La serata di apertura della quattordicesima edizione del festival del cine español y latinoamericano a Roma ha visto la proiezione del film La Inocencìa di Lucìa Alemany, epidermico e sensuale ritratto di una giovane ragazza e del suo affacciarsi alla vita adulta. Presente in sala anche la regista, dopo la visione, che ci ha raccontato la natura biografica di questa sua opera prima che ruota intorno anche al tema della maternità e dell’aborto e che soprattutto ci conduce nell’anima di un universo femminile visto con grande senso di appartenenza e complicità.
Si apre in modo abbastanza esplicito questo film, con delle ragazze seminude sedute su un camion-cisterna in movimento, da cui esce un getto di acqua che inonda le strade. Le ragazze sono a cavalcioni e a gambe aperte. Il simbolismo appare evidente. E’ infatti la carica sessuale e la maniera di esprimerla quella dalla quale scaturisce l’energia vitale che vibra e sorregge l’intera pellicola. E lo scontro fra di essa e le regole di una microsocietà chiusa e bigotta (ci troviamo in un piccolo paesino della provincia valenciana) nella quale alcune ragazze, fra cui Lis, la protagonista, vivono e crescono. E le dinamiche, gli scontri, i rituali obbligati (la discoteca, i baci, il sesso, le prime sostanze stupefacenti, la scuola, la processione) vengono registrati in maniera quasi documentaristica dalla regista, Lucìa Alemany, che mette in gioco molto di suo, della sua storia personale, in questa opera prima e lo si nota non solo a livello narrativo ma anche dal poco distacco che lascia fra il suo occhio e il suo cuore, seguendo a fior di pelle la giovane protagonista, di cui ci mostra l’affacciarsi alla vita adulta in tutte le sue sfumature emotive e fisiche - Cinema umorale, totalmente al femminile, nella complicità e negli screzi fra figlie, amiche e madri, dove gli uomini girano intorno anche se vorrebbero essere il centro di questo universo con i loro atteggiamenti possessivi e patriarcali. Unico elemento di rottura e dissonanza nei rapporti fra i due sessi, in questa comunità ancorata a vecchie tradizioni (anche se durante la processione con la Vergine le ragazze si trasformano in sensuali menadi tentando di sabotare le litanie circostanti) è Remedios, donna con prole e senza partner, con tutte le sue credenze pagane, le sue erbe, i suoi rimedi e la sue conoscenze sciamaniche. C’è anche l’ironia, presente fra le immagini, in modo che la leggerezza dell’adolescenza non precipiti nei cupi drammi dell’età adulta e poi il desiderio (il sogno) di Lis di segnarsi a una scuola di circo a Barcellona che ci fa sorridere con lei della sua propria innocenza (o ingenuità), percepita di più come un modo di pensare non ancora omologato che di una vera e propria mancanza di colpe (quali?) all’interno di uno spazio etico e morale.
Lis si ritroverà molto presto a porsi delle domande su cosa comporti diventare grande, a confrontasi con una gravidanza non voluta e la regista non sembra interessata a farci riflettere sulla sue risposte o sulla possibilità di un aborto, quanto su come la maternità sia una tappa essenziale per le donne, con tutti i misteri, i dubbi e le incertezze che essa racchiude e protegge.
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