Marco Bellocchio ci parla dei suoi inizi al Centro Sperimentale di Cinema di Roma, nel quale era entrato per studiare recitazione (ispirato da Marlon Brando e James Dean) e passare dopo un anno a regia. In quel periodo c’era Godard come uno dei grandi modelli da seguire e un arrivo di ondate di nuovo cinema (nouvelle vague, free cinema) e poi l’esordio con i Pugni in tasca e l’incontro con Lou Castel, quasi fortuito, sempre dentro al Centro Sperimentale, nella mensa, che ancora esiste, a distanza di tanti anni - Vincere, in cui il melodramma viene usato per dare forza alle immagini e che come genere, in passato, Bellocchio aveva voluto affrontare in maniera diversa, a volte ridicolizzandolo e poi la presenza di Mussolini, nel film, i suoi inizi rivoluzionari come uomo di sinistra e poi quella di Ida Dalser, la vera protagonista - Enrico IV, da Pirandello, in cui ha lavorato con Mastroianni, un uomo tristissimo, dice Bellocchio e un grande professionista, sempre con la sua nazionale in bocca - E la bestemmia in L’ora di religione, perché imprecare contro qualcuno è anche ammettere la sua esistenza, volevano far passare Bellocchio per un credente, alcuni volevano definirlo tale - Le brigate rosse, Moro, la sua uccisione, un punto di non ritorno della storia recente d’Italia, Buongiorno, notte e la sua camminata per Roma, la sua (im)possibile liberazione e poi un nuovo progetto, una serie, la prima e l’ultima, Esterno notte, sempre su Moro (interpretato da Mifuni) e i politici dell’epoca (Andreotti, Cossiga) e se il primo film era sulla sua incarcerazione e sulla prigione nelle prigione in cui si ritrovavano i brigatisti, quest’ultimo sarà sul fuori, su quello che accadeva intorno. Bellocchio ricorda, racconta, spiega. Poi lascia la sala diretto chissà dove.
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