
West Side Story (2021): locandina
Il proposito di rifare un caposaldo ancora unico ed affascinante del musical al cinema, come è e resta il West Side Story del 1961 di Robert Wise e Jerome Robbins, tratto dall'omonimo musical di Leonard Bernstein (e Stephen Sondheim e Arthur Laurents), a sua volta liberamente ispirato alle contrastate vicende amorose che hanno animato e reso tragica la trascinante love story tra Giulietta e Romeo, resa immortale grazie all'arte narrativa di William Shakespeare risalente a fine '500, non può che apparire come un intento folle, di fatto inutile, quasi oltraggioso nei confronti dell'originale e unico progetto.
Folle, inutile ed oltraggioso se lo spunto fosse partito, nato, ostentato o concepito da qualsiasi altro cineasta che non potesse risultare Steven Spielberg.
Il quale, al contrario di pressoché quasi ogni altro collega, si trova in una posizione in cui, a settantacinque anni appena compiuti, può permettersi tranquillamente il lusso di concepire e realizzare - finalmente e buon per lui - un film che, in tutto e per tutto, rispecchi un proprio desiderio di sfida personale, completamente lontano da calcoli di convenienza economica, gli stessi che hanno fruttato spesso al medesimo cineasta, risultati al botteghino straordinari. E che pare, a conferma di ciò, non si ripetano granché in questa sua ultima, per nulla scontata, avventura cinematografica.
Infatti questo West Side Story, che Spielberg affronta avvalendosi dei propri abituali e celebrati collaboratori di prima grandezza (dal direttore della fotografia Janusz Kaminski, allo sceneggiatore Tony Kushner) risulta coerente soprattutto in quanto scommessa personale, un modo per misurarsi con se stesso; un progetto da farsi ora… ora o mai più.

West Side Story (1961): George Chakiris

West Side Story (2021): Mike Faist
Le vedute aeree dell'originale, mozzafiato per quell'epoca ed ancora notevoli al nostro sguardo smaliziato odierno, lasciano stavolta il posto ai lavori di ricostruzione a livello del suolo, con cui, in pieni anni '50, si cercava di dare un nuovo stile ed un nuovo volto alla Manhattan del West Side.
In questo territorio di guerra, dove tra le macerie di quello che sta per scomparire si stagliano ancora le abitazioni popolari di chi resiste al cambiamento, ovvero le diverse colonie di immigrati più o meno consolidatesi nel territorio, ed ove i presenti da più generazioni - in questo caso il club dei polacchi - ne rivendicano l'origine, a scapito degli ultimi arrivati, in tal caso la comunità portoricana, costretta a figurare come il gruppo appena tollerato ed additato alla responsabilità di tutto ciò che non fila liscio, arrivare ad accendere la miccia dello scontro basta davvero poco.
Infatti tra i giovani, le bande avversarie degli europei Jets, e quella dei sudamericani Sharks, trovano ogni pretesto come un utile motivo per sfidarsi e suonarsele a vicenda.

West Side Story (2021): Ansel Elgort, Rachel Zegler

West Side Story (1961): Natalie Wood
L'amore casuale che sboccia, durante una festa di studenti presso una palestra di scuola, tra il pacifista e saggio ragazzone Tony, che manco voleva partecipare a quella occasione danzereccia, e la giovanissima e minuta Maria, sorella del capobanda istrionico degli Sharks, Bernardo, diventa il presupposto ideale per favorire lo scontro definitivo, e la doppia tragedia che questa sfida si trascina dietro.
La musica è il capolavoro che ben conosciamo e mai dimentichiamo; i balletti, tecnicamente ripresi in modo sontuoso e valorizzati da carrelli acrobatici che restituiscono l'esperienza di uno tra i più dotati cineasti mai esistiti, aiutano a rendere formalmente memorabile questo remake piuttosto fedele, che tuttavia non possiede nel suo complesso, a mio personale modo di vedere, il fascino dell'originale. Gran parte della differenza che divide due film comunque validissimi, si riscontra nel valore aggiunto di alcuni interpreti del film originale che, nel film di Wise, risultano effettivamente più accattivanti e significativi, memorabili e determinanti per spuntarla sul remake.
Il film capostipite, d'altronde, vide non certo a caso assegnati ai due attori non protagonisti George Chakiris e Rita Moreno, l'Oscar come migliori interpreti non protagonisti: e la loro resa sullo schermo, risultava in effetti ben più accalorata, sexy ed indimenticabile rispetto ai due pur volenterosi nuovi attori chiamati ad impersonare i rispettivi personaggi do Bernardo ed Anita (David Alvarez e Ariana DeBose).

West Side Story (1961): scena

West Side Story (2021): Ariana DeBose, Ricky Alvarez
Ma Spielberg è il numero uno, e riesce anche stavolta a stupire con uno dei suoi colpi di marketing (oltre che di cuore), che da sempre costituiscono la differenza tra chi, al suo meglio, figura semplicemente come chi ce la mette tutta, e chi invece primeggia sempre in ogni passo della propria sfaccettata carriera di regista.
Il gran cinesta decide infatti di coinvolgere nell'operazione di riviviscenza del classico musical, la quasi novantenne, ma ancora in gran forma ex ballerina ed attrice Rita Moreno (l'ex Anita del '61) che, oltre a figurare tra i produttori esecutivi, si prodiga a dar vita all'unico personaggio nuovo di questo remake: ovvero l'anziana bottegaia di origini portoricane Valentina, ormai considerata a pieno titolo dagli abitanti del sobborgo una "yankee" regolare, per l'aver sposato in gioventù, ed esserne rimasta poi vedova, un "vero americano".
La ballerina ed attrice nel nuovo film assume un ruolo da angelo saggio: quasi una sorta di "grillo parlante" in gonnella che, con la sua saggezza di donna matura e dalla solida esperienza di vita, tenta di evitare che la disputa tra le due bande si trascini fino alla tragedia: inutilmente, come ben sappiamo.

West Side Story (1961): Richard Beymer, Natalie Wood

West Side Story (2021): scena
E sarebbe un gran colpo, anche personale, se Spielberg riuscisse a far si che la Moreno, oltre alla nomination doverosa e probabile nei confronti della Moreno, costei riuscisse poi a ri-aggiudicarsi una nuova statuetta, a sessant'anni dalla prima, con lo stesso film o quasi, aprendo in tal modo una pagina completamente inedita ed irripetibile nella storia del celebre premio.
Quanto al resto del cast, Spielberg rispetta quasi alla lettera le derivazioni etniche del suo cast, laddove Wise adattava star e ballerini di origini disparate alle esigenze del copione.
Col risultato e la differenza tra i due film che se nel film originale era Maria la vera star del cast, ovvero una già lanciata Natalie Wood, nel remake è Tony, alias Ansel Elgort, la vera celebrità tra un gruppo di interpreti giovani, volenterosi, ma tutti in erba quanto a notorietà.
Rachel Zegler, la ventenne carina e dolce che interpreta Maria in questo ultimo adattamento, è agli esordi assoluti, ma supera brillantemente la prova di un remake più bello e perfetto dal punto di vista tecnico, che da quello emotivo: la storia prende e non potrebbe essere altrimenti, ma le emozioni a pelle dei ritmi e dei balletti originali, risultano, a mio personale avviso, tutti a vantaggio dello straordinario, irripetibile film originale.
Alla fine dei conti questo nuovo sfavillante ed impeccabile West Side Story non può che essere ricondotto ad una mera scommessa personale, riuscita quanto oggettivamente poco utile in senso assoluto e generale, se non a confermare quanto già da tempo ben sappiamo: cioè quanto Spielberg sia grande, ed in grado di giostrarsi con disinvoltura e mirabilmente in ogni genere cinematografico, anche nel musical stavolta, e, per di più, prima volta nella prima volta, nel remake di un'opera sulla carta irripetibile.
Ben differente, a mio avviso, sarebbe stata la sfida che prevedesse, ad esempio, una differente ambiantazione della vicenda; magari una trasposizione ai giorni nostri, per quanto azzardato possa sembrare.
O ancora, per rendere la prova ancora più incalzante, l'ambientare questa sfida di quartiere in un futuro distopico, quello che ultimamente va così di moda e riscontra seguiti e seguaci tali da poterne costituire quasi un genere a sé.
WEST SIDE STORY (1961) 8/10
WEST SIDE STORY (2021) 7/10
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Concordo con quanto hai detto, Spielberg si riconferma un grande e sfrutta un remake per parlare anche di sé stesso e del cinema (e la società) che sta cambiando, aggiungendo nuova freschezza al capolavoro di Wise che rimane comunque intoccabile ed irripetibile anche per i suoi interpreti.
Aver deciso di mantenere la medesima ambientazione del musical di Broadway per me si è dimostrato uno straordinario atto di coraggio in un'epoca social permeata da un eterno presente, dai trending topic, dalla tuttologia lowcost che tratta argomenti ben diversi tra loro con semplicismo e banalizzazioni in nome di un opinionismo sfrenato. Perché ciò che conta è solo oggi, è parlarne solo oggi, quando tutti ne parlano, dimostrare di essere sul pezzo anche se si è ignoranti.
Mantenendo l'ambientazione agli anni Cinquanta, Spielberg, secondo me, non solo ha dimostrato quanta la storia possa essere maestra di vita ma ci ha fatto capire quanto vi siano ciclicità ripetute nella storia dell'umanità: il polarismo estremo e violento tra Jets e Sharks non è il medesimo che vi è stato recentemente tra trumpiani ed anti-trumpiani? L'odio ad ogni costo, la rivendicazione egoistica ad ogni costo, l'assenza di giustizia non sono impronte caratteristiche tanto degli anni Cinquanta del XX secolo quanto degli anni Venti del XXI secolo, seppur sotto concretizzazioni differenti?
In un'epoca in cui la gente adora multiversi, multieroi e moltiplicazioni visive in virtù appunto di quell'eterno presente in nome del quale ogni logica drammaturgica anche scolastica vada a farsi benedire, la decisione di Spielberg e dello sceneggiatore Kushner di mantenere l'ambientazione spaziale e temporale originale non è estremamente indicativa dell'enorme modernità del testo di partenza che può essere riletto con poche differenziazioni senza che si perda nulla del suo precipuo significato?
D'altro canto, di differenze non solo tecniche ma anche sostanziali col primo adattamento di Robbins-Wise ce ne sono tante, quasi tutte di natura registica, a partire dai titoli di testa: se nel 1961 andavano a costituire lo skyline dei grattacieli newyorkesi (idea di costruzione), nel 2021 lasciano, invece, il posto a macerie, a fantasmi, a distruzioni, a dubbi (idea di distruzione). Il personaggio di Valentina non rappresenta forse l'illusione dell'integrazione, un po' come l'elezione di Obama sembrò rappresentare l'illusione della vera pace e del vero progresso in USA (Obamacare, green card etc.)? Illusione destinata, dopo appena 8 anni, ad essere rimpiazzata dall'anti-Obama, cioè Trump, e quindi muri, ostilità, negazionismo climatico e pandemico etc. etc. e, quindi, il tragico finale del film di Spielberg? E non per colpi di Stato, per la volontà democratica del popolo, esattamente come Sharks e Jets decidono volontariamente di organizzare la mischia.
La tragedia che mette in piedi Spielberg dal dolly iniziale al nascondimento quasi umiliato ed umiliante finale non è, molto più che nel primo adattamento del 1961, la tragedia della vita stessa, che è arte, politica, società etc.?
Grazie a CineNihilist e ad Alvy per le sue interessanti e approfondite dissertazioni. Tutto vero ed interessante, ma anche frutto di uno status di regista unico che, per meriti conclamati, si è guadagnato lo status di chi può dirigere ciò che vuole, anche correndo il rischio, per una vita, di andare controcorrente rispetto alle scelte commerciale degli utenti. Onore al merito e soprattutto al coraggio di Steven Spielberg.
Qualcuno ha scritto che è un film vecchio per vecchi (non in senso dipregiativo, spero). Orbene, io sono vecchio e mi sarebbe piaciuto tanto vederlo, ma nei cinema di Modena è stato una meteora e non ho fatto in tempo! Mi toccherà vederlo, ahimè, su qualche piattaforma in TV. Porca pupazza!
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