Dopo l'attrice messicana Véronica e i combattenti cubani Fidel e Raul, Alfredo è, senza dubbio, il Castro più iconico e famoso in Italia, almeno tra gli amanti del cinema.
Alfredo Castro, cileno, nasce il 19 dicembre 1955 a Santiago del Cile. Poche le notizie che lo riguardano su Wikipedia. Ha diciotto anni quando nel 1973 viene instaurata la dittatura dal generale Pinochet. Si laurea in recitazione nel '77 presso la facoltà di Lettere dell'Universidad de Chile.
Fonda, assieme ad altri, una compagnia teatrale immediatamente dopo gli studi. Nel 1983 ottiene una borsa di studio dal British Counsil. Nel 1989 è il governo francese a conferirgli la medesima opportunità sovvenzionando un corso di perfezionamento alla regia teatrale. Nel 1988 il Plebiscito indetto dalla Giunta militare che dovrebbe sancire la rielezione a nuovo mandato di Pinochet subisce un clamoroso fiasco. Si aprono nuovi spiragli per la democrazia e per le arti.
Nel 1989 Alfredo Castro fonda la compagnia teatrale moderna "La Memoria". Gli anni Novanta si aprono sull'onda della ritrovata democrazia. Le arti rifioriscono. Il teatro resta il primo amore ma si aprono nuove strade. Fin dagli anni '80 lavora per la tv cilena. "De cara al mañana", 67 puntate, risale al 1982. Tuttavia la collaborazione rimane una episodio isolato. L'epoca d'oro delle telenovelas inizia negli anni '90 e lo vede tra i protagonisti. Recita in "Volver a empezar", (1991, 109 episodi); "Iorana" (1998, 109 episodi); "El circo de las Montini" (2002, 125 episodi); Partecipa brevemente ad altri produzioni televisive di grande successo in patria senza mai lasciare il teatro dove recita, dirige ed insegna senza tregua arrivando ad interpretare anche il ruolo di Eva Peron. Chiude definitivamente con le telenovelas solo nel 2012 in "La Doña", apparendo in 89 episodi, ormai assorbito nella sua terza carriera dopo quella teatrale e quella televisiva.
Nel 2006, infatti, inizia il sodalizio artistico che gli cambia la vita. Pablo Larrain dirige "Fuga" (praticamente inedito in Italia). Alfredo Castro è nel cast in un ruolo secondario ma getta le basi per la futura collaborazione con il regista cileno.
Nel 2008, Infatti, Pablo Larrain lo chiama ad interpretare il ruolo del ballerino senza scrupoli in "Tony Manero". È l'inizio folgorante della nuova carriera del regista e del suo attore feticcio. Castro ottiene al Torino Film Festival il premio della giuria come miglior attore. Altri premi per l'interpretazione dell'alter-ego di John Travolta gli vengono conferiti nei festival di L'Avana e Manila. Ma i passaggi più importanti sono al Festival di Cannes e al Toronto International Film Festival. Con questa opera seconda di Pablo Larrain Alfredo Castro si sdogana dall'ambiente artistico sud americano interpretando il primo di una lunga serie di personaggi borderline. Raul Peralta è un ballerino che vuole emulare il suo mito John Travolta ma dove finiscono le luci della ribalta iniziano le ombre di un comportamento aberrante.
Stralcio dell'intervista ad Alfredo Castro contenuta nel pressbook di Ripley's Film per conto del Torino Film Festival
Intervistatore: Guardando il film, quali aspetti escono fuori secondo te del Cile, soprattutto in riferimento al contesto storico e politico degli anni ’70? Pensi che il film voglia raccontare quel momento?
Alfredo Castro: Non c’è mai stata una volontà esplicita in questo senso ma, certo, esisteva la consapevolezza di sviluppare la storia nel tempo che le era proprio, il 1978, l’anno in cui La febbre del sabato sera è arrivato sugli schermi cileni. E naturalmente, essendo quella la data, il periodo storico e le sue connotazioni politiche sono emersi molto chiaramente. È proprio questo contesto che ha dato alla storia marginale di un uomo comune il valore e il significato che meritava. Credo, però, che il contesto e il momento politico del tempo siano stati rappresentati molto fedelmente attraverso le azioni del personaggio. La necessità di sussurrare costantemente, il terrore sempre presente, la tristezza, la “sporcizia”, tutto nel film mostra l’atmosfera che si respirava nel paese ed in altre parti del continente in quel tempo.
Il personaggio, credo, materializzi tutto questo. Raúl Peralta è il ritratto fedele dei resti di quella che non è mai stata una classe sociale, ma piuttosto una sottoclasse che ha subito il colpo di stato militare del 1973 da un posizione politica che non aveva nulla a che fare direttamente con la militanza; essa non sosteneva la dittatura né era contraria ad essa o le opponeva resistenza: cercava solo di sopravvivere. Il film racconta la follia del singolo, simbolizzata dal protagonista, confrontandola con quella generale che si era impossessata di tutta la nazione.
Un essere umano che non appartiene ad alcuna classe ed è privo di coscienza politica, ne vediamo i crimini, i furti, ma soprattutto le sue esibizioni di ballo. Nei movimenti del suo eroe americano egli ravvisa una possibilità di riscatto da una situazione di povertà e con una visione precaria della vita. Tony Manero, però, è eroe solo per una notte.
Nel frattempo Pablo Larrain lo sceglie, una seconda volta, per la parte del protagonista in "Post Mortem" che conquista il palcoscenico del Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2010. Bellamente ignorato dalla giuria Alfredo Castro è Mario Cornejo. Fratello pussillanime di Raul Peralta, Mario vive i giorni oscuri del golpe diventandone marionetta inconsapevole.
Stralcio dell'intervista di Gianluigi Perrone a Pablo Larrain, Antonia Zegers e Alfredo Castro per TaxiDrivers
G.P.: Alfredo, Mario sembra privo di emozioni, inizialmente. Poi Nancy lo porta ad esistere.
Alfredo Castro: Mario non sa mostrarle. Lui lavora con i morti e quindi vede in Nancy il suo corpo che muore disperatamente. Sono stati vicini di casa per anni, ma solo dopo tanto tempo lui si accorge di lei, e in quel momento diventa vivo. È un’attrazione molto oscura.
G.P.: Alfredo, quindi, che pensi di Mario? È un codardo, senza emozioni o soltanto un uomo incompleto?
Alfredo Castro: Non mi piace dare giudizi su Mario. Ho realizzato un’intervista con la televisione cinese. Loro non hanno la nostra mentalità cattolica, e l’intervistatrice lo trovava gentile e carino. Incredibile!
G.P.: Secondo te ci sono connessioni tra il personaggio di Raul in Tony Manero e Mario in Post Mortem?
Alfredo Castro: Sono entrambi profondamente soli. In Tony Manero, Raul è costretto a socializzare con altre persone e lo fa. Infatti, ha tre donne intorno a sé. Deve organizzarsi per ballare e organizzare gli spettacoli. Mario, invece, non ne ha l’urgenza materiale.
G.P.: È un film con un plot che potrebbe essere applicato a qualsiasi dittatura.
Alfredo Castro: Questo aspetto deve aver colpito Pablo. Il lato universale delle vite minimali di questi personaggi. I peggiori torturatori, criminali e assassini sono parte di questa minoranza silenziosa. Non sono da giudicare come psicopatici ma, semplicemente, in quanto uomini.
Nel 2012 viene presentato in Concorso alla Quinzaine des Réalisateurs il film di Pablo Larrain. In "No - i giorni dell'arcobaleno" Alfredo Castro si conferma attore simbolo del regista di Santiago e recita il ruolo dell'antagonista. Il film ottiene grande successo e viene distribuito in numerosi paesi ottenendo la nomination al premio Oscar come miglior film straniero. Lucho Guzmán è un personaggio controverso anche se difficilmente accostabile a Peralta e Cornejo. Pigmalione del giovane pubblicitario che si occupa della campagna referendaria per conto delle opposizioni, Guzmán è un uomo di successo, una banderuola pronta a seguire qualsiasi vento politico pur di realizzare i propri obiettivi. Guzmán non è animato da alcun ideale politico ma è pronto a tutto pur di riuscire nel lavoro. Da qui la decisione di lavorare per la dittatura nella quale vede l'opportunità di una facile vittoria. Guzmán è un uomo di Pinochet perché è conveniente esserlo. Ciononostante tenta, anche se con mezzi subdoli ed equivoci, di riportare il giovane Saavreda all'ovile per risparmiargli i pericoli di una campagna anti-statale o meglio per mettersi la vittoria in tasca.
Stralcio dell'intervista di Simone Ziggiotto ad Alfredo Castro per Movietele.it
S.Z.: Che cosa unisce Raul Peralta (Tony Manero), Mario Cornejo (Post Mortem) e Guzman (NO)?
Alfredo Castro: Raul Peralta, Mario Cornejo e Luis Guzman sono uniti dalla loro solitudine, dalla loro invisibilità di fronte a coloro che li circondano, nella loro relazione di soggezione nei confronti del potere. Ad ogni modo, ciò che li rende radicalmente diversi tra di loro è il fatto che Guzman crede in un'ideologia e la sostiene. Guzman è il più pericoloso rappresentante del partito di destra cileno: un arrampicatore sociale, totalmente privo di talento, ma servile e utile alla dittatura. Personalmente, ciò che mi ha colpito di questo ruolo è stata la sua infinita solitudine e la speranza segreta di riuscire a entrare, un giorno, nel circolo più familiare e ristretto di Pinochet, pur sapendo che questo sarebbe stato impossibile. Diversamente da Raul, è un essere totalmente privo d'ideologie e che, in un certo senso, vuole esercitare il suo potere su quelli meno privilegiati dilui - e Mario- un uomo che da un istante all'altro si trasforma nel protagonista della storia più sanguinosa e indesiderabile della nazione cilena, a causa dello circostanze storiche che lo circondano - Guzman transita consapevolmente e senza sforzo tra ideologie analoghe: dittatura e libero mercato. Niente sentimentalismo, nessun ideale, nessun gesto eroico o epico. Solo un'ideologia di libero mercato, commercio e affari, incapace di distinguere una dittatura da un forno a microonde.
S.Z.: Cosa ne pensa del fatto che la pubbllcità abbia un ruolo così rilevante nell'odierna comunicazione politica?
Alfredo Castro: Questa relazione tra politica, propaganda e agitazione delle masse, necessaria allo scopo di provocare dei grandi cambiamenti sociali è sempre esistita. Durante la Seconda Guerra Mondiale furono creati dei Ministeri di Propaganda o dell'informazione nei paesi europei lo stesso avvenne in Russia con Lenin e in Germania con il nazismo. Lo stesso successe in Cile con il referendum del 1988. La dittatura ebbe l'intero apparato di comunicazione del paese a sua disposizione, e aveva il sostegno di gran parte della popolazione. Perciò, alfine di sconfiggerla, fu necessario che i creativi della campagna riuscissero ad avere accesso a quella grande massa di dissidenti spaventati con dei messaggi simbolici, che avrebbero colpito il subconscio della gente, le loro pulsioni, le loro emozioni e i loro sentimenti. Semplificare le idee, quanto più possibile, usare poche idee ma chiare. E' per questa ragione che lo slogan della campagna per il NO (che fu guidata principalmente da giovani agenti pubblicitari) 'Sta arrivando la felicità' è, come dice il mio personaggio Guzman, una promessa, un ideale per il futuro e un cambiamento che si rivelò imbattibile. E fu proprio così.
Sempre nel 2012 recita nel film di Daniele Ciprì "È stato il figlio". Prima collaborazione con l'industria di casa nostra, il film viene selezionato per il Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. L'attore è il cantore di una "storia italiana fra dramma e commedia.
Castro recita nel 2013 in un'altra produzione nostrana ovverosia "Il mondo fino in fondo" di Alessandro Lunardelli che esordisce alla Festa del Cinema di Roma scomparendo ben presto dai radar. Interpreta Lucho, tassista dal passato oscuro e allergico alla polizia che aiuta due fratelli a distreggiarsi nel Cile contemporaneo.
Stralcio dell'intervista di Francesca Fiorentino ad Alessandro Lunardelli per Movieplayer.
F.F.: Altra figura affascinante è quella di Lucho, il 'tassista' cileno che aiuta Loris a cercare suo fratello, interpretato da un gigante come Alfredo Castro. Ci racconti come sei riuscito a contattarlo?
Alessandro Lunardelli: Non è stato difficile, il casting in Cile non credeva che fosse quello giusto, ma lo avevo conosciuto attraverso i film di Pablo Larraìn e quello di Daniele Ciprì, E' stato il figlio, e lui che in Cile è considerato un top, è stato interessato sia al progetto che al fatto di partecipare alla scrittura di quello che di personale viene fuori da questo tassista, che racconta il periodo della dittatura. Quindi grazie a questa collaborazione è stato tutto molto facile.
Nel 2015 il nuovo film di Pablo Larrain, "Il club" conquista l'Orso d'Argento Gran Premio della Giuria. Castro è impegnato nel ruolo complesso e sfaccettato di un prete omosessuale accusato di pedofilia. Un personaggio "monster" a cui si associa una prestazione "monstre" dell'attore. Gli occhialini di Padre Vidal sopra un incarnato spento ed invecchiato offrono una persona ordinaria più simile all'uomo della porta accanto che al pederasta. Il male e il bene si mischiano in un uomo con le spalle troppo piccole per affrontare la solitudine del suo ministero e gli impulsi orrendi del suo corpo.
Stralcio dell'intervista di Rosa Maiuccaro ad Alfredo Castro e Roberto Fariás per Movieplayer
R.M.: Alcuni critici hanno definito Il Club un attacco cinico e sarcastico alla Chiesa cattolica. Condividete questo giudizio?
Alfredo Castro: Io penso che sia il cinismo che il sarcasmo caratterizzino la stessa Chiesa cattolica. Con il suo film Pablo ha solo acceso le luci su una situazione che tutti conosciamo e su un ambiente dove molte persone non hanno accesso alla giustizia. Sia in Cile che in altri paesi del mondo ci sono preti che si dedicano agli altri laddove la Chiesa svolge un ruolo importante nella difesa dei diritti umani. Tuttavia una parte del clero ha ormai rotto il patto sociale con il proprio cinismo derivante dalla convinzione di dover rendere conto solo a Dio dei loro peccati. Io credo invece che nessun essere umano dovrebbe essere esente dalla legge o dal rispetto delle libertà altrui.
R.M.: Credete che questo film possa aprire un dibattito in questo senso?
Alfredo Castro: La situazione è cambiata moltissimo negli ultimi anni. In Cile la Chiesa si è arricchita e ha cominciato ad avere le mani in pasta ovunque, gestendo scuole e attività commerciali. Ormai esiste una Chiesa per i ricchi e una per i poveri che, in ogni caso, ha smarrito completamente il proprio obiettivo di evangelizzazione.
R.M.: Per prepararvi ai vostri ruoli avete incontrato preti colpevoli o vittime di abusi?
Alfredo Castro: Non ho fatto molte ricerche perché non credo che il tema principale del film sia la pedofilia quanto la mancanza d'amore e la totale assenza di fede. Molti degli uomini che rappresentiamo diventano preti perché incapaci di confrontarsi con la vita ma consapevoli che, dinanzi a qualsiasi reato commesso, sarebbero stati protetti.
Pochi mesi dopo, sul finire dell'estate 2015, viene presentata alla Mostra del Cinema di Venezia l'opera prima del venezuelano Lorenzo Vigas. Producono santoni come Guillermo Arriaga e Michel Franco. Il presidente di giuria Alfonso Cuaron non può che perorare la causa e benedire il risultato finale. Leone d'Oro a "Ti guardo". Castro, alle prese con l'ennesimo personaggio borderline della carriera, è fuori dai giochi per il premio individuale per l'interpretazione. Peccato perché il freddo e calcolatore Armando riesce a non far rimpiangere gli antieroi della trilogia di Pinochet. Anzi li supera negli intenti manipolatori che lo avvicinano alla sua vittima. Pur tuttavia siamo sempre alle spalle (perché questa è l'angolatura preferita da Vigas) di un uomo che sembra rinchiudere in sé un tragico passato.
Stralcio dell'intervista di Marisa Santin a Lorenzo Vigas per Venezianews
M.S.: Armando ha un passato tormentato che ha fatto di lui un adulto ossessivo. Solo nel momento in cui subisce un attacco violento inizia ad affrontare veramente le proprie ossessioni…
Lorenzo Vigas: Sono convinto che ci siano molti modi in cui puoi uscire dalla tua vita, solo che a volte decidi semplicemente di non farlo. Magari vorresti anche lasciarti le cose negative alle spalle, ma può darsi che una persona scelga di tenere i propri fantasmi esattamente là dove stanno. Armando è combattuto tra questi due impulsi contrapposti lungo tutta la durata del film. Quale prevarrà? Solo il finale rivelerà quale di queste due energie è più forte in Armando: la sua decisione è la chiave di tutta la trama.
M.S.: Ci parli del cast. Come ha scelto gli attori principali?
Lorenzo Vigas: Alfredo Castro (Armando) è un attore di lunga esperienza, conosciuto e molto apprezzato nell’ambiente cinematografico latinoamericano. Ha questa straordinaria capacità di mostrare tutte le sfumature delle emozioni e allo stesso tempo di celarle allo spettatore lungo tutto il film. Dall’altra parte c’è un giovane attore alle prime armi, Luís Silva, che interpreta il ruolo di Elder. Avere queste due diverse creatività contrapposte sul set ha creato una tensione che secondo me è stata fondamentale. Una vera sfida anche per loro. Abbiamo dovuto ripetere molte scene prima che Luís riuscisse a inserirsi dell’intero processo. Ma la tensione è rimasta molto alta anche per Alfredo Castro, proprio per il fatto di doversi confrontare con un attore inesperto.
Si torna a lavorare con Pablo Larrain che, nel 2016, affida ad Alfredo Castro il ruolo secondario dell'illustrissimo presidente cileno Gabriel Gonzalez Videla, colui che resse le sorti del Cile tra il 1946 e il 1952. Il film è "Neruda" è va dritto a Cannes, sezione Quizaine des Réalisateurs. Castro è coinvolto in un cameo o poco più. Il film gira intorno alla figura del poeta Pablo Neruda e del suo alter ego letterario.
Tra il 2017 e il 2018 escono tre film che arrivano anche in Italia in cui l'attore cileno colleziona una serie di particine alla "Marlon Brando". Minutaggio minimo, presenza scenica notevole ed immagino un ingaggio degno del suo nome.
Il primo di questi film è "Il presidente" di Santiago Mitre" in cui interpreta il ruolo di uno psicologo interpellato per capire i motivi che hanno condotto la figlia del presidente argentino ad un gesto inconsulto durante un summit molto impegnativo per il padre.
Il secondo film è "Museo" di Alonso Ruizpalacios, in cui è padre padrone del giovane rapinatore interpretato da Gabriel Garcia Barnal (già al suo fianco in Neruda).
Tutti lo vogliono così gli impegni si allargano ad altri autori ed altri paesi mentre risulta impossibile resistere alle nuove lusinghe della televisione ossia le serie televisive.
Tra i tanti impegni cinematografici citerei senza dubbio "Rosso" di Benjamin Naishtat uscito nel 2018 ma arrivato in Italia solo nel 2021 (direttamente in streaming) dove è ancora disponibile. In questo poliziesco argentino ambientato negli anni '70 Alfredo Castro veste i panni di un detective cileno il cui passato è legato al golpe di Pinochet. Una parte molto intensa che il regista riassume in un'intervista concessa al Bergamo Film Meeting 2019.
Stralcio dell'intervista di Giampiero Raganelli a Benjamin Naishtat per "L'Infernale Quinlan"
G.R.: La presenza dell’attore Alfredo Castro in Rojo, nel ruolo di un ispettore cileno, richiama al cinema di Pablo Larrain con cui spesso ha lavorato. E, visto che Larrain si è focalizzato sulla dittatura cilena, mentre Rojo evoca il periodo antecedente il colpo di stato in Argentina, tutto fa pensare alle analogie tra i due spietati regimi. Era un legame che volevi sottolineare?
Benjamin Naishtat: Si, c’è una grande somiglianza del punto di vista storico tra Cile e Argentina. Tutta l’America Latina ha passato le stesse vicende negli anni Settanta, durante la guerra fredda, e tutto questo ha avuto conseguenze su quella che poi è stata la storia di queste regioni. La prima volta che ho visto Alfredo Castro è stata nel film Tony Manero, un film che mi ha fatto davvero bella impressione. Un gran film con un’ottima performance, molto fisica. Alfredo è soprattutto un attore teatrale, abituato principalmente a recitare sul palcoscenico. Per questo motivo, il suo modo di avvicinarsi al personaggio è più teatrale, come lo impersona, è un modo molto fisico di affrontare il personaggio, molto interessante per questo suo ruolo del detective.
Nel 2019 viene presentato durante la Settimana Internazionale della Critica a Venezia il film "El Principe" di Sebastian Muñoz. Ivi ricopre un ruolo Queer molto problematico e vince l'azzardo con grande disinvoltura. Il film è nudo e crudo ed il grande attore cileno non batte ciglio nell'interpretare "El Potro", un carcerato che educa al sesso il nuovo ed imberbe ragazzino finito in cella per l'omicidio dell'amante. Tra controllo emotivo, sesso e amore il maestro del cinema cileno si riscopre pasoliniano maestro di vita.
Stralcio dell'intervista di Carlo Cerofolini a Sebastian Muñoz e Alfredo Castro per "Taxi Driver"
C.C.: Ambientato dentro il carcere dove sono detenuti i protagonisti, le vicende de El Principe sono collocate nel Cile del 1970, quello in cui sale al potere Salvatore Allende. Se è chiaro che il carcere, e in particolare la cella in cui sono rinchiusi i personaggi, rappresenta un luogo dell’anima, mi interessava capire qualcosa di più sulla scelta dell’epoca in questione.
Sebastián Muñoz: El Principe parla di un argomento universale. Ho scelto quel periodo perché era un’epoca nella quale l’amore omosessuale, o avere una relazione tra uomini, era una cosa assolutamente vietata. Alla fine lo spazio della prigione diventa lo spazio della libertà del corpo, perché in quel luogo i detenuti possono convivere e avere relazioni eterosessuali e omosessuali.
C.C.: La prigione non è solo una sorta di terra di nessuno dove tutto è possibile, ma anche un laboratorio dove gli uomini sperimentano nuovi tipi di relazioni. Tra l’altro, scegli di filmare quell’ambiente in maniera frontale, come se fosse il palco di un teatro.
Sebastián Muñoz: Si tratta di una vera prigione ricavata da un vecchio edificio del ‘900. Essendo oramai vuota abbiamo deciso di girare lì, con la particolarità di considerare la sua architettura come una sorta di persona. Come contenitore dei corpi dei protagonisti, il carcere diventa esso stesso un personaggio, un vero e proprio corpo vivente.
C.C.: Che tipo di sfida ha rappresentato... girare un film come El Principe, considerando che buona parte delle scene le hai condivise restando nudo con altri uomini all’interno di una spazio chiuso e angusto?
Alfredo Castro: La sfida è stata quella di mostrare il mio corpo invecchiato insieme a quelli di uomini più giovani di me. Il Cile è un paese molto omofobo e come uomini non possiamo esprimere i nostri sentimenti, solo le donne possono farlo. Eravamo sempre nudi e Sebastian ha osato mostrarci in situazioni molto forti. Abbiamo scosso molto il mondo etero.
Oltre a "El Principe" a Venezia c'è anche "Blanco en Blanco". Assisto alla proiezione ufficiale in cui è presente il regista Théo Court. Al suo fianco non può mancare lo stesso Castro. Ultima apparizione in carne ed ossa alla Mostra. L'anno successivo sarà pandemico.
Nel film di Théo Court il protagonista è Pedro, un fotografo chiamato nelle sperdute Terre del Fuoco a fotografare una sposa bambina. Per Pedro sarà l'occasione di rendere testimonianza, con la sua macchina, del genocidio delle popolazioni autoctone perpetrato per godere dei provilegi di una terra ricca quanto inospitale. Il film viene scelto per presentare il Cile nella corsa agli Oscar 2022.
Venezia76 -TV Call Blanco en Blanco
Nel 2020 sempre a Venezia gioca con il suo ruolo di attore e diventa un travestito nel film di Rodrigo Sepúlveda "Tengo Medio Torero". Il film passa in rassegna nella sezione "Giornate degli autori" e racconta del difficile e complesso rapporto tra "La Dona", un travestito, e Carlos, un militante politico, nei giorni buii della dittatura cilena. La Dona è un personaggio straordinario che mette in luce fragilità, coraggio e desiderio di luce per dovendo relegarsi nelle polverose oscurità della capitale per non dare nell'occhio a causa di una sessualità libera ma considerata malata dal regime. Commovente e divertente.
Stralcio dell'intervista di Chiara Zanini al regista Rodrigo Sepúlveda per "Giornale dello spettacolo"
C.Z.: Il travestito protagonista del suo film, la Loca del Frente, è interpretato da Alfredo Castro, protagonista di molti film di Pablo Larraín... Ha scelto Castro per l’interesse che ha dimostrato per il cinema politico?
Rodrigo Sepúlveda: Ho scelto Castro per tre motivi: il primo è perché è il miglior attore per questo ruolo. Alfredo, nel corso della sua carriera, ha avuto ruoli difficili e irruenti, esponendosi con il corpo, con la voce, con il silenzio. Il secondo motivo è che questo attore ha lavorato in teatro qui in Cile in diverse produzioni dove il tema centrale è stato il travestitismo e le questioni di genere. E infine, il terzo motivo è che Pedro Lemebel, l'autore del romanzo Tengo Miedo Torero, su cui si basa la sceneggiatura, prima di morire chiese ad Alfredo di interpretare il personaggio della Loca qualora fosse stato girato l’adattamento cinematografico della sua opera.
Nel 2021 le Giornate degli Autori presentano in concorso il film argentino di Ivan Fund intitolato "Piedra Noche". Per Alfredo Castro un ruolo secondario in un presente poco edificante di mostri ecologici e psichici in un'isola desolata in cui vorrebbe esercitare con profitto i propri affari.
Stralcio dell'intervista originale di Gabriel Lerman al regista Ivan Fund per "Goldenglobes.com"
G.L.: Alfredo Castro es sin dudas uno de los mejores intérpretes latinoamericanos de hoy en día y sin embargo en Piedra noche tiene un papel muy pequeño. ¿Cómo llega a tu proyecto y qué le aporta al mismo?
Ivan Fund: Primero es un privilegio soñado trabajar con Alfredo, creo que él con su personaje le aporta a la película un color y un trazo que contrasta y a la vez complementa al que interpretan los otros actores ya que el mismo vibraba en otra frecuencia un poco más oscura y tensa. Para mí son cuatro personas mirando hacia el mar y cada una en una instancia diferente, algunos casi metidos adentro y otros relacionándose con esa visión de una manera un poco más conflictiva o compleja. Es increíble como Alfredo llega al proyecto, es como el regalo de una confianza absoluta de su parte porque básicamente se tiró en paracaídas y cayó ahí. Él solo había visto Vendrán lluvias suaves, mi película anterior, y le gustó mucho entonces hablamos por teléfono, le conté la historia y cómo era su personaje y pegamos buena onda. La verdad es que ni siquiera le mandé un guion, trabajamos con un relato adaptado del original que habíamos armado y estructurado con Martín Felipe Castagnet, que es un novelista de ciencia ficción argentino súper talentoso. Le envié ese cuento a Alfredo, que me preguntaba si iba a haber o no un guion y cuando eso pasaba, yo le mandaba fotos o algún texto. A pesar de eso Alfredo vino igual, él mismo decía “estoy yendo sin saber a dónde voy”. Después se entregó con una generosidad total, realmente entendió enseguida la forma en la que trabajamos que, como dije antes, era abrazando e incorporando los elementos que iban apareciendo durante el proceso e aunque obviamente había una historia muy clara y sabíamos hacia dónde íbamos.
Alfredo Castro ha interpretato molti altri film, alcuni sono arrivati in Italia giusto il tempo di un apparizione in qualche festival. Riporto i titoli e le recensioni più significative pubblicate in questo sito da chi ha potuto esaminare questi introvabili tasselli della lunga e profiqua carriera dell'attore.
Fuga (2006) di Pablo Larrain
la recensione di munnyedwards
Carne de perro (2011) di Fernando Guzzoni
la recensione di Mulligan71
Las niñas Quispe (2013) di Sebastián Sepúlveda
la recensione di bellahenry
Los perros (2017) di Marcela Said
la recensione di alan smithee
Algunas bestias (2019) di Jorge Riquelme Serrano
la recensione di supadany
Karnawal (2020) di Juan Pablo Felix
la recensione di alan smithee
Immersión (2021) di Nic Postiglione
la recensione di alan smithee
Non mi resta che augurare BUON COMPLEANNO a questo formidabile artista.
66 anni compiuti nel segno del cinema. Dicono gli esperti che il 66 è simbolo di estro e bravura. Un altro 6, davanti o dietro non importa, e apparirebbe il numero apocalittico che raffigura Belzebù. Molti dei personaggi, che solo un attore come lui avrebbe potuto interpretare senza rimanerne schiacciato, hanno un che di mefistofelico. Incarnano l'ordinarietà del male. Non c'è dubbio che 6 sia la cifra di Alfredo Castro… anche se le doti reclamano, senz'altro, il capovolgimento di quel numero.
Le mie recensioni dei film con Alfredo Castro:
Tony Manero (2008) di Pablo Larrain
Post Mortem (2010) di Pablo Larrain
No - I giorni dell'arcobaleno (2012) di Pablo Larrain
Il mondo fino in fondo (2013) di Alessandro Lunardelli
Il club (2015) di Pablo Larrain
Ti guardo (2015) di Lorenzo Vigas
Il presidente (2017) di Santiago Mitre
Rosso (2018) di Benjamin Naishtat
Museo (2018) di Alonso Ruizpalacios
El principe (2019) di Sebastian Muñoz
Blanco en blanco (2019) di Théo Court
Tengo Miedo Torero (2020) di Rodrigo Sepúlveda
Piedra Noche (2021) di Ivan Fund
Riferimenti:
https://www.google.com/amp/s/movieplayer.it/articoli/il-club-le-nostre-nterviste-a-alfredo-castro-e-roberto-farias_15543/%3famp
https://www.movietele.it/post/no-i-giorni-dell-arcobaleno-intervista-ad-alfredo-castro-e-due-clip
https://www.google.com/amp/s/movieplayer.it/articoli/alessandro-lunardelli-ci-racconta-il-mondo-fino-in-fondo_12409/%3famp
http://www.venezianews.it/index.php?option=com_content&task=view&id=8211&Itemid=332
https://quinlan.it/2019/03/17/intervista-a-benjamin-naishtat/
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta