Un metodo che filtra le esperienze conservandone i valori positivi, facendone dei luoghi ai quali approdare quando il mondo esterno diventa ostile, ricoprendo di un velo di zucchero vanigliato i nostri ricordi, rendendoli quel brodino caldo in cui la nostalgia può dispiegare le sue ali, passando nel suo volo come una lama attraverso il petto. Apparentemente trafiggendolo, ma spostando di fatto il sangue dal cervello al cuore.
Due parole chiave, ansia e nostalgia, per due sentimenti che solo apparentemente sembrano convivere nello stesso segmento delle emozioni negative. Se per l'ansia non ci sono lance da spezzare, la sua radice latina dal verbo ango (stringere, soffocare) lascia ben poco spazio a interpretazioni positive, sulla nostalgia - a dispetto della sua nuda e cruda etimologia dal greco che include la parola nostos (ritorno a casa) e algos (dolore) - e sul valore anche curativo di questo sentimento si sono cimentati in tanti: intellettuali, filosofi, poeti.
Per Martin Heidegger ad esempio la nostalgia è un motore che spinge il filosofo a porsi domande, è un desiderio insaziabile di essere ovunque, di ricongiungersi con un tutto, attribuendo a quel "ritorno a casa" un significato metafisico, spirituale, ben più ampio del semplice bisogno di circondarsi delle proprie cose, del desiderio di far ritorno a ciò che conosciamo. Per Albert Camus ogni atto di ribellione è mosso dalla nostalgia di un'innocenza perduta ed è uno stimolo alla ricerca dell'essenza umana.
Anche per il cosiddetto intrattenimento, forse, è solo una questione di scala, di dove si spinge il nostro bisogno, di quale siano i confini entro i quali la nostra personale nostalgia si attiva. Io sto con Albert Camus e con Martin Heidegger: il mio spirito è più rassicurato dalle storie nuove e rischiose che dai personaggi ricorrenti, anche se sono consapevole che possono rappresentare un rischio, che possono condurmi in un luogo che non conosco, mettermi di fronte a qualcosa che la mia memoria non ha limato adeguatamente. O forse, semplicemente, come dice Fernando Pessoa, non c'è nostalgia più dolorosa di quella delle cose che non sono mai accadute.
Quindi: la nostalgia sta uccidendo il Cinema? O noi spettatori lo possiamo salvare se spostiamo un po' oltre i confini della casa a cui fare ritorno e l'intensità del salvifico dolore al quale questo viaggio ci sottopone?
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