Ognuno chiuso nella sua piccola gabbia, chi nei corridoi nella propria uniforme, chi al bar, chi fuori, chi dentro, chi con una macchinetta fotografica al collo, chi dall’altra parte di un vetro, chi in sala, chi sulle poltrone rosse, chi dietro uno schermo, una videocamera, chi davanti - Tasselli di un mosaico di cui in pochi conoscono la disposizione finale, il disegno nella sua totalità, sempre ammesso che ce ne sia uno e non si tratti di uno scherzo di pessimo gusto - Era sempre il solito parlare, camminare, incontrarsi senza avere nulla di vero da dirsi - Era una delle recite più stupide e noiose che si potessero fare eppure tutti ne facevano parte e sembravano anche non accorgersi di quando lo spettacolo fosse scadente - Alcuni, i più giovani, la malizia ancora non ce l’avevano e se lo facevano mettere al culo con ingenuità, quasi sorridendo altri, i più attempati, sapevano che fottersi a vicenda era l’unico modo che avevano per andare avanti, le regole del gioco le conoscevano e il posto che avevano se lo tenevano ben stretto - Dove cazzo sei, Lousi Ferdinand? - C’era un galleggiare confuso di chiacchiere, una nuvola insulsa di commenti e opinioni scadenti, un circo in decadenza di saluti, sorrisi e dialoghi insulsi, non che i film selezionati e a cui qualcuno con le mie sembianza aveva assistito fossero stati migliori, erano lo specchio allargato della medesima vacuità.
Il cielo è grigio sopra Roma, oggi. Il cielo è grigio sopra Roma, oggi. Il cielo è grigio
sopra Roma,
oggi.
C’è una processione di bambini che non ho idea di dove siano diretti, seguite la fila, dice una maestra - Non è vero, so bene dove li stanno portando, nella stessa gabbia che ancora non vedono, quella le cui sbarre sono invisibili e che ci accoglie da quando siamo nati.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta